Il sacro e il moderno. Da Segantini a Vedova

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«Che i figli delle viscere tue siano belli per l’amore, forti per la lotta, intelligenti per la vittoria. Sono queste le parole che lo spirito dell’idealità della vita sussurra nell’orecchio della vergine». Quasi non si nota quest’iscrizione fra il groviglio di segni che generano un’atmosfera fosca e insieme brulicante di vita nel disegno con l’Annunciazione di Giovanni Segantini, una delle opere che passa più inosservata accanto a tante immagini piene di colore sul percorso espositivo di Bellezza divina. Per chi si sofferma incuriosito da come l’artista ha risolto l’iconografia tradizionale dell’incontro fra l’angelo – lo “spirito dell’idealità della vita” come lo chiama Segantini in una lettera ad un amico – e la Vergine, e cioè in un passaggio di fluido vitale attraverso le loro teste combacianti, non desteranno minori interrogativi quelle insolite parole sussurrate e inscritte sul muricciolo di divisione dell’hortus conclusus sacro, dietro la Vergine. Insieme ad altri particolari enigmatici, come il rapace che tiene sospesa in aria una figura umana o la locomotiva che fende il paesaggio, creano un ambiente singolare per il tema dell’Annunciazione, immaginato dal più celebre dei divisionisti italiani come copertina della prima traduzione italiana di Così parlò Zarathustra. Niente di meno religioso e confessionale per un artista che sentiva una spiritualità immensa e laica, infusa nella natura grandiosa delle Alpi dove trascorse buona parte della sua vita e che lo indusse a scegliere l’Annunciazione come un evento simbolico di un messaggio universale al centro delle filosofie idealiste e simboliste della sua epoca.

Un’opera esemplare quindi dei contenuti di questa esposizione dedicata al tema sacro al pari di altri generi (ad esempio il ritratto, il paesaggio, la storia) durante un secolo moderno (dal 1850 al 1950 circa), non necessariamente quindi per adesione ai principi religiosi, o tanto meno per committenza ecclesiastica – questo è un secolo anzi che vide tanti momenti bui, d’incomprensione e scarsi rapporti fra artisti e Chiesa ufficiale.

Giovanni Segantini, L'Annunciazione del nuovo Verbo

Giovanni Segantini, L’Annunciazione del nuovo Verbo, 1896, Sankt Moritz, Segantini Museum

Attraversando le sale scopriremo tante scelte iconografiche e tante rese stilistiche in piena sinergia con i linguaggi artistici della modernità e non necessariamente frutto di devozione, magari invece declinate secondo sentimenti, esperienze e significati contemporanei.

Glyn Philpot sulla stessa parete breve dove s’incontra il disegno di Segantini, propone il tema dell’Annunciazione come traslato moderno, addirittura interattivo. La sua invenzione colpisce poiché ci immerge nell’evento, nelle vesti della protagonista in serrato dialogo con quell’angelo – che ha catturato l’immaginazione di Virgilio Sieni scegliendo di dedicargli uno dei più intensi quadri di danza in Dolce vita, spettacolo ispirato alla mostra. Ci osserva etereo nei suoi tratti all’antica, da Veronese a Lotto, secondo il ritorno alla tradizione allora da molti adottato,  ma con lo sguardo smarrito perché caduto nella modernità di un ambiente inglese degli anni Venti, nel quale si rispecchia il nostro stato d’animo di involontari protagonisti, ancora smarriti davanti ai misteri della vita.

Glyn Warren Philpot, L'angelo dell'Annunciazione

Glyn Warren Philpot, L’angelo dell’Annunciazione, 1925, Brighton and Hove, The Royal Pavilion & Museums

Stanley Spencer è un altro artista d’oltremanica che negli stessi anni pone gli eventi religiosi nel proprio tempo e nel proprio spazio: Cookham, la cittadina natia nei dintorni di Londra, per tutta la vita protettivo paradiso terrestre intaccato solo dal disincanto della guerra. A quell’epoca risalgono i due quadri esposti, L’entrata di Cristo in Gerusalemme e L’Ultima cena entrambi del 1920.  Il villaggio inglese accoglie straordinarie riletture della vita di Cristo in moderni travestimenti: al posto delle ridenti aiuole di un tempo una strada precipitata dalla prospettiva franta e un interno che comprime la mensa dei dodici apostoli resi in toni cromatici caldi o freddi, comunque bassi, risentono del dramma della guerra e dello stato d’animo ferito; e traducono in una scena quotidiana i temi sacri secondo i pensieri democratici cristiani degli ambienti laburisti frequentati al tempo da  Spencer.  Il linguaggio aggiornato, sintetico e bidimensionale come quello di Gauguin e dei sintetisti, geometrico sull’eco delle avanguardie, diventa il mezzo allusivo alla trasposizione moderna dei fatti religiosi.

