Il ponte del 2 giugno a Palazzo Strozzi

Sapete già come trascorrere questo lungo weekend di festa?

Da oggi inizia il lungo ponte del 2 giugno da dedicare alle nostre passioni, al tempo libero ritrovato, alle gite in giro per l’Italia e ai nostri immancabili appuntamenti con l’arte. Non c’è occasione migliore per visitare Firenze e Palazzo Strozzi!

Proprio a Palazzo Strozzi, all’interno della cornice di uno dei capolavori dell’architettura rinascimentale fiorentina, vi aspettano due grandi mostre di arte moderna e contemporanea: Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim e Liu Xiaodong: Migrazioni.

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Entrambe rimarranno aperte al pubblico giovedì 2 giugno sino alle ore 23.00 (con ultimo ingresso alle ore 22.00), mentre venerdì, sabato e domenica vi faranno compagnia fino alle ore 20.00 (ultimo ingresso alle ore 19.00).

Se desiderate unire la vostra passione per il moderno al contemporaneo, vi suggeriamo di acquistare il biglietto congiunto che vi permetterà di vedere sia i capolavori delle collezioni Guggenheim, sia le opere frutto della riflessione sulle migrazioni contemporanee dell’artista cinese Liu Xiaodong.

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Lasciatevi guidare in una visita in mostra su misura per voi, scoprite le visite guidate per singoli visitatori:

Per la mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim
ogni giovedì alle 17.30 e ogni sabato alle 16.30.
Altri appuntamenti disponibili su prenotazione:
ogni giovedì alle 19.30;
ogni sabato alle 18.30;
ogni domenica alle 18.00.
Il costo della visita è di € 8,00 a persona e non comprende il biglietto d’ingresso.
Sistema radio auricolare obbligatorio € 1,00 a persona disponibile in biglietteria.

Prenotazione obbligatoria
lunedì-venerdì
9.00-13.00; 14.00-18.00
prenotazioni@palazzostrozzi.org

Per la mostra Liu Xiaodong: Migrazioni
ogni domenica alle 16.30
La visita è gratuita con il biglietto d’ingresso alla mostra, non è necessaria la prenotazione.

Insomma per chi resterà o arriverà a Firenze, per chi si concederà la bellezza dell’arte o il meritato relax, questo primo fine settimana di giugno si preannuncia davvero imperdibile.

“Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim” altri 5 capolavori

La mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, curata da Luca Massimo Barbero, permette un eccezionale confronto tra opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna, insieme a grandi dipinti e sculture di alcune delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni cinquanta e sessanta. Le opere, in prestito dalla collezione Guggenheim di New York e da Venezia e da altri prestigiosi musei internazionali, offrono uno spaccato di quella straordinaria ed entusiasmante stagione dell’arte del Novecento di cui Peggy e Solomon Guggenheim sono stati attori decisivi.

Vi avevamo già segnalato cinque capolavori fra le opere imperdibili, esposte a Palazzo Strozzi fino al 24 luglio 2016, a grande richiesta ve ne proponiamo altri cinque.

Vasily Kandinsky, Verso l’alto (Empor)

Vasily Kandinsky ottiene l’effetto di un’energia che si leva verso l’alto agganciando le forme tra loro e bilanciandole ai lati di una linea verticale continua. Forme geometriche e semicerchi in quest’opera si compongono in una struttura sospesa in un fondo di ricco color turchese e verde. Un semicerchio è delicatamente appoggiato alla base appuntita, un’altra forma semicircolare, slittando lungo il diametro verticale, supera il semicerchio più grande per invadere lo spazio al di sopra. Un disegno lineare nell’angolo superiore destro di questa tela fa eco alla spinta verticale del motivo centrale. La configurazione ricorda la lettera E, come la forma nera ritagliata nella base del motivo centrale. Queste forme possono essere intese sia come puri motivi grafici, sia come ammiccanti allusioni all’iniziale di Empor, il titolo originale del dipinto. Il carattere fisionomico testimonia l’associazione al Bauhaus di Dessau di Kandinsky con gli altri artisti del Blaue Vier, Paul Klee e Alexej Jawlensky. Nel 1929 Jawlensky espone, in una mostra del Blaue Vier, sedici teste astratte che offrono a Kandinsky il modello per grandi volti astratti, composti di piani geometrici di colore non naturalistico, nei quali i lineamenti erano definiti con segmenti marcati. Tuttavia, il metodo di lavoro di Kandinsky è più vicino a quello di Klee, che partiva da forme scelte a intuito, che gradualmente arrivavano a suggerire corrispettivi nel mondo naturale. Diverso era il metodo di Jawlensky, che partiva da un modello reale per elaborarne l’astrazione.

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Vasily Kandinsky, Verso l’alto (Empor), ottobre 1929, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald

 

Arshile Gorky, Senza titolo

Arshile Gorky passa gran parte del 1944 ad Hamilton, Virginia, dove esegue diversi disegni, molti dei quali concepiti come studi preliminari per quadri. Quest’opera è preceduta da un tale studio, un disegno senza titolo del 1944, a essa strettamente collegato, che ne espone i motivi, la loro disposizione nella composizione e la distribuzione del colore. L’adesione entusiasta di Gorky all’ambiente naturale della Virginia rurale infonde al suo lavoro libertà espressiva. In questa tela compaiono allusioni paesaggistiche; il fondo bianco è uniforme, ma è vuoto all’estrema sommità della tela, e suggerisce un pezzetto di cielo, mentre la “terra”, sotto, pullula di forme vegetali e di colori di fiori. La tecnica del colore sgocciolato diluito con acquaragia, suggeritagli da Matta, produce una chiara idea di gravità. Le tecniche e la tematica del Surrealismo influenzano lo sviluppo del linguaggio di Gorky, che esprime in forme libere, organiche, vitalmente curvilinee. Enfatizzando il potenziale espressivo autonomo di linea, forma e colore, Gorky anticipa i modi dell’Espressionismo astratto.

