Il restauro del Martirio dei sette fratelli Maccabei

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Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863, Firenze, Chiesa di Santa Felicita (confronto dell’opera prima e dopo il restauro)

Il capolavoro di Antonio Ciseri raffigurante Il martirio dei sette fratelli Maccabei è un dipinto a olio su tela del 1857-1863, di grande dimensione (463,5 cm in altezza e 265,5 in larghezza) conservato nella terza cappella della parete destra della navata di Santa Felicita a Firenze.

Ben nota è la lunga elaborazione del dipinto (1852-1863) per cui Ciseri produsse numerosissimi disegni preparatori e bozzetti a olio. Durante il restauro si è potuto constatare che Ciseri effettuò anche alcune modifiche cromatiche perfino dopo aver già dipinto con il colore iniziale. Le immagini sono state create attraverso una sovrapposizione di stesure: le parti scure sono state date a velatura; mentre quelle chiare sono state realizzate con pennellate più corpose, talvolta fino a creare un rilievo pronunciato (per esempio l’estremità dell’ascia, le perle della madre dei Maccabei, il ceppo e il sangue del martire più giovane.

Antonio Ciseri rifiutò di inviare l’opera a una mostra a Roma già nel 1883 per ragioni di sicurezza del dipinto, realizzato nello studio dell’artista in via delle Belle Donne, vicino a Palazzo Strozzi.

Collocata sull’altare, posizionato a circa 3 metri da terra, l’opera si presentava complessivamente in un discreto stato di conservazione: il dipinto manteneva una buona planarità e l’adesione degli strati pittorici alla tela non sembrava precaria, tranne la zona in cui vi era un taglio a ‘T’ di circa 8 cm situato nella pelliccia del martire in primo piano; la leggibilità generale dell’opera era lievemente offuscata, e l’intera superficie appariva ingrigita dai vari strati superficiali alterati.

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Lacerazioni sul lato sinistro

Dopo lo smontaggio dell’opera dall’altare, tuttavia, si sono constatati altri problemi di conservazione anche gravi che prima non si potevano verificare: il supporto tessile manifestava diversi piccoli strappi e lacerazioni sia lungo i bordi del dipinto sia sulla superficie pittorica. Le lacerazioni più recenti, lunghe circa 30 cm presenti sul lato sinistro, richiedevano un urgente intervento di restauro. Sul verso della tela, inoltre, si sono rilevate 12 toppe di tela applicate probabilmente durante un precedente restauro, avvenuto nel 1947, per risanare strappi e lacune di minore entità. L’opera è stata sottoposta ai seguenti interventi di restauro minimo e necessario: la pulitura degli strati superficiali alterati – depositazione atmosferica, nero fumo di candele e materiale di restauro – tramite rimozione selettiva senza intaccare la vernice sottostante; il risanamento delle lacerazioni sui bordi con delle strisce di poliestere previo smontaggio parziale della tela dal telaio; il consolidamento dei filati della tela nei bordi; la fermatura localizzata con iniezione di resina acrilica sulle zone con lievi sollevamenti; il risanamento dello strappo a ‘T’; il risanamento del telaio; la stuccatura sulle zone perimetrali con uno stucco più elastico e resistente all’umidità rispetto al consueto stucco; l’integrazione pittorica con un metodo di selezione cromatica che ha permesso di rispettare l’originale tramite l’utilizzo di colori a vernice caratterizzati da ottima stabilità fotochimica e solubilità; una leggerissima verniciatura a nebulizzazione; infine, l’inserimento di pannelli di polietilene espanso sagomati per ogni sezione vuota creata tra i regoli del telaio e le traverse al fine di ovviare all’eccessiva oscillazione della tela e quindi per proteggere il dipinto sia da eventuali urti che da umidità.

L’intervento di pulitura, seppure effettuato senza rimuovere la vernice ingiallita che conferisce un tono lievemente dorato all’intera pittura, ha permesso un apprezzamento di dettagli prima poco visibili: gli sgherri sullo sfondo, la scatola di gioie sequestrata, il bacile contenente la testa di maiale, un’altra madre disperata vicina ai due sacerdoti i cui volti sono stati ritratti in modo sommario, molto diverso dallo stile di Ciseri, la differenza dell’incarnato tra persecutori e martiri: il tono più rossastro e scuro nei persecutori e quello più pallido e freddo nei martiri e nella madre.

Kyoko Nakahara
Restauratrice di Beni Culturali (dipinti su tela e tavola).

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Particolare dei due satrapi durante la pulitura. Particolare del martire in primo piano durante la pulitura.

Bellezza divina raccontata dal curatore Carlo Sisi

La mostra Bellezza divina analizza e contestualizza oltre un secolo di arte sacra moderna attraverso un percorso di oltre 100 opere con prestiti da importanti musei e collezioni europei e americani. Cosa rende questa mostra un evento così importante per Firenze e a livello nazionale e internazionale?

Si tratta di una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nel nuovo allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito dal papa; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per  illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private. Inoltre ben dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare simili spese): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della chiesa di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

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Da dove è nata l’idea di una mostra che affronta un tema centrale della storia dell’arte, il genere dell’arte sacra, ma in una chiave originale e difficilmente studiata come la prospettiva dell’arte moderna? E con quale prospettiva il pubblico deve visitarla?

L’idea è nata da una sollecitazione dell’arcivescovo di Firenze, Sua Eminenza cardinale Giuseppe Betori, che ha pensato – in occasione del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale che avrà luogo a Firenze in novembre e che vedrà la presenza di papa Francesco – a un’esposizione di arte sacra in una sede laica. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, dunque non una mostra “confessionale”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione. Ma, poiché nella parte centrale ripercorre le vicende della Vita di Cristo, l’esposizione può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

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Grandi nomi come Van Gogh, Chagall, Millet, Fontana, Guttuso sono affiancati a quelli di artisti meno noti al grande pubblico in un’ampia varietà di stili e linguaggi. Credi sia possibile tracciare un fil rouge che segni il rapporto tra arte e sacro in epoca moderna? E quali delle opere esposte possono servire al pubblico come punti di riferimento imprescindibili?

La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Severini, Denis, Rouault, Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista. La mostra costituisce anche l’occasione per riscoprire artisti oggi meno noti, o che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La rassegna vede inoltre accostate espressioni artistiche che esprimono un dialogo interreligioso: la Crocifissione bianca di Chagall, di religione ebraica; opere di autori di formazione protestante, come Van Gogh e Munch, Spencer, o di Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

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Bellezza divina tra Van Gogh Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/mostre/bellezzadivina