Speciale ultimi giorni di “Bellezza divina”

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Si avvia al termine la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana inaugurata lo scorso 24 settembre a Palazzo Strozzi. Domenica 24 gennaio sarà infatti l’ultimo giorno disponibile per poter visitare l’esposizione dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento.

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In occasione degli ultimi giorni di apertura, da giovedì 21 a domenica 24 gennaio, l’orario di Bellezza divina sarà eccezionalmente prolungato fino alle ore 23:00, con ultimo ingresso alle ore 22:00. Se desiderate evitare la coda, è possibile acquistare online il biglietto ed entrare direttamente in mostra.

Da non perdere le seguenti visite guidate ufficiali dedicate ai singoli visitatori:

giovedì 21 gennaio alle ore 17.00;
sabato 23 gennaio alle ore 16.00;
giovedì 21, venerdì 22, sabato 23 e domenica 24 gennaio alle ore 21.00.
Prenotazione obbligatoria tel. 055 2469600.

La mostra chiude nel segno del successo superando già oggi i 155.000 visitatori e rappresentando un forte richiamo per gli appassionati d’arte che possono visitare un’esposizione del tutto inedita nel suo genere. Curata da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi, la mostra nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Arcidiocesi di Firenze, l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e i Musei Vaticani inserendosi nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale, tenutosi a Firenze tra il 9 e il 13 novembre 2015.

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Attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani, tra cui Domenico Morelli, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova, e internazionali come Vincent van Gogh, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernst, Stanley Spencer, Georges Rouault, Henri Matisse, i visitatori sono guidati attraverso un secolo di arte sacra moderna. Le opere in mostra possono essere liberamente fotografate dai visitatori, grazie a questo Bellezza divina ci sorprende per l’innumerevole quantità di immagini, che seguendo l’hastag #BellezzadivinaFi, possono essere visualizzate sui canali social.

Non ci rimane che invitarvi a Palazzo Strozzi in occasione degli ultimi giorni di mostra!

Da Ciseri a Martini a Chagall: segni e metafore della storia nell’arte sacra

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Nel momento in cui la pala Maccabei di Antonio Ciseri (1857-1863) fu presentata, prima di raggiungere l’altare di Santa Felicita, fu accolta quale il maggiore raggiungimento italiano del Purismo di linea francese, “alla Ingres”, ma anche percepita come una composizione nutrita di complessi riferimenti formali e culturali, tali da suscitare molteplici interpretazioni. Lo attestano le recensioni del tempo, che davanti alla strage dei giovani Maccabei evocarono il ricordo del gruppo marmoreo dei Niobidi, ma anche le immagini – che certo erano negli occhi di molti – di più recenti martirii, quelli subiti da quanti non erano mai tornati dalle guerre di Indipendenza.

Nella sua imponenza, l’opera di Ciseri campeggia al centro della prima sala, dedicata a un affondo cronologico, a quegli anni vissuti dall’Italia in travaglio politico e culturale, ideologico ed etico, nella ricerca di un’unità nazionale; e ci avverte di come, negli intenti degli artisti o negli animi dei riguardanti, i soggetti sacri potessero prestarsi a costituire segni e metafore della contemporaneità. A percorrere la mostra con una lente di ingrandimento da storico, saranno infatti numerose le opere a rivelarsi allusive a fatti storici.

Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863

Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863, Firenze, Chiesa di Santa Felicita

E così, anche un soggetto evangelico evocativo di intimità domestica quale può apparire Nazareth di Maurice Denis (1905) – dove i bambini raffigurati ricordano quelli delle figlie di Berthe de La Laurencie già ritratte dal pittore – può celare riferimenti alla contemporaneità: se il tema della famiglia s’innesta su quello della Sacra famiglia (Maria con Elisabetta e, in disparte, san Giuseppe), è vero anche che il Gesù fanciullo assume il gesto di colui che insegna, certo in simbolo di opposizione e critica a quel processo di laicizzazione della scuola che in Francia condusse alle Leggi Combes (1905) che sottrassero il diritto all’insegnamento alle congregazioni religiose.

