Tre scienziati, una pilota e un artista

Assistere a un dialogo tra un artista, due curatori, tre scienziati, una politologa, un giornalista e una pilota di mongolfiere può sembrare un evento assai raro e quasi inverosimile. Tuttavia, per celebrare l’apertura della sua mostra a Palazzo Strozzi, Tomás Saraceno è riuscito a far dialogare tra loro queste persone, unendo la propria arte alle più varie forme di sapere. Le sue opere sono per definizione poliedriche e polisemiche. Riferimenti al mondo dell’astronomia, della biologia e delle scienze sociali si uniscono a creare un punto di incontro tra scienze e arti: un intreccio profondo, capace di affascinare anche gli esperti più diversi, che trovano così un’occasione unica per dialogare.

L’Aria Talk, tenutosi al Cinema Odeon di Firenze il 22 febbraio scorso, è stato il grande evento di apertura della mostra Tomás Saraceno. Aria, che ha visto la partecipazione di Tomás Saraceno, Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Melisa Argento (politologa e ricercatore), Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale), Stefano Mancuso (direttore, LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale), Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) e Marco Filoni (giornalista e ricercatore).

Più che una semplice conversazione aperta al pubblico è stata innanzitutto una vera e propria festa per celebrare i record stabiliti con il progetto Fly with Aerocene Pacha. Il 28 gennaio 2020 infatti, nelle Salinas Grandes di Jujuy, in Argentina, Saraceno e la comunità di Aerocene hanno fatto volare un’enorme scultura simile a una mongolfiera. Per la prima volta nella storia un essere umano ha volato nel cielo con il solo calore del sole e dell’aria che tutti respiriamo, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, batterie al litio o elio. La pilota Leticia Marqués è così riuscita a stabilire sei record mondiali nelle categorie generale e femminile per altezza, distanza e durata di volo completamente libero, certificato dalla Fédération Aéronautique Internationale (FAI). La grande avventura, parte del progetto CONNECT, BTS a cura di Daehyung Lee, è stata documentata da punti di vista molteplici, secondo la sensibilità di diversi registi, dando vita al documentario Fly with Aerocene Pacha (2020, 28’).

Il progetto Fly with Aerocene Pacha è, come la stessa arte di Saraceno, fortemente interdisciplinare. L’arte è il collante tra diverse scienze e metodologie che riescono a cooperare per un fine ultimo: immaginare un mondo migliore guidato da una nuova sensibilità nei confronti della natura, delle comunità e degli altri esseri viventi. Per questo motivo l’artista ha chiamato a sé un gruppo di scienziati e ricercatori per poter leggere, con gli occhi dell’arte, il mondo che ci circonda.

Il pensiero di Tomás Saraceno, come quello della politologa Melisa Argento, non poteva non andare alle comunità Kollas e Atacamas che vivono attorno alle saline di Jujuy, dove si è svolto il progetto Aerocene Pacha. Qui, infatti, l’estrazione massiva del litio sta distruggendo il territorio, compromettendo l’integrità di questo luogo. Secondo la testimonianza di Saraceno:

«Le popolazioni che vivono in questo posto hanno un altro modo di relazionarsi con la terra, hanno un’altra ritualità e hanno un’altra memoria. Quindi, quando parliamo degli umani bisogna stare molto attenti, perché ci sono comunità nel mondo che hanno modi diversi di relazionarsi con il territorio. Il lago salato è un luogo sacro per loro, è un luogo diverso e hanno una memoria sul posto che continuano ad ereditare da molto più di 500 anni, quando si crede che l’America sia stata scoperta da qualcuno – quindi con un discorso postcoloniale che deve entrare in quanto stiamo facendo. E dobbiamo tentare di mettere in relazione questa memoria con l’intelligenza e la memoria delle piante, con l’intelligenza e la memoria dei ragni, con l’intelligenza e la memoria del pianeta Terra in relazione al Cosmo. Quindi possiamo parlare dell’intelligenza, come diceva James Lovelock, di Gaia, di un organismo che anche si può organizzare e reagisce».

Le comunità umane non sono le uniche in pericolo. Gli aracnidi e gli insetti sono i primi a vivere la cosiddetta “sesta estinzione di massa”. La biologa Lisa Signorile ha preso più volte le difese dei ragni. Sono infatti esseri antichissimi, sopravvissuti a numerose avversità evolutive, come le precedenti cinque estinzioni di massa.

«Quelli che nel Devoniano, stiamo parlando di 380 milioni anni, sono saliti sulla terra non erano ancora effettivamente i nostri ragni, ma ci somigliavano tantissimo: riuscivano già a fare la tela tra le altre cose. Quindi stiamo parlando di animali che hanno vissuto 380 milioni anni sulla terraferma passando indenni attraverso cinque estinzioni di massa, come se niente fosse. I ragni moderni hanno qualcosa come 200/250 milioni di anni in realtà. La ragnatela più antica di cui abbiamo traccia in Ambra del Sussex dell’Inghilterra ha 110 milioni anni. Noi ciabattiamo questi animali senza nessun ritegno. Noi abbiamo qualche centinaio di migliaia di anni, loro hanno 200 milioni anni, quindi alla fine sul piatto della bilancia dovremmo un attimo pensare a chi siamo noi e chi sono loro».

Il neurobiologo Stefano Mancuso (direttore del LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) ha sottolineato come noi esseri umani siamo, in fin dei conti, una specie come tante altre e siamo soggetti anche noi alle leggi della natura. Eppure, il nostro grande vantaggio evolutivo, il cervello, potrebbe rivelarsi uno svantaggio considerando i problemi ambientali che stiamo provocando con le nostre stesse mani.

«Quanto vivono le altre specie in media? In media una specie vive cinque milioni anni. A me basterebbe che l’umanità arrivasse alla media, la media è qualcosa che tutti si aspettano, e noi ne abbiamo 300 mila di anni; il che vuol dire che noi dovremo sopravvivere altri 4.700.000 anni per essere nella media, non meglio, nella media delle specie di questo pianeta. Quanti su questo pianeta davvero ritengono non che potremmo sopravvivere altri 4.700.000 anni, ma quanti ritengono che potremmo sopravvivere altri 10.000 anni? Vi ricordo che negli ultimi 10.000 anni tutto quello che noi consideriamo civiltà, dall’invenzione dell’agricoltura a oggi, è avvenuta negli ultimi, vogliamo essere larghi, 12.000 anni. Questo è il tempo in cui noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Come potremmo mai pensare di sopravvivere per arrivare alla media delle specie? Eppure ci toccherebbe, ed è questo quello che dovremmo almeno raggiungere, altrimenti vorrebbe dire che il nostro grande cervello, che è la cosa che ci differenza degli altri esseri viventi, è uno svantaggio in termini evolutivi, non è un vantaggio come abbiamo sempre pensato ma è letteralmente uno svantaggio».

L’astrofisico Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale) lavora ogni giorno con dimensioni ancora più grandi: quelle dell’Universo. La difficoltà nello spiegare elementi infinitamente più grandi di noi è evidente, ma in questo l’arte può aiutarci.

«Mi sono ricordato ancora una volta le cose che Heinz Wismann, filosofo, diceva. Ci sono modi simbolici: il mito, la scienza e l’arte, che è tra queste due. Perché l’arte fa capire la realtà (non il mitico) con un modo affettivo; fa capire dentro di te quello che succede. Il vero artista è chi fa capire il problema scientifico della realtà e lo fa sentire “dentro”. E questo è fantastico».

La registrazione integrale dell‘Aria Talk è disponibile su YouTube.

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In copertina: Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio