L’altra influenza spagnola

di Ludovica Sebregondi

La “grande influenza” che a seguito della Prima guerra mondiale, tra il 1918 e il ’20, con ricadute successive, provocò la morte di milioni di persone in tutto il mondo (la cifra è controversa, non diversamente dai dati della pandemia attuale), fu detta “spagnola” perché le prime notizie apparvero sulla stampa di Spagna, nazione rimasta neutrale durante il conflitto, e dunque sottoposta a una censura meno stringente.

Ma altre sono, per fortuna, le influenze reciproche provenienti e dirette alla penisola iberica: influssi che in ambito artistico sono stati fondamentali per la creazione dell’arte moderna. Sosteneva infatti la scrittrice americana Gertrude Stein, acuta amica di Picasso, che l’arte nel Novecento è stata fatta in Francia, ma da spagnoli. La mostra Picasso e la modernità spagnola (2014-2015), a cura di Eugenio Carmona, presentava questi straordinari intrecci e – attraverso ottantotto opere, (quarantacinque delle quali di Picasso) di trentasette artisti diversi – indagava non solo l’influenza di Picasso sull’arte moderna di Spagna, ma presentava soprattutto le novità più originali e significative che Picasso e i suoi conterranei hanno apportato al panorama artistico internazionale.

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Pablo Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1939, Madrid, Collezione del Museo Reina Sofía

Picasso in Francia nel corso del Novecento ha definito i linguaggi attraverso i quali l’arte moderna si sarebbe sviluppata: inventa il Cubismo, in seguito dà un nuovo significato al collage e, alla fine della Prima guerra mondiale, ribalta quanto aveva fatto prima e si riconcilia con il classicismo, aderendo in qualche modo al cosiddetto “ritorno all’ordine”. Ma, in seguito, abbandona la dialettica tra Cubismo e classicismo e, intorno alla metà degli anni Venti, inizia una nuova fase, passando al contesto surrealista, al pari di Miró, ed è negli anni Trenta che Picasso viene consacrato come grande mito della modernità. Con il trasferimento del centro dell’arte moderna a New York e lo sviluppo dell’arte astratta, Picasso, anche se Guernica e Les Demoiselles d’Avignon esposte all’epoca a New York influenzano gli Espressionisti astratti, cessa di rappresentare “il paradigma”.

Dagli anni Cinquanta Picasso si converte in un mito vivente, assoluto, la sua opera cessa di attirare l’attenzione delle nuove leve e inizia a essere vista come il riflesso di tutto il suo grandioso percorso precedente.

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Sala della mostra Picasso e la modernità spagnola dedicata a Guernica. Opere dalla Collezione del Museo Reina Sofía di Madrid

Miró nasce a Barcellona nel 1893 e, come Picasso, è presto attirato dal fermento e dalle avanguardie artistiche di Parigi, città in cui si trasferisce nel 1920, rimanendo però sempre profondamente spagnolo. Nonostante l’incontro con Picasso, con i dadaisti nel 1920 e tre anni dopo con gli esponenti del Surrealismo, ha sempre creato un suo mondo “magico e dinamico”, divenendo l’artista più influente tra gli innovatori spagnoli, creatore di riferimento per le nuove generazioni. Dalí raccoglie stilisticamente l’eredità di Picasso ma la sviluppa in una chiave nuova, con una lettura psicologica che presto lo condurrà verso la poetica surrealista.

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Sala con, sulla parete destra, dal fondo, Siurana, il sentiero di Joan Miró (1917), Maschera di contadina di Julio González (1927-1929 circa), Arlecchino di Salvador Dalí (1927) e Natura morta (1926) di Manuel Ángeles Ortiz, un altro spagnolo trasferitosi a Parigi. Opere dalla Collezione del Museo Reina Sofía di Madrid. Foto Filippo Montaina

Se Picasso, Miró e Dalí sono la triade iberica sempre evocata, non sono da dimenticare Juan Gris (Madrid 1887-Boulogne-Billancourt 1927), che con Picasso fa parte del sistema creato dalle cosiddette avanguardie storiche, ma in seguito alla guerra si allontana dal malagueño che si indirizza verso un’arte figurativa di gusto classicista, mentre Gris resta fedele al Cubismo. Anche Julio González (Barcellona 1876-Arcueil 1942) nel 1900 è a Parigi con Picasso, Braque, Torres García, Gargallo, Brancusi, Max Jacob, ed è considerato l’inventore della moderna scultura in ferro che ha influenzato tutto il XX secolo.

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Dalí e Picasso in due fotogrammi del film Midnight in Paris di Woody Allen (2011)

Midnight in Paris di Woody Allen (2011) con le sue atmosfere oniriche e i fantasmi di un glorioso passato che si ridestano a mezzanotte, riporta negli Anni Venti, quando Parigi era ancora al centro della modernità, e gli innovatori vi confluivano da tutto il mondo. Nel film dagli Stati Uniti viene la letteratura (Hemingway e i due Fitzgerald) e la musica (Cole Porter), ma gli unici artisti figurativi rievocati a tutto tondo sono spagnoli: Dalí, oltre a Picasso, mentre Matisse appare di sfuggita. E per il cinema, ecco Luis Buñuel. Allen mette in scena un periodo magico, un “glorioso passato ormai perduto”, motivo ricorrente nel sentire umano, come attesta la locuzione di Orazio “laudator temporis acti”, per indicare la mai tramontata tendenza a lodare il tempo passato in contrasto con l’attualità. Certo, l’aggettivo “favolosi”, che accompagna spesso il decennio degli Anni Venti, impressiona per la straordinaria creatività di un periodo, tale anche per il fondamentale apporto spagnolo, non solo per i riferimenti alla letale pandemia.