Solomon R. Guggenheim, storia di un mecenate

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Dal 19 marzo al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospiterà la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim che porterà a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

Durante la sua vita, Solomon ha contribuito in maniera fondamentale alla promozione e alla diffusione di iniziative a sostegno dell’arte moderna e contemporanea.

Solomon R. Guggenheim è nato nel 1861 a Philadelphia da una famiglia che doveva la propria fortuna all’industria mineraria. Insieme alla moglie, Irene Rothschild, ha acquisito la reputazione di mecenate e filantropo. Dalla metà degli anni ’90 dell’Ottocento Solomon Guggenheim ha iniziato a raccogliere opere di grandi maestri, paesaggi americani, lavori della Scuola di Barbizon e di arte primitiva.

Nel 1927 la sua collezione è cambiata radicalmente grazie all’incontro con Hilla Rebay (1890-1967), che gli fece conoscere le Avanguardie europee. Nel luglio 1930 la Rebay organizzò un incontro tra Solomon Guggenheim e Vasily Kandinsky, le cui opere sono divenute parte importante della collezione.

width=Irene Guggenheim, Vasily Kandinsky, Hilla Rebay e Solomon R. Guggenheim al Bauhaus di Dessau, 7 luglio 1930. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York

Dal 1930 il pubblico ha potuto accedere all’appartamento privato di Solomon l’Hotel Plaza di New York per ammirare la sua collezione. Le pareti erano rivestite di dipinti di artisti come Rudolf Bauer, Marc Chagall, Fernand Léger, e László Moholy-Nagy.

width=L’appartamento di Solomon R. e Irene Guggenheim al Plaza Hotel, New York, 1937 circa. Courtesy of the Solomon R. Guggenheim Foundation, New York

Nel 1937 Solomon ha dato vita alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, che ha condotto all’apertura a New York, nel 1939, del Museum of Non-Objective Painting (Museo di arte non figurativa) sulla 54a Strada, poi – nel 1947 – di uno spazio espositivo in un edificio al numero 1071 della 5a Avenue, nonché all’incarico all’architetto Frank Lloyd Wright, nel 1943, di progettare un nuovo edificio per ospitare la collezione. Solomon Guggenheim è morto nel 1949, dieci anni prima del completamento del museo che porta e ricorda il suo nome.

width=Frank Lloyd Wright, Hilla Rebay, e Solomon R. Guggenheim con il plastico del nuovo museo di Wright alla conferenza stampa di presentazione del progetto, Plaza Hotel, New York, 20 settembre 1945. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York

Speciale ultimi giorni di “Bellezza divina”

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Si avvia al termine la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana inaugurata lo scorso 24 settembre a Palazzo Strozzi. Domenica 24 gennaio sarà infatti l’ultimo giorno disponibile per poter visitare l’esposizione dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento.

Mostra bellezza divina banner

In occasione degli ultimi giorni di apertura, da giovedì 21 a domenica 24 gennaio, l’orario di Bellezza divina sarà eccezionalmente prolungato fino alle ore 23:00, con ultimo ingresso alle ore 22:00. Se desiderate evitare la coda, è possibile acquistare online il biglietto ed entrare direttamente in mostra.

Da non perdere le seguenti visite guidate ufficiali dedicate ai singoli visitatori:

giovedì 21 gennaio alle ore 17.00;
sabato 23 gennaio alle ore 16.00;
giovedì 21, venerdì 22, sabato 23 e domenica 24 gennaio alle ore 21.00.
Prenotazione obbligatoria tel. 055 2469600.

La mostra chiude nel segno del successo superando già oggi i 155.000 visitatori e rappresentando un forte richiamo per gli appassionati d’arte che possono visitare un’esposizione del tutto inedita nel suo genere. Curata da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi, la mostra nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Arcidiocesi di Firenze, l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e i Musei Vaticani inserendosi nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale, tenutosi a Firenze tra il 9 e il 13 novembre 2015.

