Stormi possibili

Esperienza collettiva con Marina Arienzale

L’ambizione è la perdizione delle idee.
Il fallimento delle rivoluzioni sta nel creare delle aspettative
che in realtà non si possono realizzare.
Concentriamoci su delle rivoluzioncelle!
Noi ci siamo accontentati di meno:
invece di cambiare il mondo, abbiamo cambiato noi stessi.

La mostra Nascita di una Nazione racconta un periodo di cambiamento per l’Italia, un paese che si sta ricostruendo dopo la ferita della seconda guerra mondiale.
Diventare “nazione” significa stare insieme e sentirsi gruppo, comunità e gli artisti in quel periodo hanno riflettuto, rappresentato e interpretato questa spinta verso la collettività con le loro opere, anche considerando in maniera crescente l’osservatore nello stesso processo di creazione.
L’esperienza con Marina Arienzale parte da una riflessione sul concetto di identità collettiva, riportandolo alla realtà di ognuno di noi: quando ci sentiamo veramente parte di un gruppo? Quando riusciamo a essere in contatto con le altre persone? Quanto stare insieme agli altri ci trasforma? E come si può favorire questo processo?
Il laboratorio ha previsto una scansione in tre fasi: un riscaldamento per prendere confidenza con noi stessi e poi con gli altri; un lavoro di gruppo con la creazione di una coreografia collettiva; infine l’uscita negli spazi della mostra, negli spazi della mostra.
L’esperienza è stata ripetuta quattro volte, una per ogni ciclo. Alcuni elementi sono rimasti invariati, altri sono stati modificati ma tutte le volte l’incontro è stato profondamente diverso.

width=

Il riscaldamento

Veniamo da fuori, siamo accaldati e affaticati. Respiriamo, rilassiamoci.
Come in un “massaggio interno” abbiamo prestato attenzione alla nostra fisicità, al nostro essere presenti con tutto il nostro corpo. Abbiamo chiuso gli occhi e quando li abbiamo riaperti ci siamo guardati in un piccolo specchio.
Alla fine abbiamo incontrato gli altri, con lo sguardo e poi attraverso il contatto.

Cosa vedi nello specchio?

Le grinze che ho nel collo, ma sono di moda!
Mi fanno simpatia i segno del tempo, mi fanno allegria, ci sono quando rido. Una sorta di benevolenza verso il cambiamento – Poi ti passa!
Nello specchio era meglio se non guardavo – Non è vero, te lo posso assicurare io! A parte che ho sbagliato a mettere la camiciola.
Porina… C’ho i figlioli, poi sennò trovavo chissà cosa. Però ci vado.
Non ho mai tempo di guardarmi allo specchio… Ho visto che ho il colletto sporco.
Mi sono visto differente – ovvia, l’ho cambiato!
Io sono sempre allegro, sorridente. Mi sono visto serio, e anche differente.
Mi piacciono i capelli bianchi ma qui iniziano a cadere.
I capelli bianchi ce li ho anch’io: a chi non vengono vuol dire che muore prima!
A seconda dell’angolazione mi piaccio – Allora tienilo dalla parte dove ti vedi bella!
Mi vedo non giovane.
Io vedo i miei occhiali, che sono dei fanali e nascondono le rughe.
Ho accettato lo specchio perché cambia a seconda delle angolazioni, però sono io e
va bene così.
Io non amo essere fotografata perché nel 90% non mi riconosco però sono io. E lo
stesso lo specchio, ma va bene così. C’ho messo tanto ad avere le grinze!
Ho visto un viso che non avevo visto mai…
Senti, io mi sono fatta anche i capelli… E pensavo meglio. Però che ti devo dire?
[Nello specchio] c’ero io, capito?
Io vedo me stessa, quello che sono e quello che mi piace essere. Né più né meno.
Ho visto le mie occhiaie e mi ha incuriosito vedere le cose dietro di me.
Ho visto un po’ di cattiveria.
Ho visto il colore dei miei occhi che cambia.
All’inizio ho visto la mia faccia sola poi quello che c’è dietro e poi l’ho fatto girare e mi sono visto in mezzo alla stanza.
Ci si fa la luce.