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Arshile Gorky, Senza titolo, estate 1944, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald © Arshile Gorky by SIAE 2016.

 

Francis Bacon, Studio per scimpanzé

Francis Bacon, conosciuto soprattutto per le sue figure umane alienate e spesso mostruosamente distorte, realizza almeno una dozzina di tele che hanno per soggetto animali. Dipinge raramente dal vero, preferendo lavorare da fotografie. Affascinato dalla sconcertante affinità tra la scimmia e l’uomo, li mette a confronto per la prima volta nel 1949. Come i soggetti umani, così gli animali ci sono mostrati in ritratti in posa o istantanee, in cui appaiono passivi, urlanti o deformati da contorsioni. Lo scimpanzé della Collezione Peggy Guggenheim è rappresentato con relativa benevolenza, sebbene l’immagine indistinta, che testimonia l’interesse di Bacon per il movimento colto al volo, per gli effetti della fotografia e del cinema, renda difficile interpretarne la posa e l’espressione. Nel tipo e nella modalità della composizione richiama i dipinti di scimmie realizzati negli anni’50 da Graham Sutherland, con il quale Bacon stringe amicizia nel 1946. L’intelaiatura geometrica appena percettibile permette a Bacon di “vedere” meglio il soggetto, mentre la monocromia del fondo crea un contrasto deciso che aiuta a definirne la forma.

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Francis Bacon, Studio per scimpanzè, marzo 1957, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald © The Estate of Francis Bacon / All rights reserved / by SIAE 2016

 

Mark Rothko, Senza titolo (Rosso

Con la fine degli anni quaranta Rothko dipinge opere pienamente astratte, andando a contribuire allo sviluppo della pittura Color-field, caratterizzata da ampie superfici di colore. In Senza titolo (Rosso) il nero e il rosso saturi diventano entità dominanti fluttuando in forme rettangolari. Attraverso questi campi bidimensionali ricchi di colore l’artista traduce stati universali dello spirito, alludendo principalmente alla tragicità della condizione umana.

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Mark Rothko, Senza titolo (Rosso), 1968, Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof, 2012. Foto di David Heald © Kate Rothko Prizel & Christopher Rothko / ARS, New York, by SIAE 2016

 

Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese

Negli ultimi anni della sua carriera artistica Fontana è sempre più interessato all’allestimento della sua opera nelle molte mostre a lui dedicate in tutto il mondo, così come dell’idea di purezza raggiunta nelle sue ultime tele bianche. Ciò è evidente nella Biennale di Venezia del 1966, dove l’artista progetta un ambiente per le sue opere, e alla Documenta di Kassel del 1968. Fontana muore a Comabbio, Varese, il 7 settembre 1968.

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Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1965, Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Donazione, Fondazione Lucio Fontana. Foto di David Heald © Fondazione Lucio Fontana, Milano, by SIAE 2016

“Liu Xiaodong: Migrazioni”: il punto di vista del Direttore

di Arturo Galansino, Direttore Generale Fondazione Palazzo Strozzi

I progetti artistici di Liu Xiaodong nascono da un personale rapporto con i luoghi e le persone che li abitano; luoghi con cui egli entra in contatto attraverso un’indagine documentaristica fatta, oltre che di immagini pittoriche, anche di annotazioni scritte, disegni, schizzi, fotografie, video e immagini catturate con il cellulare. La sua pittura nasce dalla somma di queste ricerche scaturite dall’osservazione del reale e la potenza del suo linguaggio pittorico risiede proprio in questo rapporto “dal vero” e nella capacità di rallentare la visione richiamando l’attenzione su soggetti a prima vista ordinari. L’idea della mostra di Liu Xiaodong alla Strozzina di Palazzo Strozzi, organizzata in collaborazione con la galleria Massimo De Carlo, si è sviluppata partendo dalla contestualizzazione del lavoro dell’artista e dal suo interesse per la vicina Prato, dove forti sono le contraddizioni a causa dell’importante presenza cinese che caratterizza la città da circa trent’anni. L’approccio dell’artista alla realtà, oggetto della sua pittura, consiste proprio nella ricerca dell’imperfezione e del contrasto: “What I’m interested in are imperfect things filled with contradictions”, dichiara in un’intervista pubblicata nel catalogo della mostra Hometown Boy presso l’UCCA di Pechino (2010).

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Da un lato Prato, come luogo di intenso contrasto, e dall’altro la dirompente bellezza della campagna toscana, hanno rappresentato per l’artista i due punti di osservazione della realtà. Innamoratosi del paesino di Chiusure, tra le Crete senesi e la Val d’Orcia, dove in passato aveva trascorso un periodo di studio e lavoro, Liu Xiadong ha voluto rappresentarlo in mostra come luogo ideale e “sognato”, immagine della Toscana da cartolina meta del turismo internazionale, opposto alla Toscana delle fabbriche pratesi che invece ha rappresentato il sogno dei cittadini di Wenzhou alla ricerca del benessere economico. Il racconto che il pittore ha creato per Palazzo Strozzi nasce quindi da Prato e dall’immagine sognata della Toscana per poi proseguire fino ai confini d’Europa, a quei luoghi oggi attraversati dai migranti in cerca di una vita migliore. Il progetto Migranti, infatti, è stato concepito allargandosi concettualmente dai luoghi a noi noti fino a un discorso più ampio sulla crisi che interessa l’Europa in maniera sempre più grave e urgente. La serie di dipinti intitolata Refugees è dedicata ai migranti di oggi, quelli degli anni Dieci del Duemila, che fuggono per motivi sociali, umanitari e politici, diversamente dai cinesi provenienti dalla città-prefettura di Wenzhou giunti a Prato tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento per ragioni economiche. I soggetti di questi dipinti sono persone provenienti dalla Siria, dal Medioriente o dal Nord Africa, incontrate nel suo viaggio tra Vienna, Bodrum (Turchia) e Kos (Grecia) che hanno condiviso dei momenti di vita con l’artista.

