Oggetto/Non-oggetto

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal edito da Marsilio ArteTommaso Mozzati, professore di Storia dell’Arte Moderna all’Università degli Studi di Perugia, evidenzia la secolare vocazione della città di Firenze per la scultura.

Da Charles de Brosses a Joshua Reynolds, da Stendhal a John Ruskin, per arrivare alle esperienze sempre più frequenti della fine del secolo, il centro toscano si rispecchia nella sua galleria di sculture, venendo a identificarsi con quelle immagini, modello espressivo d’assoluta preminenza, testimonianza solida d’una funzione artefatta e archetipica.

Il Marchese de Sade perso nell’infilata delle sale della Galleria degli Uffizi – in Toscana nell’estate-autunno 1775 – avrebbe riunito nei carnets del suo Voyage d’Italie, il ricordo delle antichità restaurate da Michelangelo a quello delle Veneri anatomiche acquisite dal granduca, marmo contro cera, dividendo il racconto tra il capitolo dedicato alla galleria e quello sui moeurs degli abitanti, senza trascurare Gli effetti della peste di Gaetano Giulio Zumbo:

[…] si vede un sepolcro pieno d’innumerevoli cadaveri nei quali è possibile osservare i diversi gradi della decomposizione, dal cadavere di un uomo appena morto a quello completamente divorato da vermi.

Gaetano Giulio Zumbo, Gli effetti della peste, 1691-1695. Museo della Specola, Firenze.
Photo © Nicolò Orsi Battaglini/Bridgeman Images

Tale ribaltamento dell’immagine di Firenze, riscritta all’alba della modernità nella materia stessa dei suoi indici illustri, risuona con l’invito a un artista come Anish Kapoor, in città per la prima, grande mostra monografica, concepita tracciandone il cursus in opere più o meno recenti, dalle superfici immateriali di Newborn (2019) al rosso intenso, in assottigliamento perpetuo, dell’istallazione Svayambhu (2007), dai solidi di To Reflect an Intimate Part of the Red (1981) all’organico Tongue Memory (2016).
Da sempre infatti Kapoor sottolinea l’ambizione di cercare, attraverso il lavoro sul medium, «più di una mera presenza fisica» (nel rispetto della categoria del truly made o «fatto realmente», tratteggiata nel 1998 da Homi K. Bhabha «come l’incontro del materiale con il non-materiale»), il desiderio di tradurre, in «ogni oggetto concreto […] un pari non-oggetto, misterioso».

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Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze.
Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023
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Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze.
Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

Nella scarsezza di rimandi espliciti agli Old Masters del pantheon occidentale, è in questo senso significativo che il titolo imposto alla colossale realizzazione per la Turbine Hall della Tate Modern inaugurata nell’ottobre del 2002 nell’ambito della Unilever Series rappresenti invece un omaggio inequivocabile. Stando a quanto sottolineato da Thomas Zaunschirm, l’idea di chiamarla Marsyas (2002) fu suscitata in Kapoor dal ricordo della tela di Tiziano consacrata al supplizio del sileno, un capolavoro estremo conservato al Museo Arcivescovile di Kroměříž, che avrebbe fatto un passaggio a Londra per la mostra monografica aperta appena qualche mese dopo negli spazi della National Gallery. Un mito sanguinoso di “svuotamento”, di “scarnificazione”, quello centrato sul supplizio imposto da Apollo al suo concorrente in una gara musicale; ma anche il richiamo a un’assenza, a un negativo, al “non oggetto” costituito dalla pelle di Marsia, come allusa nella membrana in PVC usata da Kapoor per la sua scultura, gonfia di vuoto e d’ombra.

Non a caso, riferendosi al Rinascimento in una rara dichiarazione sul tema condivisa con Donna De Salvo nel 2002, Kapoor avrebbe affermato:

Come oggetto, cercavo di collegarlo alla storia dell’arte e a uno schema mitologico che mi interessa perché oscuro. […] lo trasforma in un corpo. Rovescia lo spazio, non solo quello dell’immaginazione, ma anche quello delle viscere.

È in questa convinzione che il percorso dell’artista avverte la creazione artistica come un passaggio verso «il non familiare – unheimlich – l’insoluto, qualcosa di restituito allo spazio psichico, allo spazio psicologico», laddove il concetto freudiano, quello del “perturbante”, suggerisce «uno spazio che è interiore», rendendo ogni opera un diaframma varcato dallo sguardo di chi le sta di fronte, in grado di ripensarsi attraverso di essa con inedita lucidità.

Anish Kapoor, Marsyas, 2002, Tate Modern, London.
Photo John Riddy ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

Il testo è un estratto dal catalogo Anish Kapoor. Untrue Unreal, curato da Arturo Galansino e pubblicato da Marsilio Arte in occasione della mostra di Palazzo Strozzi. Puoi acquistare il catalogo al bookshop di Palazzo Strozzi, in libreria oppure negli store online.