Il giramento di scatole, io, con l’intento di far passare questa sensazione.
Bianco. Il soffitto. L’antincendio e le basi delle volte.
Ho visto me, una sensazione di piacere di essere qui. Nella vita non si finisce mai di imparare.
Il piacevole scorrimento del tempo.
Voglia di cambiare le cose.
Un capello bianco. L’invecchiamento di una persona.
Un mostriciattolo, una portatrice di pane.
Mi sono vista me, sono brutta, tutt’apposto.
Una faccia stravolta.
La ricrescita.
Una persona più grande di quello che pensavo di essere.
Dei capelli troppo corti, ho cambiato prospettiva e ho visto gli altri accanto a me.
Due me. Una su una superficie che riflette e una ancora da scoprire.
Belle rughe di invecchiamento, sono contenta che ci siano, vuol dire che siamo qui.
Le rughe della fronte, fino a qualche anno fa non c’erano. Cambiamenti.
Mi sono vista per me.
Una faccia meno sconvolta di quello che credevo e due belle finestre aperte verso l’esterno.
Una faccia più sconvolta di quello che credevo. Mi ricordavo diversa. Sono passate delle ore.
All’inizio avevamo due specchietti, Remo ha visto il suo babbo e io che mi è colato il rimmel, poi li abbiamo sovrapposti e ci siamo visti insieme.

Che cosa ho visto nello specchio? Che son vecchia… Non son più giovane.
Tanti difetti, poi ho spostato il centro dell’attenzione e ho visto tanti capelli bianchi che adoro.
Occhi stanchi. Li ho chiusi e li ho riaperti più rilassata.
Lo specchio? L’ho regalato.
Una donna non arriva mai a non volerlo uno specchio, è piuttosto importante.
Ho visto una persona che sa fare sorrisi a uno specchio.
Tutti i difetti, un sacco di difetti, ma sono rilassata.
Lo specchio l’ho guardato, ma l’ho levato subito.
Mi sono guardata per me e ho visto che sono un po’ invecchiata e un po’ confusa.
Ho visto capelli bianchi e rughe ma sono serena e riposata.
Mi son vista io… Son tutta spettinata, mi son fatta paura… Ma non mi pettinare.
Ho visto il mio aspetto, ma sono contenta e soddisfatta di essere qui, ha funzionato… Siamo arrivati tutti di corsa e ora siamo rilassati.
Mi sono guardato molto soprattutto dal naso in giù. È strano sembrava di vedere la faccia di un altro. Nel corpo lo senti che sei te ma l’immagine è diversa.
Un’immagine diversa dall’immagine che ho di me. Tra come sono e come mi vedo c’è uno scollamento.
È strano guardarsi in questo specchio, puoi vederti da molto vicino ma c’è una luce molto forte.
Occhi curiosi in cerca di qualcosa e tante impronte digitali.
Non ho visto nulla… Posso tenerlo solo girato.

