Uomini, albicocchi e mucche

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di Stefano Mancuso

Scienziato di prestigio mondiale, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (LINV), Stefano Mancuso partecipa con un suo personale contributo al progetto IN CONTATTO dopo che nel 2018 aveva collaborato con l’artista Carsten Höller per il progetto The Florence Experiment a Palazzo Strozzi. Celebre per la sua riflessione sulle capacità cognitive delle piante, Mancuso ci parla di concetti come intelligenza, riproduzione, estinzione degli esseri viventi, in una riflessione che provocatoriamente porta a chiederci: siamo davvero sicuri della superiorità dell’uomo rispetto alle altre specie? “Un albicocco non può fare molto per estinguersi e nemmeno una mucca. Al contrario il genere umano produce sempre nuove possibilità di causare la propria estinzione”.

La vita è un processo cognitivo.
Non è possibile immaginare vita senza cognizione: come si può infatti pensare che un essere vivente non sia in grado di risolvere problemi, che non sia capace di essere “intelligente”? Per sopravvivere, il più semplice degli organismi deve poter risolvere problemi in ogni momento della sua esistenza. In contrasto a questa ovvia considerazione, l’uomo ha sempre ritenuto di essere l’unico, o uno dei pochi, essere intelligente. Senza dubbio il più intelligente e con poco o nulla da compartire con il resto della vita. Per corroborare questa rappresentazione abbiamo immaginato le nostre caratteristiche come uniche. La fonte principale della nostra supposta superiorità è, ovviamente, da ricercare nel nostro grande cervello e nella sua grande capacità logica che ci permette di fare cose che gli altri esseri viventi non sono in grado di fare: scriviamo, dipingiamo, elaboriamo teorie, componiamo sinfonie. Ma questa abilità ci differenzia davvero dagli altri esseri viventi? E, soprattutto, ci pone in una condizione di superiorità rispetto agli altri esseri viventi?

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Foto Alessandro Moggi

L’uomo ha sempre cercato di definire concetti come intelligenza, mente, cognizione in maniera tale da limitarli a sé stesso. Per farlo ha elaborato nozioni sempre più stringenti di che cosa fossero l’intelligenza e la cognizione.
Ma i risultati non sono stati quelli sperati. L’intelligenza è la capacità di utilizzare strumenti? Sono tanti gli animali che utilizzano strumenti. L’intelligenza riguarda la capacità di avere un pensiero astratto? Molti primati, e non solo loro, sono capaci di elaborare concetti astratti.
L’intelligenza deve essere studiata come un vero e proprio principio biologico: qualcosa di molto simile al modo in cui guardiamo alla riproduzione. La capacità di riprodursi appartiene a ogni essere vivente. La vita si riproduce, la vita crea sé stessa; la riproduzione è un principio fondamentale della vita. A chi mai verrebbe in mente di affermare che soltanto noi uomini ci riproduciamo? Certo, esistono sistemi diversi e molto complessi: noi uomini ci riproduciamo seguendo delle regole piuttosto complesse; le piante hanno sistemi riproduttivi estremamente originali; i funghi, gli insetti, i batteri si riproducono in maniera talmente differente che questi fenomeni sono difficilmente assimilabili gli uni agli altri. Eppure, tutti hanno in comune lo stesso risultato: la riproduzione della vita. E, in effetti, la riproduzione è definita nella maniera più ampia possibile: la capacità di moltiplicarsi. Senza considerarne le specificità. Le particolarità umane non sono significative rispetto al modo in cui si riproducono le altre forme di vita. Nella stessa maniera dovremmo guardare all’intelligenza, considerandola come una proprietà fondamentale della vita che deve essere definita nella maniera più ampia e inclusiva possibile. Ad esempio, riferendoci ad essa come alla capacità di risolvere problemi e quindi come una caratteristica comune a tutti gli esseri viventi.

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Carsten Höller e Stefano Mancuso, The Florence Experiment, 2018
Foto Alessandro Moggi