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Attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani, tra cui Domenico Morelli, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova, e internazionali come Vincent van Gogh, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernst, Stanley Spencer, Georges Rouault, Henri Matisse, i visitatori sono guidati attraverso un secolo di arte sacra moderna. Le opere in mostra possono essere liberamente fotografate dai visitatori, grazie a questo Bellezza divina ci sorprende per l’innumerevole quantità di immagini, che seguendo l’hastag #BellezzadivinaFi, possono essere visualizzate sui canali social.

Non ci rimane che invitarvi a Palazzo Strozzi in occasione degli ultimi giorni di mostra!

Da Ciseri a Martini a Chagall: segni e metafore della storia nell’arte sacra

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Nel momento in cui la pala Maccabei di Antonio Ciseri (1857-1863) fu presentata, prima di raggiungere l’altare di Santa Felicita, fu accolta quale il maggiore raggiungimento italiano del Purismo di linea francese, “alla Ingres”, ma anche percepita come una composizione nutrita di complessi riferimenti formali e culturali, tali da suscitare molteplici interpretazioni. Lo attestano le recensioni del tempo, che davanti alla strage dei giovani Maccabei evocarono il ricordo del gruppo marmoreo dei Niobidi, ma anche le immagini – che certo erano negli occhi di molti – di più recenti martirii, quelli subiti da quanti non erano mai tornati dalle guerre di Indipendenza.

Nella sua imponenza, l’opera di Ciseri campeggia al centro della prima sala, dedicata a un affondo cronologico, a quegli anni vissuti dall’Italia in travaglio politico e culturale, ideologico ed etico, nella ricerca di un’unità nazionale; e ci avverte di come, negli intenti degli artisti o negli animi dei riguardanti, i soggetti sacri potessero prestarsi a costituire segni e metafore della contemporaneità. A percorrere la mostra con una lente di ingrandimento da storico, saranno infatti numerose le opere a rivelarsi allusive a fatti storici.

Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863

Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863, Firenze, Chiesa di Santa Felicita

E così, anche un soggetto evangelico evocativo di intimità domestica quale può apparire Nazareth di Maurice Denis (1905) – dove i bambini raffigurati ricordano quelli delle figlie di Berthe de La Laurencie già ritratte dal pittore – può celare riferimenti alla contemporaneità: se il tema della famiglia s’innesta su quello della Sacra famiglia (Maria con Elisabetta e, in disparte, san Giuseppe), è vero anche che il Gesù fanciullo assume il gesto di colui che insegna, certo in simbolo di opposizione e critica a quel processo di laicizzazione della scuola che in Francia condusse alle Leggi Combes (1905) che sottrassero il diritto all’insegnamento alle congregazioni religiose.

Maurice Denis, Nazareth, 1905, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Maurice Denis, Nazareth, 1905, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Se poi nel primo dopoguerra il passo evangelico del ritorno del figliol prodigo era diffuso e spesso adottato quale metafora di una riconciliazione tra la modernità e la classicità, sentita come necessaria dopo la frattura delle avanguardie, di “ritorno” alla tradizione, il Figliol prodigo di Arturo Martini (1927) si può eleggere a caso esemplare, non potendosi tuttavia esaurire come il riflesso di una moda iconografica. L’ampia cultura artistica dello scultore, memorie autobiografiche (la morte del padre) e una resa che partecipa dell’emozione di quel primo struggente contatto fisico, si fondono in uno dei manifesti della cultura artistica italiana degli anni Venti.