 width=Liu Xiaodong, Refugees 4 (Rifugiati 4), 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/ Hong Kong

La serie Chinatown rappresenta invece persone e luoghi incontrati durante il suo soggiorno a Prato, come l’interno di un laboratorio tessile o i momenti di vita ordinaria e di relax colti durante le esplorazioni nel Macrolotto Zero, residenza della maggior parte dei cittadini cinesi pratesi. Non è soltanto il conflitto culturale e sociale che Liu Xiaodong qui vuol raccontare, ma anche la quotidianità e la consuetudine di vita di un gruppo sociale che ha una storia importante e un percorso unico nella storia italiana ed europea, come ci racconta il giornalista e sociologo Giorgio Bernardini nel saggio “>Sogni di gloria economica: i destini incrociati di Prato e Wenzhou nel catalogo e nella sala della mostra da lui curata e dedicata a questo tema. In tutte le sue opere lo stile pittorico di Liu Xiaodong è controllato e consapevole, immerso nella realtà che vuol registrare. Come un moderno macchiaiolo, scrive sempre in catalogo Francesco Bonami nel saggio “Pennellate istantanee”, l’artista sembra rifuggire un particolare coinvolgimento emotivo o espressivo e legarsi invece all’oggettività dell’immagine, filtrata dal primo approccio fotografico e video. Il pittore, che in passato aveva avuto aspirazioni di regista cinematografico, presenta qui i suoi dipinti assieme ad un film documentario realizzato da Yang Bo, direttore della Shengshizeyu Advertising Company di Pechino.

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In alto Liu Xiaodong, Chinatown 4, 2016. In basso Liu Xiaodong, Chinatown 3, 2015. Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/Hong Kong

Nel voler mostrare e descrivere il “vero”, Liu Xiaodong porta l’osservatore a soffermarsi sul proprio rapporto con le immagini, sulla realtà e, di conseguenza, sui processi mentali ed emotivi messi in atto nei diversi momenti, esperienze, episodi della storia e della nostra vita. L’arte di Xiaodong ci dà occasione di riflettere sul nostro modo di vedere, capire, sentire la realtà. Ci porta a guardarci dall’esterno ed esplorare chi siamo.

“Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim” in 5 capolavori

La mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, curata da Luca Massimo Barbero, permette un eccezionale confronto tra opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna, insieme a grandi dipinti e sculture di alcune delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni cinquanta e sessanta.
Le opere, in prestito dalla collezione Guggenheim di New York e da Venezia e da altri prestigiosi musei internazionali, offrono uno spaccato di quella straordinaria ed entusiasmante stagione dell’arte del Novecento di cui Peggy e Solomon Guggenheim sono stati attori decisivi.

Oggi abbiamo selezionato 5 capolavori fra le opere imperdibili, esposte a Palazzo Strozzi fino al 24 luglio 2016.

Paul Klee, Ritratto di Frau P. nel Sud (Bildnis der Frau P. im Süden)

La vacanza in Sicilia dell’estate del 1924 fornisce a Paul Klee gli spunti per vari acquerelli, nei quali riesce a rendere il colore, la luce e l’atmosfera di una specifica area geografica, mentre delinea alcuni personaggi. Questo ritratto è una bonaria caricatura di due impeccabili signore del nord, con assurdi cappellini del tutto insufficienti a proteggerle dal forte sole mediterraneo. Il colore vivido e caldo, ora denso ora diluito, di consistenza quasi atmosferica è contenuto in contorni graficamente semplificati. La forma a cuore sul petto di Frau P. è un motivo ricorrente nell’opera di Klee, dove, a seconda de casi, rappresenta una bocca, un naso o un busto. Il motivo è considerato dall’artista il tramite tra il mondo organico e quello inorganico, poiché simbolizza forze vitali e nel contempo funge da “forma mediatrice tra il cerchio e il rettangolo”.

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Paul Klee, Ritratto di Frau P. nel Sud (Bildnis der Frau P. im Süden), 1924, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di Carmelo Guadagno

 

Max Ernst, Il bacio (Le Baiser)

Dalle descrizioni ironicamente cliniche di avvenimenti del periodo dada Max Ernst passa alla celebrazione della sessualità disinibita nelle sue opere surrealiste. Il suo legame e matrimonio con la giovane Marie-Berthe Aurenche nel 1927 gli ispirano probabilmente il soggetto erotico di questo e altri dipinti di quell’anno. Le principali linee che compongono quest’opera possono essere state determinate dalle tracce di una corda lasciata cadere sulla superficie preparatoria, procedimento conforme ai concetti surrealisti sull’importanza degli effetti casuali. Ernst tuttavia usa un sistema reticolare coordinato per riportare le sue configurazioni di corda sulla tela, sottoponendo così questi effetti casuali a una manipolazione consapevole. Il gruppo centrale a forma di piramide e il gesto dell’abbraccio della figura superiore ne Il bacio, hanno suggerito paragoni con composizioni rinascimentali, e in particolar modo con la Madonna e Sant’Anna di Leonardo da Vinci (Musée National du Louvre, Parigi).