A questo punto bisogna chiedersi da cosa ci derivi questa idea di superiorità. Come mai noi ci riteniamo di una categoria diversa rispetto agli altri esseri viventi e superiori a essi? Sono pressoché certo che ciascuno di noi pensa di essere migliore di una mucca, un albicocco, un verme o un batterio; chi dice il contrario sarebbe un bugiardo. Scrive Darwin: l’evoluzione premia il più adatto. Si tratta di una legge alla quale non possiamo sottrarci. Una legge che ha la stessa validità della gravitazione universale. Ma perché Darwin non usa la parola “migliore” al posto di “adatto”? Perché il termine “migliore”, nel contesto della vita, non ha alcun senso. “Migliore” rispetto a cosa? Essere “migliori” ha senso soltanto se esiste un obiettivo. Facciamo un esempio: se l’obiettivo è saltare più in alto, chi salta 2,10 metri è meglio di chi ne salta solo 2,00. Tuttavia, l’aspetto essenziale della vita è che l’obiettivo finale è la capacità di sopravvivere e propagare la propria specie. A questo punto che abbiamo le idee un po’ più chiare chiediamoci se l’essere umano, con la sua particolare intelligenza e grazie al suo grosso cervello, che permette l’elaborazione di teorie, sinfonie, sonetti ecc., sia più o meno adatto delle altre specie a sopravvivere. Se si adotta questa più corretta prospettiva è inevitabile cambiare idea sul fatto di “essere migliori”. Si stima, infatti, che la vita media di una specie sia di cinque milioni di anni. Ci sono poi specie che sono anche molto più longeve: le conifere, le felci, i muschi, ma anche i coccodrilli, tutte specie apparse decine di milioni di anni fa e ancora esistenti. Tuttavia accontentiamoci di guardare alla durata media della vita di una specie: cinque milioni di anni. L’Homo sapiens è apparso circa trecentomila anni fa. Dovremmo sopravvivere altri quattro milioni e settecentomila anni per essere semplicemente in media con le altre specie. E dovremmo superare questo limite per dimostrare in termini darwiniani che il nostro grande cervello – l’organo di cui siamo così orgogliosi – sia un reale vantaggio evolutivo.

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Foto Alessandro Moggi

Immagino che una volta considerate le possibilità che la nostra specie sopravviva altri quattro milioni e settecentomila anni, il numero di persone inclini a sentirsi superiori all’albicocco diminuisca molto. Eppure, è questo il senso dell’evoluzione. Un albicocco non può fare molto per estinguersi e nemmeno una mucca. Tutte e due queste specie si estingueranno, come tante altre, soltanto in conseguenza di modificazioni dell’ambiente talmente enormi da non permettere più la loro sopravvivenza. Si tratta, per fortuna, di eventi catastrofici che avvengono, ma con cadenza di milioni di anni. Al contrario il genere umano produce senza soluzione di continuità, come in una catena di montaggio, sempre nuove possibilità di causare la propria estinzione. In ogni caso, se ci estingueremo prima dei prossimi quattro milioni e settecentomila anni, avremo dimostrato che possedere un cervello così sviluppato non era un vantaggio. Vedremo.

I risultati di “The Florence Experiment”

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Descrizione dei materiali e metodi

L’esperimento, che ha avuto una durata complessiva di quattro mesi, ha riguardato un numero complessivo pari a circa 2200 piante di fagiolo. Tre gruppi di piante sono stati identificati: i) piante cresciute in condizioni di crescita ideali (ovvero quelle che non hanno sperimentato la caduta dallo scivolo), ii) piante lanciate dallo scivolo in assenza della persona (lanciate su un apposito carrello) iii) piante lanciate in presenza della persona. In occasione di ogni campionamento su ciascuna pianta sono stati misurati i seguenti parametri fisiologici attraverso l’impiego di uno strumento, il LICOR 6800: – Assimilazione netta di CO2, corrispondente al tasso fotosintetico della pianta; – Conduttanza stomatica, corrispondente al livello di apertura degli stomi delle foglie. Inoltre per le piante discese insieme alle persone sono stati registrati i seguenti parametri: età della persona, il sesso, fumatore o non fumatore, e la sensazione dominate durante la discesa (paura o euforia). Inoltre sono stati eseguiti tre campionamenti volti alla determinazione della concentrazione di composti organici volatili (COV) emessi dalle piante in risposta alla discesa dallo scivolo: queste misurazioni sono state eseguite attraverso l’impiego di uno spettrometro di massa, TOF-MS. I dati raccolti sono stati analizzati statisticamente attraverso appositi test statistici (ANOVA e Student t-test, α=0.05) volti a stabilire la significatività delle osservazioni. I risultati vengono presentati sottoforma di istogrammi riportanti il valore medio e l’errore standard della media.