Arturo Martini, Figliol prodigo, 1927

Arturo Martini, Figliol prodigo, 1927, Acqui Terme, Casa di Riposo “Jona Ottolenghi”

Saranno tuttavia i temi della Passione di Cristo a venire diffusamente eletti a metafora del dramma della guerra, come avverrà soprattutto a ridosso del secondo conflitto mondiale, da Otto Dix a Manzù, da Sutherland a Chagall, per citare solo alcuni degli artisti presenti in mostra. Affiancate nel percorso espositivo sono, ad esempio, due Crocifissioni che ci dicono dell’atteggiamento di artisti italiani attorno 1940: Manzù in un piccolo bronzo raffigura nudi i personaggi, a voler rendere l’estrema prostrazione umana, ma pone un elmetto sul capo del soldato Longino che colpisce Cristo con la lancia, riportando così all’attualità della guerra; Guttuso, a proposito della sua monumentale tela, giudicata allora scandalosa e blasfema, aveva dichiarato: «Voglio dipingere il supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati… ma come simbolo di tutti coloro che subiscono l’oltraggio, carcere, supplizio, per le loro idee».

Crocifissione Giacomo Manzù e Renato Guttuso GNAM

A sinistra: Giacomo Manzù, Crocifissione, 1939-1940, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea; a destra: Renato Guttuso, Crocifissione, 1940-1941, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Poteva anche avvenire che un artista come Graham Sutherland (1947), secondo un procedimento creativo inverso rispetto a quello appena ricordato, nell’esigenza di raffigurare una Crocifissione, trovasse spunto non solo nella cultura artistica storica (il cinquecentesco altare di Isenheim di Grünewald, oggi a Colmar) o contemporanea (il Guernica di Picasso o le ricerche di Bacon intorno al tema della Crocifissione), ma proprio nell’attualità: nelle immagini dei cadaveri e dei sopravvissuti scattate dagli americani all’apertura di campi di sterminio tedeschi, dunque in quei «corpi torturati [che] sembravano figure deposte dalla croce», come dirà.

Graham Sutherland, Studio per la Crocifissione

Graham Sutherland, Studio per la Crocifissione, 1947, Città del Vaticano, Musei Vaticani

L’icona di questo traslato della Croce di Cristo come pena del mondo, è da vedersi infine nella Crocifissione bianca di Chagall, non solo perché vi si può leggere un invito al dialogo interreligioso tra cristiani ed ebrei, come è stato più volte sottolineato. L’uomo sulla croce si qualifica immediatamente come un ebreo (il tallit al posto del perizoma; la menorah ai piedi) e a circondarlo non sono i soldati di età romana, bensì i nazisti che incendiano le sinagoghe o le armate che devastano i paesi: siamo nel 1938. Tuttavia, in quelli che fuggono a piedi o accalcandosi sul barcone, nell’anziano che cerca di mettere in salvo i rotoli della legge (la sua cultura, la sua tradizione), in quella madre che corre quasi a uscire dal quadro stringendo il figlio (cercando uno scampo per gli affetti), ritroviamo tante immagini anche ricorrenti nel nostro tempo e siamo presi da sgomento e commozione forse come quelli che nel 1863 si trovarono davanti i martiri di Ciseri.

Queste e altre opere presenti in mostra, affrontate con animo di credente o con spirito laico, si impongono quali occasioni per riflettere sull’uomo, sul suo passato, sul suo futuro.

Marc Chagall, Crocifissione bianca

Marc Chagall, Crocifissione bianca, 1938, Chicago, The Art Institute of Chicago

Lucia Mannini, curatrice della mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina

Cinque motivi per visitare “Bellezza divina”, di Ludovica Sebregondi

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1)     UNA MOSTRA NUOVA E ORIGINALE
È una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta, dedicata a come gli artisti hanno affrontato il tema del sacro tra metà Ottocento e metà Novecento. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione, come la Madonna II di Munch. Ma, poiché l’esposizione nella parte centrale ripercorre le vicende della vita di Cristo, è una rassegna che può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

2)     RIUNISCE CAPOLAVORI DA MANUALE DI STORIA DELL’ARTE
È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nell’allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito da papa Francesco; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Lucio Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Renato Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private.

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3)     PERMETTE DI SCOPRIRE ARTISTI OGGI MENO NOTI
L’esposizione permette di riscoprire artisti oggi meno noti ma che hanno avuto fama in passato, come alcuni che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Gino Severini, Maurice Denis, Georges Rouault, Tullio Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista.

