Fuori da dentro: relazioni e connessioni durante l’isolamento

di Irene Balzani

L’arte vive di relazioni e ogni artista sceglie come entrare in connessione con chi osserverà l’opera. Lo fa Tomás Saraceno, ad esempio, quando ci “intrappola” in installazioni che coinvolgono i sensi e rende evidenti quei fili sottili che ci legano agli altri esseri che insieme a noi popolano la terra. Proprio in questi giorni stiamo sperimentando quanto sia difficile quando quei fili si interrompono e quando uscire e frequentare altre persone non fa più parte della nostra quotidianità, che si spende principalmente all’interno delle nostre stanze.

Nel nostro lavoro a Palazzo Strozzi riflettiamo spesso sui concetti di “apertura” e “accessibilità”, consapevoli della complessità di questi termini, cercando di fare in modo che le mostre siano accoglienti per il maggior numero possibile di persone. Nel corso degli anni, sempre espandendo la sperimentazione e il confronto con approcci diversi, sono nati infatti numerosi progetti di accessibilità, dedicati all’inclusione di persone a rischio di esclusione sociale con le quali, anche in questo periodo di isolamento, cerchiamo di mantenere vivi i fili delle relazioni anche a distanza con proposte e contatti diretti. Sono le ragazze e i ragazzi con disturbi dello spettro autistico del progetto Sfumature, sono le persone con Parkinson dell’iniziativa Corpo libero, sono i tanti partecipanti all’iniziativa Connessioni, dedicata all’accessibilità delle persone con disabilità intellettiva e disagio psichico.

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A più voci durante la mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico (10 marzo – 23 luglio 2017)
Foto: Simone Mastrelli

Il primo progetto di accessibilità sviluppato dalla Fondazione Palazzo Strozzi è stato A più voci, dedicato alle persone che vivono con l’Alzheimer e a chi si prende cura di loro (familiari o carer professionali). Nel 2017, in occasione della mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico, abbiamo riflettuto sul significato di “stare chiusi” e “uscire fuori” insieme all’artista Cristina Pancini con il progetto Caterina, che partiva dall’osservazione di due opere esposte a Palazzo Strozzi: l’installazione video Catherine’s Room di Bill Viola e la predella della tavola trecentesca di Andrea di Bartolo con Caterina da Siena fra beate domenicane entrambe incentrate sul tema della reclusione e della relazione col mondo esterno.

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Alcuni momenti del progetto Caterina
Foto: Simone Mastrelli

Il progetto Caterina è nato dalla riflessione sulle possibilità che le persone con Alzheimer hanno di vivere la propria relazione con il mondo. Con il progredire del viaggio nella demenza la mente diventa infatti gradualmente uno spazio sconosciuto, non è più una stanza ordinata e sicura. Parallelamente il mondo all’esterno risulta sempre più incomprensibile e uscire diviene sempre più difficile. La relazione con gli altri può essere fonte di rassicurazione, stupore o minaccia, sempre meno di reciproca identificazione. Eppure abbiamo bisogno degli altri, del mondo che scorre fuori da noi stessi e questi giorni di isolamento ce lo stanno ricordando con forza. Allo stesso tempo “rimanere chiusi” non è soltanto una condizione fisica, è anche un’attitudine che può spingerci a sostare all’interno delle nostre stanze mentali. Tutti noi possiamo sentirci come Caterina/Catherine in alcuni momenti della nostra vita.

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Un momento del progetto Caterina
Foto: Simone Mastrelli

L’emergenza che stiamo vivendo ci ha catapultati in un “dentro” del quale vediamo i confini, la nostra casa è oggi il nostro spazio di azione, il nostro orizzonte quotidiano. Nel corso del progetto con Cristina Pancini una sala di Palazzo Strozzi si era trasformata nel territorio di un viaggio, un cammino di scoperta degli angoli, dei soffitti, degli oggetti e di tutto quello che abita un luogo, compresi noi stessi. Era un viaggio a coppie, ogni anziano con il proprio carer, un itinerario fatto di racconti e di ascolto, un percorso di conoscenza che potremmo compiere anche oggi per riscoprire le nostre case: osservare una stanza per trovarne gli infiniti panorami, guardare fuori dalla finestra e raccontare quello che si vede o quello che si immagina possa esserci.

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La pubblicazione Caterina
Foto: Martino Margheri

Il progetto Caterina si concretizzava in una richiesta specifica rivolta ai partecipanti: cosa si può dire a una persona che per molto tempo è stata “chiusa”? Cosa vale la pena guardare o fare dopo un lungo periodo di separazione dal mondo? “Lo chiedo a voi perché so che avete molta più esperienza di me” recitava la lettera che accompagnava i taccuini sui quali ognuno poteva lasciare il proprio consiglio.
Ecco alcuni esempi di risposte: “trova una buona sorella”, “annusa il profumo di una rosa”, “non perdere mai di vista il cielo e il mare”, “mangiare un bel gelato perché è bene e buono. Mangialo per strada”, “le consiglio di rivolgersi alla persona che più le piace e guardarla con amore”, “andare, via, muoversi, senza fermarsi”.
Consigli preziosi che sono stati raccolti, insieme al racconto di tutto il progetto, in una pubblicazione edita da Boîte Editions e disponibile on line sul sito di Palazzo Strozzi.