Maurice Denis, Nazareth, 1905, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Maurice Denis, Nazareth, 1905, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Se poi nel primo dopoguerra il passo evangelico del ritorno del figliol prodigo era diffuso e spesso adottato quale metafora di una riconciliazione tra la modernità e la classicità, sentita come necessaria dopo la frattura delle avanguardie, di “ritorno” alla tradizione, il Figliol prodigo di Arturo Martini (1927) si può eleggere a caso esemplare, non potendosi tuttavia esaurire come il riflesso di una moda iconografica. L’ampia cultura artistica dello scultore, memorie autobiografiche (la morte del padre) e una resa che partecipa dell’emozione di quel primo struggente contatto fisico, si fondono in uno dei manifesti della cultura artistica italiana degli anni Venti.

Arturo Martini, Figliol prodigo, 1927

Arturo Martini, Figliol prodigo, 1927, Acqui Terme, Casa di Riposo “Jona Ottolenghi”

Saranno tuttavia i temi della Passione di Cristo a venire diffusamente eletti a metafora del dramma della guerra, come avverrà soprattutto a ridosso del secondo conflitto mondiale, da Otto Dix a Manzù, da Sutherland a Chagall, per citare solo alcuni degli artisti presenti in mostra. Affiancate nel percorso espositivo sono, ad esempio, due Crocifissioni che ci dicono dell’atteggiamento di artisti italiani attorno 1940: Manzù in un piccolo bronzo raffigura nudi i personaggi, a voler rendere l’estrema prostrazione umana, ma pone un elmetto sul capo del soldato Longino che colpisce Cristo con la lancia, riportando così all’attualità della guerra; Guttuso, a proposito della sua monumentale tela, giudicata allora scandalosa e blasfema, aveva dichiarato: «Voglio dipingere il supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati… ma come simbolo di tutti coloro che subiscono l’oltraggio, carcere, supplizio, per le loro idee».

Crocifissione Giacomo Manzù e Renato Guttuso GNAM

A sinistra: Giacomo Manzù, Crocifissione, 1939-1940, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea; a destra: Renato Guttuso, Crocifissione, 1940-1941, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Poteva anche avvenire che un artista come Graham Sutherland (1947), secondo un procedimento creativo inverso rispetto a quello appena ricordato, nell’esigenza di raffigurare una Crocifissione, trovasse spunto non solo nella cultura artistica storica (il cinquecentesco altare di Isenheim di Grünewald, oggi a Colmar) o contemporanea (il Guernica di Picasso o le ricerche di Bacon intorno al tema della Crocifissione), ma proprio nell’attualità: nelle immagini dei cadaveri e dei sopravvissuti scattate dagli americani all’apertura di campi di sterminio tedeschi, dunque in quei «corpi torturati [che] sembravano figure deposte dalla croce», come dirà.

Graham Sutherland, Studio per la Crocifissione

Graham Sutherland, Studio per la Crocifissione, 1947, Città del Vaticano, Musei Vaticani

L’icona di questo traslato della Croce di Cristo come pena del mondo, è da vedersi infine nella Crocifissione bianca di Chagall, non solo perché vi si può leggere un invito al dialogo interreligioso tra cristiani ed ebrei, come è stato più volte sottolineato. L’uomo sulla croce si qualifica immediatamente come un ebreo (il tallit al posto del perizoma; la menorah ai piedi) e a circondarlo non sono i soldati di età romana, bensì i nazisti che incendiano le sinagoghe o le armate che devastano i paesi: siamo nel 1938. Tuttavia, in quelli che fuggono a piedi o accalcandosi sul barcone, nell’anziano che cerca di mettere in salvo i rotoli della legge (la sua cultura, la sua tradizione), in quella madre che corre quasi a uscire dal quadro stringendo il figlio (cercando uno scampo per gli affetti), ritroviamo tante immagini anche ricorrenti nel nostro tempo e siamo presi da sgomento e commozione forse come quelli che nel 1863 si trovarono davanti i martiri di Ciseri.