4)     CONSENTE UN DIALOGO INTERRELIGIOSO
La rassegna vede accostate espressioni artistiche che consentono un dialogo interreligioso, come la Crocifissione bianca di Chagall, artista di fede ebraica; l’Annunciazione di Vittorio Corcos, convertitosi dalla religione ebraica al cattolicesimo. Inoltre sono esposte opere di autori di formazione protestante, come Vincent van Gogh e Edvard Munch, Stanley Spencer, o Glyn Warren Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

5)     AMMIRARE DIECI OPERE RESTAURATE PER L’OCCASIONE
La mostra rappresenta l’occasione per ammirare dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare spese ingenti): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita a Firenze, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della basilica di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

Ludovica Sebregondi, curatrice della mostra e della Fondazione Palazzo Strozzi

Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina

La professione del registrar a Palazzo Strozzi

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Linda Pacifici si occupa del coordinamento delle mostre in qualità di Senior Registrar presso la Fondazione Palazzo Strozzi. È stata recentemente eletta Presidente di Registrarte, l’Associazione Italiana dei Registrar di Opere d’Arte, nata dall’esigenza di creare un network di comunicazione e collaborazione tra i professionisti che operano nel campo dell’organizzazione di mostre o della gestione di prestiti di opere d’arte.

Il registrar è una nuova figura museale che, pur essendo ben definita all’estero, sembra essere ancora poco riconosciuta in Italia. Di che cosa si occupa e come si diventa registrar?

Il registrar è “colui che segue le opere” e se ne prende cura in modo che queste non subiscano danni, sia quando sono esposte nel loro luogo abituale, sia quando si spostano in occasione delle mostre temporanee. In realtà il lavoro è molto più complesso e richiede anche delle conoscenze giuridiche per gestire i contratti di prestito ed economiche per compilare i budget. Purtroppo non esistono percorsi di studio specifici, ovviamente ci vuole una base di conoscenza di storia dell’arte, ma le altre competenze si acquistano più sul campo e secondo le proprie capacità personali.

Le competenze del registrar sono davvero trasversali e comprendono diverse azioni per mobilitare le opere d’arte provenienti da altri musei. Per la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, mostra ricca di capolavori prestigiosi, c’è stato un prestito che ha richiesto maggiori risorse dal punto di vista organizzativo?

Sicuramente la Crocifissione bianca di Marc Chagall proveniente dall’Art Institute di Chicago. E’ stata una trattativa complessa fin dall’inizio, soprattutto a causa dello spostamento del quadro in Battistero (in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale l’opera è stata esposta il 9 e 10 novembre nel Battistero di San Giovanni di Firenze, ndr). Essendo l’opera inserita in un climaframe, una sorta di cornice di cui noi vediamo solo il vetro davanti ma che in realtà chiude la tela anche sul retro mantenendone costante il livello di umidità e temperatura, non soffre molto le variazioni climatiche, ma è stata comunque fatta una misurazione del clima in Battistero una ventina di giorni prima dello spostamento per verificare che non ci fossero troppi sbalzi di umidità, molto dannosi per le opere. Inoltre la cassa è stata specificatamente costruita in modo da poter entrare nel nostro montacarichi, e quindi far uscire e rientrare l’opera agevolmente dalle sale espositive di Palazzo Strozzi. L’operazione si è svolta in due giorni sfruttando i momenti in cui la mostra era chiusa al pubblico: la mattina presto del 9 novembre e la sera del 10. Tutto lo spostamento è stato programmato nei minimi dettagli, e ha richiesto un discreto sforzo da parte del nostro ufficio.

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La movimentazione di un’opera d’arte prevede un iter ben preciso sotto l’aspetto burocratico e gestionale, sinteticamente quali sono i passaggi principali?