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Max Ernst, Il bacio (Le Baiser), 1927, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald © Max Ernst, by SIAE 2016

 

Marcel Duchamp, Scatola in una valigia
L.H.O.O.Q. da Boîte-en-valise

Si tratta della prima di un’edizione de luxe di valigette da viaggio (Louis Vuitton), che raccoglie sessantuno riproduzioni di opere di Duchamp. Contiene un “originale”, una dedica a Peggy Guggenheim, che sostiene economicamente Duchamp in questa sua produzione, una miniatura del famoso orinatoio rovesciato, Fontana del 1917, e una riproduzione di un “ready-made rettificato” del 1919 della Gioconda di Leonardo da Vinci, con barba e baffi e l’iscrizione “L.H.O.O.Q.”. La sequenza delle lettere pronunciate in francese formano la frase “elle a chaud au cul”, decorosamente tradotta da Duchamp come “c’è il fuoco là sotto”.

 width=A sinistra Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q. da Boîte-en-valise. A destra Marcel Duchamp, Scatola in una valigia (Boîte-en-valise), 1941, valigia di pelle contenente copie in miniatura, riproduzioni a colori e una fotografia delle opere dell’artista con aggiunte a matita, acquerello e inchiostro, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di Sergio Martucci © Succession Marcel Duchamp, by SIAE 2016

 

Jackson Pollock, La donna luna

Paul Jackson Pollock nasce a Cody, Wyoming, il 28 gennaio 1912. Cresciuto tra l’Arizona e la California, nel 1928 inizia gli studi di pittura alla Manual Arts High School di Los Angeles. Nell’autunno del 1930 si reca a New York, dove studia all’Art Students League con Thomas Hart Benton, che lo incoraggerà durante tutto il decennio. Nei primi anni trenta Pollock è ormai a conoscenza delle pitture murali di José Clemente Orozco e Diego Rivera. Sebbene viaggi molto negli Stati Uniti, trascorre la maggior parte del tempo a New York, dove si stabilisce definitivamente nel 1934. Tra il 1935 e il 1942 lavora per il Federal Art Project della Works Progress Administration e nel 1936 partecipa al Workshop di David Alfaro Siqueiros, sempre a New York. Nel 1943 Peggy Guggenheim non solo gli dedica la sua prima personale nella galleria/museo Art of This Century, New York, ma gli offre un contratto che gli permette di dedicarsi esclusivamente alla pittura fino al 1947. Fino a metà anni quaranta si ravvisa in Pollock l’influenza di Pablo Picasso e del Surrealismo. In quegli anni partecipa a diverse mostre di arte surrealista e astratta, tra cui “Natural, Insane, Surrealist Art” ad Art of This Century, nel 1943, e “Abstract and Surrealist Art in America”, allestita da Sidney Janis alla Mortimer Brandt Gallery di New York nel 1944. A metà anni quaranta Pollock dipinge, invece, orami in maniera astratta. Nel 1947 emerge lo stile che lo caratterizzerà, quello del dripping, della pittura fatta colare direttamente sulla tela o schizzata grazie a vari utensili, come mestichini, bastoncini, lame. Nell’autunno del 1945 sposa Lee Krasner e si stabilisce a Springs, East Hampton, nei pressi di New York. Nel 1950 Peggy Guggenheim organizza la sua prima personale in Europa, al Museo Correr di Venezia. Nel 1952 ha luogo la sua prima retrospettiva al Bennington College, nel Vermont, organizzata da Clement Greenberg. Partecipa a diverse collettive tra cui, a partire dal 1946, quelle annuali al Whitney Museum of American Art di New York e, nel 1950, alla Biennale di Venezia.

Nonostante sia famoso in tutto mondo e le sue opere vengano esposte in molti paesi, Pollock non viaggerà mai al di fuori degli Stati Uniti. Muore in un incidente automobilistico a Springs l’11 agosto 1956. Come altri membri della New York School Jackson Pollock risente, nei suoi primi lavori, dell’influenza di Joan Miró e Pablo Picasso e fa proprio il concetto surrealista dell’inconscio come fonte d’arte. Alla fine degli anni ’30 Pollock introduce un linguaggio figurativo basato su figure totemiche o mitiche, segni ideografici e ritualismi interpretati come referenti di esperienze rimosse e memorie culturali della psiche. La donna luna rimanda all’impianto cromatico e alla composizione di Picasso. Il soggetto della donna luna, ricorrente in diversi disegni e dipinti dei primi anni ’40, può essere stato ispirato a Pollock da fonti diverse. In questo periodo molti artisti, tra cui gli amici William Baziotes e Robert Motherwell, sono influenzati dalle immagini elusive e allucinatorie di Charles Baudelaire e dei simbolisti francesi. Nel brano “Benefizi della luna”, nello “Spleen di Parigi”, Baudelaire si rivolge al “riflesso della temibile Divinità, fatidica madrina, nutrice venefica di tutti quanti i lunatici”. È possibile che Pollock conoscesse la poesia, ma è più verosimile che fosse pervaso dall’interesse per Baudelaire e i simbolisti, intenso in quel periodo.

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Jackson Pollock, La donna luna (The Moon Woman), 1942, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society, ARS, New York, by SIAE 2016

Alexander Calder, Luna gialla
Nell’autunno 1931 Calder crea i primi oggetti cinetici, o mobile, dotati di motori elettrici. Presto si rende conto che le sculture potevano muoversi da sole. In questo caso l’opera, sensibile alle correnti d’aria, oscilla spontaneamente. Secondo Calder “un mobile è una poesia che la gioia di vivere e la sorpresa fanno danzare”. Realizzato interamente a mano dall’artista, Luna gialla evoca uno spazio lontano, con stelle e pianeti orbitanti, dove la luna gialla controbilancia il cerchio rosso, probabile simbolo di un sole caldo. È probabile che sia stato ispirato da una visione commovente, su orizzonti contrapposti, di un sole nascente e una luna piena calante, cui Calder assiste su una nave mercantile al largo del Guatemala, nel 1922.

