I vuoti della Città ideale

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal edito da Marsilio ArteMorgan Ng, Assistant Professor al Dipartimento di Storia dell’Arte della Yale University, si ispira alle sculture che Kapoor fa emergere dal terreno per esplorare il mondo ipogeo come immaginato nel Rinascimento.

In questa città nulla sfugge allo sguardo. Teorie di palazzi si susseguono davanti agli occhi: volumi geometrici nitidi, logge ariose, fulgide incrostazioni di marmo, architetture composte da piani e angoli ben definiti, visibili su ogni lato. Il tempio rotondo al centro della piazza è l’unica forma che sfida l’impietosa logica rettilinea della città, i motivi ripetuti della pavimentazione e la sequenza senza fine di campate. Qui le ombre si fanno evanescenti. Si dissolvono sotto l’inarrestabile luce del sole che inonda le superfici lapidee e si riversa nel reticolo di strade, insinuandosi anche nelle fessure più nascoste.

Pittore dell’Italia centrale, Città ideale, 1480-1490 circa?, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.
Foto Scala, Firenze. Su concessione Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo.

Questa visione urbana, radiosa e inquietante, è il soggetto di un lungo dipinto orizzontale noto come “tavola di Urbino”. L’opera è stata presumibilmente eseguita alla fine del XV secolo da un maestro dell’Italia centrale per la dinastia dei Montefeltro, signori appunto di Urbino, città da cui prende il nome la tavola, ed è oggi esposta nell’antico Palazzo Ducale. La tavola di Urbino ha goduto di uno status leggendario nella storia dell’arte rinascimentale. Generazioni di studiosi hanno visto in esso il manifesto trionfale del senso umanistico della realtà che emerse in quel periodo. A questo soggetto il mondo si sottomette come oggetto di analisi empirica totalizzante, contemplazione razionale e ri-creazione utopica.

Ma la città ideale rivela davvero tutti i suoi segreti? Quali oscure realtà potrebbero celarsi dietro le brillanti superfici di questa fantasia albertiana?

Due pozzi ottagonali identici, posti simmetricamente alle due estremità della piazza, risaltano in primo piano davanti agli occhi dell’osservatore, come a segnare il bordo di un proscenio teatrale. Questi pozzi introducono nell’immagine nuove interferenze ottiche; disturbano la città ideale con vuoti invisibili e insondabili. I pozzi aperti tracciano assi che si immergono verticalmente nelle profondità invisibili del terreno. Dal punto di vista pittorico, producono lo stesso effetto inquietante di strane forme nere sospese in modo incongruente nel vuoto bianco e uniforme di una galleria espositiva modernista. Come tunnel spazio-temporali, queste aperture risucchiano l’immaginazione dell’osservatore da un mondo limpido, reticolare e conoscibile, trascinandola in una realtà alternativa dalle coordinate incerte.

Se potessimo seguire questa pista e scendere nei pozzi, arriveremmo probabilmente a un paesaggio sotterraneo come quello raffigurato da certi artisti e architetti del Quattrocento. Figure come Mariano Taccola da Siena o il suo seguace Francesco di Giorgio Martini, quest’ultimo forse collega del pittore della Città ideale alla corte dei Montefeltro (alcuni hanno addirittura ipotizzato che Francesco stesso possa essere l’autore della tavola). Nei loro disegni e schizzi la visione trascende limiti materiali e corporei. Le viscere della terra rivelano il loro contenuto come in una radiografia. Impenetrabili pareti montuose appaiono come volumi trasparenti che svelano la presenza di gallerie idrauliche e mulini sotterranei.

Macchinario sotterraneo alimentato ad acqua, in Mariano di Jacopo detto Taccola, De ingeneis ac edificiis, libri III-IV (1432-1433), fol. 22r, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Palatino 766)
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Su concessione del Ministero della Cultura

Queste visioni sotterranee trovano una sorprendente controparte nel più ampio immaginario letterario, teologico e artistico del Quattrocento. Si consideri il commento del 1472 alla Divina Commedia dantesca da parte di Antonio di Tuccio Manetti, architetto e intellettuale poliedrico. Manetti si prefisse un’impresa stupefacente: la descrizione topograficamente sistematica di «sito, forma e grandezza dell’Inferno». Con precisione numerica ossessiva, degna di Francesco di Giorgio Martini e delle sue geometrie sotterranee, specificò sia la larghezza dell’apertura sia la profondità di questa «enorme caverna». L’impulso rinascimentale a misurare razionalmente la terra assume qui una forma assurda e grottesca: il progetto di mappare una geografia infernale mai vista.

Mappa di Gerusalemme, del vano infernale e del monte Purgatorio, in Girolamo Benivieni, Dialogo di Antonio Manetti, cittadino fiorentino circa al sito, forma, et misure dello Inferno di Dante Alighieri poeta excellentissimo, Firenze, Filippo di Giunta, 1506, Cornell University
PJ Mode Collection of Persuasive Cartography, Cornell University, Ithaca, New York

In copertina: Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023