Per la gestione ci sono tanti aspetti che si riassumono in quattro grandi voci: condizioni di prestito, assicurazioni, trasporti e allestimento. Per prima cosa si deve richiedere il prestito di un’opera, e se questa viene concessa, si sigla un contratto di prestito che riassume tutte le condizioni, ad esempio se c’è bisogno di un restauro, se ci sono delle spese amministrative, quali sono le norme da seguire per il trasporto. Questa è un’operazione che si fa anche due o tre anni prima di una mostra. Qualche mese prima invece si inizia a lavorare su trasporti e assicurazioni, e si intavola una fitta corrispondenza con i prestatori per fissare ogni particolare e non lasciare niente al caso. Con l’architetto poi si verifica che l’allestimento non nasconda pericoli potenziali per la conservazione delle opere, e che siano rispettate le richieste dei prestatori, ad esempio l’impiego di vetrine, distanziatori, etc. Poche settimane prima dell’apertura della mostra infine si costruisce il piano degli arrivi delle opere e dei corrieri, le persone designate dai musei per seguire le opere in prestito. L’aspetto burocratico si connota soprattutto nell’ambito delle relazioni con il Ministero per i Beni Culturali, che deve rilasciare l’autorizzazione al prestito per le opere italiane e quella alla temporanea importazione per le opere provenienti dall’estero.

Alcune delle opere di Bellezza divina hanno richiesto un particolare intervento di restauro prima di poter essere esposte in mostra, come I Maccabei di Antonio Ciseri. In quale maniera una mostra temporanea può contribuire alla valorizzazione delle opere esposte?

Sicuramente i restauri, insieme ai cataloghi, sono la parte che rimane di una mostra, come le foto in un matrimonio. Spesso la partecipazione ad una mostra è per alcuni enti l’unica opportunità per fare degli interventi di restauro per i quali, altrimenti, non avrebbero i fondi. Per le chiese in particolare i restauri sono un bene prezioso. Bisogna verificare però che, al rientro nella sede abituale, non ci siano più le condizioni che avevano determinato il danneggiamento, come ad esempio le candele accese davanti all’altare o il calore prodotto da stufe.

 

Bellezza divina raccontata dal curatore Carlo Sisi

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La mostra Bellezza divina analizza e contestualizza oltre un secolo di arte sacra moderna attraverso un percorso di oltre 100 opere con prestiti da importanti musei e collezioni europei e americani. Cosa rende questa mostra un evento così importante per Firenze e a livello nazionale e internazionale?

Si tratta di una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nel nuovo allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito dal papa; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per  illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private. Inoltre ben dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare simili spese): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della chiesa di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

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Da dove è nata l’idea di una mostra che affronta un tema centrale della storia dell’arte, il genere dell’arte sacra, ma in una chiave originale e difficilmente studiata come la prospettiva dell’arte moderna? E con quale prospettiva il pubblico deve visitarla?

L’idea è nata da una sollecitazione dell’arcivescovo di Firenze, Sua Eminenza cardinale Giuseppe Betori, che ha pensato – in occasione del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale che avrà luogo a Firenze in novembre e che vedrà la presenza di papa Francesco – a un’esposizione di arte sacra in una sede laica. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, dunque non una mostra “confessionale”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione. Ma, poiché nella parte centrale ripercorre le vicende della Vita di Cristo, l’esposizione può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

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Grandi nomi come Van Gogh, Chagall, Millet, Fontana, Guttuso sono affiancati a quelli di artisti meno noti al grande pubblico in un’ampia varietà di stili e linguaggi. Credi sia possibile tracciare un fil rouge che segni il rapporto tra arte e sacro in epoca moderna? E quali delle opere esposte possono servire al pubblico come punti di riferimento imprescindibili?

La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Severini, Denis, Rouault, Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista. La mostra costituisce anche l’occasione per riscoprire artisti oggi meno noti, o che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La rassegna vede inoltre accostate espressioni artistiche che esprimono un dialogo interreligioso: la Crocifissione bianca di Chagall, di religione ebraica; opere di autori di formazione protestante, come Van Gogh e Munch, Spencer, o di Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

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Bellezza divina tra Van Gogh Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/mostre/bellezzadivina