Una “grande chasa”: Palazzo Strozzi

di Ludovica Sebregondi 

Sembra difficile considerare oggi Palazzo Strozzi – sede della Fondazione Palazzo Strozzi che vi progetta e organizza esposizioni d’arte, e che accoglie anche il Gabinetto Vieusseux, l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e la Scuola Normale Superiore, oltre al Caffè e alla Bottega Strozzi – come una casa privata, simbolo di una famiglia, espressione di una volontà di riscatto. Lo è stato, invece, per Filippo Strozzi (1428-1491), che l’ha fortemente pensato, voluto e progettato. Suo padre Matteo era stato esiliato da Firenze perché la casata si era opposta a Cosimo de’ Medici, e Filippo stesso fu esule a Napoli, dove si rivelò capace di intessere rapporti con Ferdinando d’Aragona e con il figlio Alfonso, che intercedettero a suo favore presso Piero de’ Medici, ottenendo la revoca dell’esilio. Dopo venticinque anni Filippo poté così finalmente tornare a Firenze, e il 27 di novembre 1466 scrisse alla madre per annunciarle, con felicità smorzata dall’ironia, “domenica sera, piacendo a Dio, m’arete costì. Fate che vi sia da cena altro che salsiccia, come mi mandaste a dire”.

width=

Ai Weiwei, Filippo Strozzi in LEGO, 2017, Firenze, Museino di Palazzo Strozzi
Courtesy of Ai Weiwei Studio

Filippo, una volta in patria, affermò «vo tuta volta pensando e disegnando, e se Iddio mi presta chonpetente vita spero fare qualche cosa di memoria», avendo in animo di innalzare la più grandiosa costruzione fiorentina, per attestare e rappresentare la potenza della famiglia e la sua rinascita. L’operazione si rivelò complessa, e Filippo dal 1473 al 1489 fu impegnato ad acquisire l’area del futuro palazzo in un punto chiave della città, all’incrocio tra le vie Tornabuoni e Strozzi; fu necessario abbattere i numerosi edifici acquistati e restringere la piazza antistante, modificando il tessuto urbano. Per essere sicuro della buona riuscita del progetto, per stabilire il momento della posa della prima pietra si affidò all’astrologo Benedetto Biliotti, che consigliò l’alba del 6 agosto 1489, oltre 530 anni fa. Quella mattina, scrive Filippo nei ricordi “uscendo il sole del monte, col nome di Dio e di buon principio per me e per tutti mia discendenti, cominciai a fondare la sopradetta mia chasa, e gittai la prima pietra de’ fondamenti”. Nel momento prescelto “saliva sopra l’orizonte horientale il sengnio del lione che [..] significha l’edifizio perpetuamente durare e habitazione di huomini grandi, nobili et di buon stato”.

width=

Libro di debitori e creditori e ricordi di Filippo Strozzi, 1484-1491, Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, Quinta serie, 41, c. 172

Testimonianza di come l’eccezionalità dell’evento fosse percepita dai fiorentini è il ricordo dello speziale Tribaldo de’ Rossi, che aveva bottega poco lontano, di fronte a Santa Trìnita, e che annota nei ricordi: “A dì 6 Aghosto 1489 in sul levare del sole apunto chominciorono a fondare e’ maestri detto Palagio di Filippo Istrozi”. Mentre Tribaldo osservava lo scasso profondo oltre 9 metri, fu avvicinato da Filippo stesso che gli disse “togliete uno sasso e gittatevelo drento, e chosì feci, e di fatto mi misi le mani nela scharsela ala sua presenza, e gittavi drento uno quatrino vechio gigliato, lui detto non voleva, ma per memoria di ciò vel gittai e lui fu chontento”. Inoltre mandò “Tita nostra serva” a prendere a casa i suoi due figli, fatti vestire a festa e li condusse “a detti fondamenti”. Prese il maggiore “Ghuarnieri in cholo e ghuatava colagiù, e dettili un quattrino giliato, e gitolo lagiù e un mazzo di roseline da damascho ch’aveva in mano ve li feci gittare drento, dissi richorderatene tu”.

La ritualità del far indossare abiti nuovi ai bambini per solennizzare l’evento, il lancio delle monete e dei fiori come atto spontaneo ed estemporaneo di buon auspicio, sono uniti al gesto tradizionale, nella posa delle fondamenta degli edifici sacri, di invitare i presenti a gettare una pietra, in un insieme di riti dalla funzione magico-apotropaica.

width=

width=

Giuliano da Sangallo o Benedetto da Maiano, Modello per Palazzo Strozzi, 1489 circa
Museino di Palazzo Strozzi, in deposito dal Museo Nazionale del Bargello

Nonostante siano conservati i Libri della muraglia con la cronaca quotidiana dei lavori e i costi della costruzione, non conosciamo il nome dell’architetto che realizzò il progetto dell’edificio: Giuliano da Sangallo e Benedetto da Maiano fornirono ciascuno un modello, ma uno solo è giunto a noi. Non è certo quale sia quello oggi conservato nel Museino, molto simile all’edificio effettivamente realizzato, che però in proporzione risulta più alto di oltre tre metri e mezzo. Poco dopo l’inizio dei lavori, nel 1490, la direzione fu affidata a Simone del Pollaiolo detto “il Cronaca”. Alla morte di Filippo (1491), la costruzione arrivava al primo piano.

width=

Peduccio di Palazzo Strozzi con lo stemma della famiglia e le “imprese” di Filippo

Filippo volle che sui peducci del palazzo fosse presente lo stemma delle famiglia con le tre lune crescenti insieme alle sue “imprese”, le frasi allegoriche unite a una figura, che riportano riflessioni o sentenze. Un’impresa mostra un falcone con le ali spiegate che si strappa le penne su un tronco di quercia, accompagnato dal motto “Sic [et] virtus expecto” (io aspetto, e così fa la virtù); nell’altra un agnello è unito alle parole “Mitis esto” (sii mite). Inviti, dunque, alla pazienza e alla resilienza che hanno permesso a Filippo di sopravvivere in tempi difficili durante il lungo esilio, e a riuscire poi a edificare e a tramandare lo splendido palazzo da lui fortemente voluto, vanto di una città, oltre che di una famiglia, e oggi nel mondo simbolo del Rinascimento.