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Alexander Calder, Luna gialla, 1966, Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof, 2012. Foto di David Heald © Calder Foundation New-York, by SIAE 2016

Fonte: www.guggenheim-venice.it

“Rappresentare le migrazioni” di Liu Xiaodong

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Lo scorso settembre, la Fondazione Palazzo Strozzi mi ha invitato ad andare a Prato. Parte della città è quasi interamente popolata da cinesi, che vi abitano e vi procreano da ormai due o tre generazioni. La pelletteria e i capi d’abbigliamento prodotti nelle loro fabbriche di Prato sono venduti in tutto il mondo. Dopo Prato ho anche tentato di seguire il tragitto che i rifugiati siriani stavano compiendo in quel periodo per entrare in Europa. Dalla penisola di Akyarlar, nel sud della Turchia, all’isola di Kos, e poi alla ferrovia che collega il confine ungherese a quello austriaco, fino ad arrivare alla stazione centrale di Vienna. Lungo il percorso, oltre ai rifugiati siriani c’erano anche molti afghani, pachistani, iraniani e africani.

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Liu Xiaodong, Sketched map of refugee trail to Europe 2015-2016. Courtesy Liu Xiaodong studio

La migrazione è sempre stata e sempre sarà un fenomeno ineludibile del genere umano, dal passato più remoto sino al futuro. Il desiderio di trovare un posto migliore, una vita più perfetta, è intrinseco nell’uomo. Le migrazioni sono colme di speranze ed energie e gravate da ansie e perdite.

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In alto Liu Xiaodong, Refugees 4 (Rifugiati 4), 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/ Hong Kong; in basso Liu Xiaodong, Photo paintings. Courtesy Liu Xiaodong studio.

Credo che il problema e l’angoscia che affliggono l’Europa siano legati alla necessità di trovare un modo per preservare le tradizioni della sua società e insieme gestire le difficoltà scaturite dalla convivenza nel continente di una moltitudine di persone delle culture più disparate. È qualcosa di analogo alla mia curiosità e apprensione verso il cambiamento, quando so che potrebbe essere un bene ma al contempo ho paura che minaccerà il mio vecchio stile di vita. I miei genitori invecchiano e muoiono, mia figlia cresce e affronterà problemi e pericoli di ogni sorta. Sono molto angosciato. Non posso fare altro che dipingerli. Dipingere ciò che vedo. Ma in una società in mutamento non vi è un’unica soluzione, un’unica risposta per placare quest’angoscia. L’Europa ed io siamo entrambi legati alle nostre angosce.

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Liu Xiaodong, Chinatown 3, 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/Hong Kong.

Vi invitiamo a visitare la mostra Liu Xiaodong: migrazioni alla Strozzina di Palazzo Strozzi fino al 19 giugno 2016.

Vi aspettano inoltre una serie di appuntamenti che approfondiscono le tematiche della mostra attraverso conferenze e talk che si terranno presso la Strozzina di Palazzo Strozzi: qui il calendario completo dell’iniziativa.

Una mostra, tanti modi di visitarla

Palazzo Strozzi dedica un’attenzione particolare ai propri visitatori e propone un’ampia selezione di attività pensate per rendere la visita alla mostra un’esperienza ancora più significativa. Oltre ai percorsi guidati con gli educatori si può scegliere un’attività da fare in autonomia come il Kit Famiglie o il Kit Disegno per scoprire le opere in mostra per scoprire le opere da inaspettati punti di vista. E per chi vuole prendersi una pausa durante la visita la Sala Lettura offre una selezione di libri da sfogliare ispirati ai temi e agli artisti della mostra.

 

Sala lettura: una sala sempre aperta alle vostre storie

La sala lettura è un luogo speciale all’interno del percorso espositivo dedicato ai visitatori che vogliono far volare l’immaginazione, che desiderano scoprire e sfogliare le pubblicazioni dedicate ai temi e agli artisti della mostra oppure, semplicemente, a chi vuole un momento di pausa dalla visita.

In occasione della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, troverete in sala lettura una grande parete con la cronologia degli eventi collegati alla vita di Solomon e Peggy Guggenheim e il progetto La storia di un’opera d’arte. Avrete infatti la possibilità di creare un nuovo contesto e una nuova storia per i dipinti di Francis Bacon, di Wassily Kandinsky e per un mobile di Alexander Calder, disegnando su tre album che sono sempre a disposizione del pubblico e della sua creatività.

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Kit Famiglie

Il Kit famiglie è dedicato ad adulti e bambini, pensato appositamente per condividere la visita in mostra in maniera divertente e creativa. Ogni tappa del percorso prevede un’attività che permette un approfondimento inedito sugli artisti e sulle opere della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim.

Con il Kit potrete: scoprire, osservare, inventare, disegnare, creare storie, affidarvi al caso, progettare sculture in movimento, lasciarvi stupire dall’arte!

Avrete sempre con voi tutto il necessario per una visita in autonomia: un piccolo libro con giochi e suggerimenti per osservare le opere, oggetti speciali da usare in mostra e un diario per condividere la propria esperienza con le persone che lo utilizzeranno in futuro.

Il Kit Famiglie si può richiedere gratuitamente al Punto Info della mostra, è sempre disponibile e non è neccesaria la prenotazione.

Si ringrazia Il Bisonte per la borsa del Kit Famiglie

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Kit Disegno

Un album, una matita, una gomma ed un suggerimento per osservare le opere!

Il Kit Disegno è un materiale disponibile per i visitatori della mostra, pensato per allenare lo sguardo ed esprimere la propria creatività attraverso la più antica forma d’arte: il disegno.