Opere di Stanley Spencer

A sinistra: Stanley Spencer, L’entrata di Cristo in Gerusalemme, 1920, Leeds, Leeds Museums and Galleries; a destra: Stanley Spencer, L’Ultima cena, 1920, Cookham, Stanley Spencer Gallery

Ancora nel secondo dopoguerra l’immaginario sacro e in specie i momenti più intensi e drammatici della Passione di Cristo, dalla Via Crucis alla Crocefissione, tornavano ad offrirsi non solo a metafore dell’oltraggio recente subito dall’umanità, ma, proprio per il valore universale di quei fatti, come ambiente di sperimentazione dello spazio e delle potenzialità espressive di forme, linee, colore. Lucio Fontana in una delle opere più alte che accoglie la mostra, tre stazioni della Via crucis bianca (1955-56), eseguita per una cappella disegnata da Marco Zanuso a Milano, raggiunge il delicato e intenso momento di passaggio dalla figurazione all’astrazione. Le brevi superfici ceramiche accolgono quindi una rivoluzione linguistica: la materia si muove in multiformi spessori; chi vi ha visto “l’espressione di un dolore sanguinante” che si impenna in rilievi a tutto tondo fino poi a implodere, sprofondare, fino a rarefarsi in semplici segni dipinti. A guardar meglio le linee nere che segnalano il suolo nascondono ferite slabbrate della materia, allusione ad una vita ulteriore, premessa in nuce ai tagli.

Lucio Fontana, Via Crucis

Lucio Fontana, Via Crucis (Stazioni II,III,XIII), 1955-1956, Milano, Museo Diocesano

Della stessa aspirazione alla pura astrazione vive la Crocefissione in ceramica di Fontana che insieme a quelle dipinte da Graham Sutherland e Emilio Vedova rappresentano la metafora di tutti gli oltraggi, come diceva Guttuso, e l’ultimo traguardo dell’immaginario artistico nella prima metà del Novecento. I colori si riducono e il segno acquista una sua autonomia espressiva nel misurarsi con la potenza del dramma della Crocifissione. «Nel 1953 mi scoppia il “Ciclo della protesta” in un crescendo di tensione e di forza inesauribile» esclamava Vedova. Non c’è nessuna protesta blasfema nel titolo scelto per la serie di cui fa parte la nostra Crocifissione contemporanea. Piuttosto vi prende forma l’impegno morale dell’artista in un mondo in conflitto, un’epoca in cui se la croce ha chiari connotati allusivi cocenti, può diventare anche un segno emblematico al centro dei cruciali dibattiti fra astrazione e figurazione.

Opere di Fontana e VedovaA sinistra: Lucio Fontana, Crocifissione, 1951, Collezione privata; a destra: Emilio Vedova, Crocifissione Contemporanea – Ciclo della protesta n. 4, 1953, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Durante l’Ottocento era stato Van Gogh a spingere la capacità espressiva del segno-colore, aderendo a una sorta di vangelo dell’arte radicato nella natura e preferito alla tentazione di identificazioni superstiziose di se stesso con il sacro, ritenute aberrazioni religiose. Tuttavia non a caso l’acuirsi della disperazione emotiva verso l’epilogo della sua esistenza, lo ricondusse ai soggetti religiosi. La mostra accoglie la Pietà dei Musei Vaticani, un piccolo capolavoro, mirabile riprova per la straordinaria potenza immaginifica della pennellata che senza distinzioni accomuna e immerge la scena sacra nella natura. La Mater dolorosa come il Figlio esangue raccolgono le estreme lacerazioni interiori dell’artista e la sua mai sopita ricerca espressiva del colore: al fratello Theo scriveva di aver sottolineato l’ombra che investe il morto e il pallore chiaro della dolente «contrasto che fa sì che le due teste sembrino un fiore scuro e un fiore pallido avvicinati insieme per valorizzarsi».

Vincent van Gogh, Pietà

Vincent van Gogh, Pietà (da Delacroix), 1889 circa, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea

Gli artisti moderni si confermano interpreti e animatori di profondi significati che investono e rinnovano i contenuti del repertorio religioso che da sempre è stato soggetto privilegiato delle arti.

Anna Mazzanti, curatrice della mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina

Bellezza divina raccontata dal curatore Carlo Sisi

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La mostra Bellezza divina analizza e contestualizza oltre un secolo di arte sacra moderna attraverso un percorso di oltre 100 opere con prestiti da importanti musei e collezioni europei e americani. Cosa rende questa mostra un evento così importante per Firenze e a livello nazionale e internazionale?

Si tratta di una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nel nuovo allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito dal papa; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per  illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private. Inoltre ben dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare simili spese): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della chiesa di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

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Da dove è nata l’idea di una mostra che affronta un tema centrale della storia dell’arte, il genere dell’arte sacra, ma in una chiave originale e difficilmente studiata come la prospettiva dell’arte moderna? E con quale prospettiva il pubblico deve visitarla?

L’idea è nata da una sollecitazione dell’arcivescovo di Firenze, Sua Eminenza cardinale Giuseppe Betori, che ha pensato – in occasione del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale che avrà luogo a Firenze in novembre e che vedrà la presenza di papa Francesco – a un’esposizione di arte sacra in una sede laica. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, dunque non una mostra “confessionale”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione. Ma, poiché nella parte centrale ripercorre le vicende della Vita di Cristo, l’esposizione può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

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Grandi nomi come Van Gogh, Chagall, Millet, Fontana, Guttuso sono affiancati a quelli di artisti meno noti al grande pubblico in un’ampia varietà di stili e linguaggi. Credi sia possibile tracciare un fil rouge che segni il rapporto tra arte e sacro in epoca moderna? E quali delle opere esposte possono servire al pubblico come punti di riferimento imprescindibili?

La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Severini, Denis, Rouault, Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista. La mostra costituisce anche l’occasione per riscoprire artisti oggi meno noti, o che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La rassegna vede inoltre accostate espressioni artistiche che esprimono un dialogo interreligioso: la Crocifissione bianca di Chagall, di religione ebraica; opere di autori di formazione protestante, come Van Gogh e Munch, Spencer, o di Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

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Bellezza divina tra Van Gogh Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/mostre/bellezzadivina