Risultati

Le nostre osservazioni hanno dimostrato che le piante lanciate dallo scivolo in compagnia di una persona, presentano un livello fotosintetico e di conduttanza stomatica significativamente più basso sia delle piante di controllo non lanciate che di quelle lanciate senza la persona (Figura 1). Di contro, non sono state rilevate differenze statisticamente significative nei livelli di questi due parametri fisiologici in base al sesso, al fumo o allo stato emotivo (Figura 2) o all’eta (Figura 3) delle persone durante la discesa. Da queste osservazioni si può dedurre che la presenza della persona durante la discesa dallo scivolo ha sempre, indipendentemente dal tipo di persona, un effetto negativo sulla fisiologia della pianta.
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Per quanto riguarda l’emissione di COV abbiamo osservato una differenza nello spettro di emissione di sei composti principali da parte di piante lanciate (con e senza la persona) rispetto a quelle di controllo (Figura 4). In particolare, in piante lanciate in presenza di persone, abbiamo osservato una minore emissione di alcuni COV (Esil-Acetato, Acetaldeide, Acido acetico, Isobutanolo, Acetato di Metile) e una maggiore emissione di Metanolo rispetto alle piante di controllo non lanciate. Una risposta diversa è stata osservata nelle piante discese dallo scivolo senza la persona; in questo caso le piante hanno mostrato maggiori livelli di emissioni di Metanolo, Esil-Acetato, Acetaldeide e Acido acetico e minori livelli di emissioni di Isobutanolo e Acetato di Metile rispetto ai controlli.
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The Florence Experiment: i primi risultati

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Ad oggi oltre 40.000 persone hanno vissuto l’esperienza The Florence Experiment, il nuovo progetto site specific del celebre artista tedesco Carsten Höller e del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, a cura di Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi: un grande esperimento, ospitato a Palazzo Strozzi fino al 26 agosto, che unisce arte e scienza studiando l’interazione tra piante ed esseri umani. Dopo tre mesi di analisi, ricerche e raccolta dati su migliaia di piante di fagiolo, il Professor Mancuso e il suo staff di scienziati, hanno condiviso i risultati preliminari dell’esperimento. The Florence Experiment prevede la partecipazione diretta del pubblico attraverso due monumentali scivoli che permettono ai visitatori di scendere 20 metri di altezza dal loggiato del secondo piano al cortile e uno speciale spazio laboratoriale nella Strozzina, collegato alla facciata del Palazzo.

I risultati rivelano 3 importanti fattori che sono emersi dall’interazione tra Uomo e Piante.

Fotosintesi

La fotosintesi di tutte le piante di fagiolo è stato influenzato dalla discesa dallo scivolo:
– Tutte le piante di fagiolo che hanno effettuato la discesa dallo scivolo, con o senza la presenza dell’uomo, presentano un livello fotosintetico alterato rispetto alle piante cosiddette “di controllo” ovvero quegli esemplari che sono stati lasciati in laboratorio in un ambiente e in condizioni ottimali per la loro crescita.
– Le piante di fagiolo che hanno effettuato la discesa dallo scivolo con la presenza dell’uomo presentano la più bassa fotosintesi rispetto a quelle che hanno fatto l’esperienza in solitaria.

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Da sinistra: Stefano Mancuso, Arturo Galansino, Carsten Höller. Foto di Alessandro Moggi

Emissione di composti volatili

Durante l’esperimento è stata registrata la produzione di composti volatili da parte delle piante di fagiolo, la cui concentrazione dipende ancora una volta, dal tipo di esperienza effettuata. In piante che hanno effettuato la discesa dallo scivolo in assenza dell’uomo si è accertato un aumento significativo dell’emissione di alcuni composti volatili rispetto agli esemplari che hanno effettuato la discesa con la presenza dell’uomo. In quest’ultimi, al contrario, si è misurata una notevole riduzione della concentrazione degli stessi composti.

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Foto di Alessandro Moggi

Gioia o paura: i glicini sulla facciata di palazzo strozzi

È interessante rilevare che ognuna delle 8 piante di glicine posizionate sulla facciata di Palazzo Strozzi, la cui crescita è influenzata dalla paura o dalla gioia dei visitatori presenti nelle due speciali sale cinematografiche allestite negli spazi della Strozzina, ha effettuato una “scelta”. La direzione dominante del glicine è stata quella della gioia che è stata scelta da 5 piante mentre le rimanenti 3 hanno scelto la direzione della paura.

“In conclusione” ha affermato Mancuso: “Sembra confermato l’effetto che la presenza dell’uomo ha sulle piante…la riduzione della fotosintesi e dell’emissione di composti volatili in presenza dell’uomo sono statisticamente significative e denotano il fatto che le piante ci percepiscano.” “Siamo soddisfatti dello straordinario successo di questa prima “mostra-esperimento” afferma Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore del progetto “I risultati paiono confermare l’interazione tra uomini e piante, proprio nella direzione del messaggio ecologico di comunione tra mondo umano e mondo vegetale che The Florence Experiment voleva portare”.

Per partecipare all’esperimento è possibile fare il biglietto anche online.