Disegnare è guardare, è conoscere, è interagire con un’opera d’arte in modo diverso, è un metodo per concentrarsi e allo stesso tempo per perdersi davanti ad un quadro o una scultura. Un’immagine disegnata contiene in sé l’esperienza dell’osservazione, tradurre quello che vediamo in un nuovo disegno rappresenta il nostro personale sforzo di dare una forma al mondo.

Il Kit Disegno è rivolto a chiunque voglia visitare la mostra e sperimentare un nuovo modo di guardare l’arte dei grandi artisti. L’importante non è realizzare un bel disegno, ma lasciare che occhio, mano e matita lavorino insieme trasportandoci nell’esperienza della creazione.

Il Kit si può richiedere gratuitamente al Punto Info della mostra, sempre disponibile e non necessita di prenotazione.

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Scoprite tutte le attività educative di Palazzo Strozzi

Il debutto di Peggy Guggenheim in Italia

di Ludovica Sebregondi

Alle 17 di giovedì 24 febbraio 1949 la mostra La collezione Guggenheim inaugurò a Firenze nei sotterranei di Palazzo Strozzi la Strozzina come nuovo spazio espositivo fiorentino dedicato principalmente all’arte contemporanea. Direzione, organizzazione e segreteria della Strozzina furono assunte dallo Studio Italiano di Storia dell’Arte, fondato e diretto dal critico Carlo Ludovico Ragghianti.
Peggy Guggenheim era tornata in Europa dagli Stati Uniti nel 1947 e aveva deciso di stabilirsi a Venezia, e proprio alla Biennale del 1948, la prima dopo la fine della guerra, aveva presentato la propria collezione.

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Peggy Guggenheim all’inaugurazione dell’esposizione della sua collezione presso il padiglione greco, alla XXIV Biennale di Venezia, mentre accoglie il Presidente Luigi Einaudi, 1948. © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

La mostra fiorentina dell’anno successivo fu possibile anche grazie alla disponibilità di Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale della Biennale, che aveva agevolato la realizzazione dell’esposizione. A Firenze, rispetto alla mostra dell’anno precedente, fu aggiunto circa un terzo di opere inedite per il pubblico italiano. La copertina del piccolo catalogo reca il 19 febbraio come data di inaugurazione e il 10 marzo quale giorno di chiusura. Non siamo in grado di confermare quest’ultima, mentre l’apertura fu rinviata al 24 febbraio.

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Copertina del catalogo della mostra “La collezione Guggenheim” che inaugura gli spazi espositivi della Strozzina, in Palazzo Strozzi a Firenze

Ricorda Peggy Guggenheim nell’autobiografia: «Quando arrivai a Firenze fui colpita […] da alcuni terribili paraventi che assomigliavano a tende da doccia e che erano stati sistemati per creare più spazio». Peggy ricorda Ragghianti come un «critico molto noto» che – dopo l’annullamento della mostra al Museo di Torino poiché le autorità avevano deciso «di non esporre quadri così moderni» – le aveva proposto di presentare la collezione «a Firenze nella Strozzina, la cantina del Palazzo Strozzi, che lui stava per trasformare in una galleria d’arte moderna». Se allestimento e spazi la lasciarono perplessa, Peggy fu invece molto soddisfatta del «catalogo eccellente, che da allora in poi rimase la base di tutti i cataloghi in italiano».

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Retro del catalogo della mostra, con un disegno di Max Ernst tratto dal catalogo della collezione di Peggy Guggenheim pubblicato, in inglese, nel 1942

La mostra della Collezione Guggenheim provocò a Firenze accese discussioni. La critica si divise: già la domenica precedente all’inaugurazione Pietro Annigoni sulle pagine del «Mattino dell’Italia Centrale» nella recensione dal famoso titolo Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, si scagliò violentemente contro la «vecchia e annoiata miliardaria americana», ma soprattutto contro gli organizzatori della mostra, «certi antiquari o storici d’arte o studiosi d’arte», colpevoli di aver portato «nel cuore di Firenze […] una pagliacciata». Secondo Annigoni «mai come ora Firenze è apparsa cafona e provinciale», per essersi piegata a ospitare simili opere.

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Pietro Annigoni, Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, “Il Mattino dell’Italia Centrale”, 20 febbraio 1949.

Non fu il solo, un pesante attacco fu sferrato da Piero Bargellini su un altro articolo uscito sul «Mattino dell’Italia Centrale». Il pezzo, intitolato con sarcastico gioco di parole Le commissioni della Signora Peggy, la presenta come un’ereditiera che invece «di fare incetta di canini di varie razze o d’idoletti cinesi», «ha messo insieme, con raffinato e perverso gusto, pezzi rari d’artisti cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivisti, e chi più n’ha, più ne metta». 
Non erano però solo i fiorentini a non comprendere l’importanza dell’esposizione, se la poetessa Elise Cabbot di Dublin, New Hampshire – entusiasta della quantità di quadri esposti – chiese: «Ma dove lo trova, Peggy, il tempo di dipingerli tutti?».

Peggy Guggenheim, una vita da collezione

Fino al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospita la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim che porta a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Solomon e Peggy Guggenheim.

 

Peggy Guggenheim nasce a New York il 26 agosto del 1898, da Benjamin Guggenheim e Florette Seligman. Benjamin Guggenheim (che nell’aprile del 1912 muore nell’affondamento del Titanic), contribuisce a creare, alla fine del XIX secolo, insieme al padre Meyer (di origine svizzera) e ai sette fratelli, un impero finanziario fondato sullo sfruttamento minerario, in particolare del rame. I Seligman sono invece un’importante famiglia di banchieri.