La Marchesa la vòle.
Vi siete rilassati? Sì.
[Vedo] che te tu se’ una figliola dimolto attiva. Che fai sempre alla svelta, tu sei svelta, corri.
Che vedo di me? [Si aggiusta i capelli]
Vedo lei che la mi vuol bene. C’è lei, anche, a vedere.
Ho visto che fra un po’ mi addormento.
Io non mi specchio. Non ho confidenza con lo specchio, non ho tempo [di guardarmi].
Abbiamo anche uno specchio in ascensore, in struttura: e io evito di prenderlo.
So’ ingrassata, anche, da quando sono qui [in Italia]! Diciotto anni – ora a ottobre diciotto anni.
A me [lo specchio in mano] mi ha messo in difficoltà.
Mah! Non mi vedo bene. Mi sembra di vedere il viso gonfio, un’altra. No, non mi garba.
Tanti pensieri, mentre mi specchio. Tanti frammenti, tante frazioni di pensiero.
Come sempre, la prima cosa che mi viene in mente se mi guardo è “Oddio in che condizioni sono”!
Stavolta mi è caduto lo sguardo sui margini della bocca, dove ci sono delle rughe
di espressione. Compaiono la sera e la mattina dopo svaniscono. È come se ogni giorno lasciasse una traccia.
Non mi sono mai visto in queste condizioni. Lo sguardo è sempre proiettato verso l’esterno.
E quindi, chiedergli di fare l’introspezione…
Nulla, no. Non lo vedo bene. Non c’è.
Sì, anche io mi sono concentrata sulle rughe di espressione.
E poi ho visto che ho gli occhi un po’ sgranati, un po’ di mal di testa.
E poi ho pensato che ho una faccia stanca, [sottovoce, a se stessa] stanca.
Anch’io non mi rendevo conto di avere una faccia così stanca.
Mi sono vista così stanca, un sacco di difetti – ero un po’ in difficoltà. Allora dopo mi
sono concentrata su questi orecchini, che sono un regalo, qualcosa di più piacevole.
Le altre volte non mi sono guardata. Stavolta sì: dopo un periodo un po’ duro.
Ho visto il mio sguardo un po’ più pieno, tranquillo – più pieno, ecco.
Anch’io mi sono guardato – un pochino: le altre volte è stato così divertente.
Ci incontri sempre qualcuno che non conosci.
Ho guardato la parte bassa della mia faccia, morbida e cedevole.
Ho fatto delle smorfie, per vedere quanto era elastica.

width=

La coreografia collettiva
Per mano ognuno è stato invitato a prendere posto in uno spazio reso neutro e protetto, preparato con alcune sedie e arricchito da una musica di sottofondo*.
Senza usare nessuna indicazione verbale, sono iniziate delle coreografie spontanee guidate via via da qualcuno. C’è chi ha seguito e ripetuto, chi ha preferito stare fermo. Qualcuno ha fatto un assolo, ballando.
Nessuno ha avuto indicazioni precise su cosa doveva fare e in questa incertezza
sono nate possibilità per far nascere qualcosa di nuovo.

width=

Uscire nel mondo – Gli stormi possibili
Dopo esserci esercitati, siamo usciti e abbiamo esplorato le sale della mostra, incontrando gli altri visitatori. L’invito è stato quello di provare a stare insieme sentendo la presenza degli altri, come negli stormi di uccelli: camminando nella stessa direzione dei vicini, evitando di urtarli e prestando ascolto ai comportamenti di ognuno, senza avere un solo individuo che guida.
L’idea era quella di favorire un comportamento collettivo autorganizzato dove il comando costantemente passa da una persona all’altra.
La prima volta siamo usciti a piccoli gruppi, ma abbiamo faticato a mantenere la coesione. La seconda abbiamo usato delle corde per stare insieme, ma ci siamo sentiti troppo legati. La terza siamo usciti come un gruppo unico, più grande ma di nuovo ognuno è andato per la sua strada, attirato da stimoli distanti.
Forse questa modalità non è adatta per attraversare uno spazio espositivo?
Forse la forza delle opere è tale da prevalere sull’idea di stare insieme come gruppo di persone?
Forse percepiamo le sale come uno spazio protetto e ci sentiamo liberi di muoverci quasi dimenticando gli altri?
Nel quarto incontro abbiamo deciso di assecondare quello che ci sembrava il modo più naturale di visitare la mostra. I partecipanti di A più voci sono sempre coppie, e quindi ognuno è stato invitato a esplorare le sale dell’esposizione con un’altra persona. Abbiamo però formato altre coppie per favorire nuovi incontri e a due, tutti hanno riattraversato le sale, secondo i propri tempi con la libertà di muoversi, fermarsi e parlare.

* Santosh, Polka Of Wrath; Tres Tristes Tangos, Klderen Polka (http://freemusicarchive.org/)

width=