Queste e altre opere presenti in mostra, affrontate con animo di credente o con spirito laico, si impongono quali occasioni per riflettere sull’uomo, sul suo passato, sul suo futuro.

Marc Chagall, Crocifissione bianca

Marc Chagall, Crocifissione bianca, 1938, Chicago, The Art Institute of Chicago

Lucia Mannini, curatrice della mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina

I Focus mostra preferiti da Facebook su “Bellezza divina”

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Guttuso trascende la Crocifissione in un capoletto

«Il committente vuole una Crocifissione da mettere in capo al letto. Come farà a tenere sospesa sui suoi sogni la scena di un supplizio? Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati, ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee».

width=Renato Guttuso, Crocifissione, 1940-1941, Roma, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Francia e Giappone

L’Angelus, preghiera che ricorda il saluto dell’angelo a Maria durante l’Annunciazione, già dal Trecento invitava i fedeli – con tre rintocchi brevi della campana della chiesa, seguiti da uno più lungo – al mattino, a mezzogiorno e alla sera alla recita dell’Ave Maria. Attraverso il suono delle campane il rito liturgico pervadeva la vita quotidiana, come attesta il poetico dipinto di Millet. E che la necessità di una pausa nel lavoro per un momento di raccoglimento sia universale, lo attesta l’attenzione del mondo giapponese per questo quadro: il Yamanashi Prefectural Museum of Art, accoglie infatti, oltre a opere di Millet, un video sull’Angelus.

width=Jean-François Millet, Angelus, 1857-1859, Parigi, Musée d’Orsay

Cento metri e un secolo e mezzo

Tra il numero 14 di via delle Belle Donne e Palazzo Strozzi la distanza è brevissima: un centinaio di metri appena. Nel suo studio posto proprio in via delle Belle Donne, Ciseri ha dipinto i Maccabei, l’imponente tela che accoglie i visitatori nella prima sala della mostra. Quello stesso studio alla fine del Settecento aveva ospitato Elisabeth Vigée Le Brun e, tra il 1820 e il 1824 Jean Auguste Dominique Ingres. Una lapide sulla facciata ricorda la presenza di Ciseri che, nel 1863, alla fine della lunga gestazione dei Maccabei, vi espose l’opera al pubblico con grande successo. Dal 1° agosto 1863 la tela è al terzo altare della chiesa fiorentina di Santa Felicita, ma – dopo un attento restauro – è adesso tornata per qualche mese vicino al luogo della sua creazione.

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Dettaglio in alto: targa via delle Belle Donne 14, Firenze; dettaglio in basso: Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863, Firenze, Chiesa di Santa Felicita

“L’eremita che conosceva a memoria l’orario dei treni”, ma anche l’arte fiorentina

Gustave Moreau – “l’eremita che conosceva a memoria l’orario dei treni” secondo Degas – fu spesso a Firenze. L’attenzione con cui frequentava i musei è dimostrata dallo sguardo ieratico del santo che è ricordo dei primitivi italiani, dalla selva di lance e dal cavallo che rinviano all’episodio della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello conservata agli Uffizi, dalla figura di soldato a destra che è citazione – rovesciata – della figura del re nei Diecimila martiri del Pontormo alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti.

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A sinistra: Gustave Moreau, San Sebastiano, 1870-1875 o 1890 circa, Parigi, Musée Gustave Moreau. Dettaglio in alto: Paolo Uccello, Battaglia di San RomanoDisarcionamento di Bernardino della Ciarda, 1438, Firenze, Galleria degli Uffizi. Dettaglio in basso: Jacopo Pontormo, Diecimila martiri, 1529-1530, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina. 