Peggy cresce a New York e nel 1921 comincia a viaggiare in Europa. Grazie a Laurence Vail (suo primo marito e padre dei due figli Sindbad e Pegeen, futura pittrice), Peggy si ritrova ben presto nel cuore della vita bohémienne parigina, insieme a parte della società americana espatriata e molti degli artisti conosciuti allora, quali Constantin Brancusi, Djuna Barnes e Marcel Duchamp, che sarebbero poi divenuti suoi amici. Nel 1938, consigliata dall’amica Peggy Waldman, Peggy apre una galleria d’arte a Londra che inaugura con una mostra di opere di Jean Cocteau, cui segue la prima personale di Vasily Kandinsky in Inghilterra. Nel 1939, stanca della galleria, Peggy decide di “aprire un museo d’arte contemporanea a Londra” con l’amico Herbert Read come direttore. Il museo dovrebbe seguire un percorso storico e la collezione dovrebbe basarsi su una lista di artisti stilata da Read e successivamente rivista da Duchamp e Nellie van Doesburg. Tra il 1939 e il 1940, Peggy è impegnata ad acquistare opere per il futuro museo, con il proposito di “comprare un quadro al giorno”. È allora che vengono acquistati alcuni dei capolavori della collezione, quali le opere di Francis Picabia, Georges Braque, Salvador Dalí e Piet Mondrian. Peggy sorprende Fernand Léger comprando il suo Uomini in città nel giorno in cui Hitler invade la Norvegia, e acquista Uccello nello spazio di Brancusi quando i tedeschi arrivano a Parigi.

 width=Constantin Brancusi, Uccello nello spazio (L’Oiseau dans l’espace), 1932-1940. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald. Ora in mostra a Palazzo Strozzi.

Nel luglio del 1941 Peggy abbandona la Francia occupata dai nazisti e torna negli Stati Uniti insieme a Max Ernst che, pochi mesi più tardi, diventa il suo secondo marito (i due si separano nel 1943). Mentre continua ad acquistare opere per la sua collezione, Peggy cerca un nuovo spazio per il museo. Nell’ottobre del 1942 apre il museogalleria Art of This Century sulla 57a strada, a New York. Progettata dall’architetto austriaco Frederick Kiesler, la galleria è costituita da sale espositive estremamente originali e ben presto diviene il centro d’arte contemporanea più interessante di New York. Ricordando la serata d’apertura Peggy scrive: «Indossai un orecchino di Tanguy e uno di Calder, per dimostrare la mia imparzialità tra Surrealismo e Astrattismo». La galleria presenta la sua collezione d’arte cubista, astratta e surrealista, quella che oggi vediamo sostanzialmente esposta a Venezia. Organizza anche mostre temporanee dei più importanti artisti europei e di vari artisti americani, allora sconosciuti, quali Robert Motherwell, William Baziotes, Mark Rothko, David Hare, Richard Pousette-Dart, Robert De Niro Sr., Clyfford Still, e Jackson Pollock a cui è dedicata la prima personale nel 1943.

 width=A sinistra Peggy Guggenheim con gli orecchini realizzati per lei da Alexander Calder, anni ’50 © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005. A destra Peggy Guggenheim con gli orecchini realizzati per lei da Yves Tanguy, anni ’50, Courtesy Solomon R. Guggenheim Foundation.

Pollock e gli altri artisti sono gli iniziatori dell’Espressionismo astratto americano ed è proprio ad Art of This Century che entrano in contatto con il Surrealismo, loro principale fonte d’ispirazione. Fondamentali rimangono comunque la spinta e il supporto dati da Peggy e da Howard Putzel, suo consulente nella galleria, ai membri di questa nascente avanguardia newyorkese, che rappresenterà il primo movimento artistico americano di portata internazionale.

 width=La Galleria astratta di Art of This Century New York, 1942. In fondo a sinistra Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse n. 2 (1913, Collezione Peggy Guggenheim); a destra in primo piano Jean Hélion, Equilibrio (1933, Collezione Peggy Guggenheim). Courtesy Fondazione Solomon R. Guggenheim

Nel 1947 Peggy ritorna in Europa. Nel 1948 la sua collezione viene esposta alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra. Proprio a Venezia acquista Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, dove si trasferisce e apre la sua collezione al pubblico, cominciando nel 1949 con una mostra di sculture esposte nel giardino. Nel 1950 organizza la prima personale di Pollock in Europa, nell’Ala Napoleonica di Museo Correr, a Venezia.

La collezione viene, inoltre, esposta a Firenze e Milano, e in seguito ad Amsterdam, Bruxelles e Zurigo. Durante i trent’anni trascorsi a Venezia, Peggy continua a collezionare opere d’arte e ad appoggiare artisti come Edmondo Bacci e Tancredi Parmeggiani, conosciuto nel 1951. Nel 1962 viene nominata Cittadina Onoraria di Venezia. Nel 1969 il Museo Solomon R. Guggenheim di New York la invita ad esporre lì la propria collezione, nella sede nella celebre struttura a spirale progettata da Frank Lloyd sulla Fifth Avenue.

Peggy muore il 23 dicembre del 1979, all’età di ottantun’anni. Le sue ceneri sono sepolte in un angolo del giardino di Palazzo Venier dei Leoni, accanto al luogo in cui era solita seppellire i suoi adorati cani. Alla morte di Peggy, la Fondazione Solomon R. Guggenheim ha ampliato la sua casa, trasformandola in uno dei più affascinanti musei d’arte moderna del mondo.

 width=Peggy Guggenheim sui gradini di Palazzo Venier dei Leoni in occasione della prima mostra che organizza a Venezia settembre 1949 © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.

 

 

 

Dietro le quinte. Ascensori ad arte

di Ludovica Sebregondi

Da molte mostre ormai l’ascensore di Palazzo Strozzi “si veste” per accogliere i visitatori ancor prima di entrare in mostra. Già salendo dal terreno al Piano Nobile si è proiettati tra le opere esposte, seguendo un filo narrativo, allusivo o ironico a seconda del tema dell’esposizione.