Un angelo scarmigliato

Può il pittore Glyn Warren Philpot (Londra 1884-1937) per il suo Angelo dell’Annunciazione del 1925 non aver guardato allo scarmigliato Davide con la testa di Golia di Tanzio conservato alla Pinacoteca civica di Varallo, che risale al 1625, precisamente trecento anni prima? Un angelo acrobatico, e vagamente inquietante, che fa pensare anche a Lotto, Pontormo o Rosso Fiorentino, ma quel muscoloso braccio nudo che fende il quadro, quei riccioli biondi, quel volto triangolare, fanno presumere che il pittore inglese abbia conosciuto il capolavoro di Tanzio da Varallo.

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A sinistra: Tanzio da Varallo, Davide e Golia, 1625 circa, Varallo, Pinacoteca civica.     A destra: Glyn Warren Philpot, L’angelo dell’Annunciazione, 1925, Brighton and Hove, Royal Pavilion & Museums

Van Gogh e la litografia rovinata

Dall’ospedale psichiatrico Saint-Paul presso Saint-Remy Van Gogh scrive al fratello Theo: «mi è successa una disgrazia; quella litografia di Delacroix, la Pietà, con altre tavole era caduta nell’olio e nella pittura e si era rovinata. […] Ne ho fatto una copia che credo sia sentita». L’immagine, trattandosi di un’incisione, è rovesciata rispetto al piccolo dipinto di Delacroix oggi a Oslo, e Van Gogh reinterpreta il bianco e nero utilizzando una gamma cromatica ridotta agli azzurri, grigi e gialli. Al Cristo morto Vincent ha dato i propri tratti: un Gesù dai capelli rossi e dalla barba corta che è l’immagine interiore della Passione, espressione della sofferenza dell’artista stesso.

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A sinistra: Vincent van Gogh, Pietà (da Delacroix), 1889 circa, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea. A destra: Eugène Delacroix, Pietà, 1850 circa, Oslo, Nasjonalgalleriet

Focus a cura di Ludovica Sebregondi, curatrice della mostra e della Fondazione Palazzo Strozzi

Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina

Cinque motivi per visitare “Bellezza divina”, di Ludovica Sebregondi

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1)     UNA MOSTRA NUOVA E ORIGINALE
È una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta, dedicata a come gli artisti hanno affrontato il tema del sacro tra metà Ottocento e metà Novecento. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione, come la Madonna II di Munch. Ma, poiché l’esposizione nella parte centrale ripercorre le vicende della vita di Cristo, è una rassegna che può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

2)     RIUNISCE CAPOLAVORI DA MANUALE DI STORIA DELL’ARTE
È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nell’allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito da papa Francesco; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Lucio Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Renato Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private.

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3)     PERMETTE DI SCOPRIRE ARTISTI OGGI MENO NOTI
L’esposizione permette di riscoprire artisti oggi meno noti ma che hanno avuto fama in passato, come alcuni che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Gino Severini, Maurice Denis, Georges Rouault, Tullio Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista.

4)     CONSENTE UN DIALOGO INTERRELIGIOSO
La rassegna vede accostate espressioni artistiche che consentono un dialogo interreligioso, come la Crocifissione bianca di Chagall, artista di fede ebraica; l’Annunciazione di Vittorio Corcos, convertitosi dalla religione ebraica al cattolicesimo. Inoltre sono esposte opere di autori di formazione protestante, come Vincent van Gogh e Edvard Munch, Stanley Spencer, o Glyn Warren Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

5)     AMMIRARE DIECI OPERE RESTAURATE PER L’OCCASIONE
La mostra rappresenta l’occasione per ammirare dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare spese ingenti): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita a Firenze, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della basilica di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

Ludovica Sebregondi, curatrice della mostra e della Fondazione Palazzo Strozzi

Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/bellezzadivina