Sembra semplice, ma bisogna aggirare lacci e lacciuoli: si parte infatti da un’idea ma, come sempre, è necessario un lavoro di squadra. Compagnia di avventure fin dalle prime volte è stata Beatrice Pignotti, dello Studio RovaiWeber, che suggerisce e aiuta a capire quali immagini possano essere adatte: per poter sostenere un ingrandimento che deve arrivare a oltre due metri di altezza, devono essere foto ad altissima risoluzione, ma anche la sua sensibilità di grafica è fondamentale. Non si tratta delle uniche difficoltà, e non sempre le immagini scelte sono libere da diritti o i proprietari (musei o privati) acconsentono che vengano utilizzate per questo ambiente particolare. A questo punto viene in aiuto Manuela Bersotti, responsabile della gestione delle immagini della Fondazione Palazzo Strozzi. Una volta sottoposto il progetto al direttore generale Arturo Galansino, sarà Claudio Chiarusi di Stampa in Stampa, insieme al suo staff, a stampare i file e a posizionare le stampe nell’ascensore.

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È sempre una festa quando si arriva a questo momento poiché significa che la mostra è pronta, che tutte le opere sono arrivate a destinazione e sono già state collocate. Fino a poco prima l’ascensore è tappezzato di nastro adesivo, e subito dopo siamo pronti per l’inaugurazione.

Tra le tante mostre che in questi anni si sono susseguite, alcune hanno visto un ascensore particolarmente azzeccato. Così per Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici (dal settembre 2010 al gennaio 2011, sono passati ormai cinque anni), al centro una voluttuosa Venere (Roma, Galleria Colonna), non era concupita solo dal giovane Amore e da un satiro, ma anche da due uomini che le rivolgevano lo sguardo: in tralice il collezionista Pierantonio Bandini (Ottawa, National Gallery of Canada), intenso ma perplesso il condottiero, Stefano IV Colonna (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini).

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Solo un anno fa, nella primavera del 2015, un’occasione straordinaria ci è stata offerta da Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico: si era infatti accolti da splendidi e possenti corpi maschili già nell’ascensore, vera e propria “scatola nera della bellezza”, che preparava alle straordinarie sculture esposte in mostra. Se ai lati due figure erano viste dal retro, sulle ante mobili, vere e proprie quinte teatrali, apparivano di fronte un possente Eracle (Chieti, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo) e l’atletico Apoxyomenos di Efeso del Kunsthistorisches Museum di Vienna.

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Ed eccoci alla mostra attuale, Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim: in questo caso è la stessa Peggy Guggenheim, a grandezza naturale, ad accogliere i visitatori per accompagnarli in mostra. La fotografia appartiene all’Archivio Locchi ed è stata scattata il 24 febbraio 1949 al momento dell’inaugurazione dell’esposizione della Collezione Guggenheim che inaugurò gli spazi della Strozzina. A distanza di sessantasette anni dai sotterranei di Palazzo Strozzi le opere salgono al Piano Nobile e l’ascensore ne simboleggia l’ascesa.

 width=E per la prossima mostra, Ai Weiwei a Palazzo Strozzi che si aprirà il 23 settembre 2016, chissà cosa ci inventeremo? Vi invitiamo fin da ora a scoprirlo.

 

Solomon R. Guggenheim, storia di un mecenate

Dal 19 marzo al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospiterà la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim che porterà a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

Durante la sua vita, Solomon ha contribuito in maniera fondamentale alla promozione e alla diffusione di iniziative a sostegno dell’arte moderna e contemporanea.

Solomon R. Guggenheim è nato nel 1861 a Philadelphia da una famiglia che doveva la propria fortuna all’industria mineraria. Insieme alla moglie, Irene Rothschild, ha acquisito la reputazione di mecenate e filantropo. Dalla metà degli anni ’90 dell’Ottocento Solomon Guggenheim ha iniziato a raccogliere opere di grandi maestri, paesaggi americani, lavori della Scuola di Barbizon e di arte primitiva.

Nel 1927 la sua collezione è cambiata radicalmente grazie all’incontro con Hilla Rebay (1890-1967), che gli fece conoscere le Avanguardie europee. Nel luglio 1930 la Rebay organizzò un incontro tra Solomon Guggenheim e Vasily Kandinsky, le cui opere sono divenute parte importante della collezione.

 width=Irene Guggenheim, Vasily Kandinsky, Hilla Rebay e Solomon R. Guggenheim al Bauhaus di Dessau, 7 luglio 1930. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York

Dal 1930 il pubblico ha potuto accedere all’appartamento privato di Solomon l’Hotel Plaza di New York per ammirare la sua collezione. Le pareti erano rivestite di dipinti di artisti come Rudolf Bauer, Marc Chagall, Fernand Léger, e László Moholy-Nagy.

 width=L’appartamento di Solomon R. e Irene Guggenheim al Plaza Hotel, New York, 1937 circa. Courtesy of the Solomon R. Guggenheim Foundation, New York

Nel 1937 Solomon ha dato vita alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, che ha condotto all’apertura a New York, nel 1939, del Museum of Non-Objective Painting (Museo di arte non figurativa) sulla 54a Strada, poi – nel 1947 – di uno spazio espositivo in un edificio al numero 1071 della 5a Avenue, nonché all’incarico all’architetto Frank Lloyd Wright, nel 1943, di progettare un nuovo edificio per ospitare la collezione. Solomon Guggenheim è morto nel 1949, dieci anni prima del completamento del museo che porta e ricorda il suo nome.

 width=Frank Lloyd Wright, Hilla Rebay, e Solomon R. Guggenheim con il plastico del nuovo museo di Wright alla conferenza stampa di presentazione del progetto, Plaza Hotel, New York, 20 settembre 1945. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York