Vademecum per la mostra

blank

Ai Weiwei. Libero
Artista dissidente e icona della lotta per la libertà di espressione, Ai Weiwei è noto a livello globale per l’unione di attivismo politico e ricerca artistica attraverso opere spettacolari e provocatorie. Protagonista di mostre presso i maggiori musei del mondo, Ai Weiwei ha invaso Palazzo Strozzi con lavori storici e nuove produzioni site-specific che coinvolgono tutto lo spazio: facciata, cortile, Piano Nobile e Strozzina. Per la prima volta Palazzo Strozzi è utilizzato come luogo espositivo unitario, creando un’esperienza inedita per i visitatori e permettendo all’artista cinese di confrontarsi con un contesto ricco di sollecitazioni rinascimentali. La mostra propone un percorso tra installazioni monumentali, sculture e oggetti simbolo della sua carriera, video e serie fotografiche dal forte impatto, consentendo una totale immersione nel mondo di Ai Weiwei. Si spazia dunque dai lavori del periodo newyorkese alle iconiche installazioni fatte di assemblaggi di materiali e oggetti, fino alle opere politiche e controverse che hanno segnato gli ultimi tempi della sua produzione, come i ritratti di dissidenti politici in LEGO o i progetti sulle migrazioni nel Mediterraneo.

FACCIATA

1. Facciata
L’installazione Reframe (Nuova cornice), pensata per la facciata di Palazzo Strozzi, nasce dall’impegno dell’artista sul fronte della migrazione e dei rifugiati. La serie di ventidue gommoni di salvataggio arancioni circonda le finestre del Piano Nobile sulle due facciate di piazza Strozzi e via Strozzi. L’installazione dà quindi vita a un’insolita decorazione del palazzo rinascimentale, creando una nuova cornice, un nuovo punto di vista, in un forte contrasto visivo e culturale, su uno dei simboli della storia dell’arte occidentale. Ai Weiwei vuole scuotere le coscienze per ricordare la tragedia vissuta da coloro che intraprendono un viaggio disumano verso le coste europee in fuga dalle distruzioni e dalle guerre. Le leggere imbarcazioni innestate sulla facciata ricordano le fragili strutture a cui i rifugiati si aggrappano in mare, ed evocano, insieme, come i migranti tentino di innestare se stessi su un altro luogo, in un ambiente sconosciuto quale è l’Europa.

CORTILE

Cortile mappa

2. Cortile
L’installazione Refraction (Rifrazione) è costituita da cucine solari assemblate a formare un’ala. Presentata per la prima volta nel 2014 nell’isola di Alcatraz, la famosa prigione nella baia di San Francisco, quest’ala è simbolo di libertà, ma essendo pesante e ancorata a terra, è come immobilizzata. Per le dimensioni ingombranti e gli elementi taglienti comunica un senso claustrofobico che fa percepire la ristrettezza in cui vivono i detenuti. È dunque metafora della privazione della libertà, la stessa imposta ad Ai Weiwei, incarcerato nel 2011 dalla polizia in un luogo segreto per ottantuno giorni. L’opera allude anche alla situazione politica tibetana, essendo questi pannelli solari utilizzati in Tibet per cucinare e preparare il tè. Porcelain Vases with Bamboo Poles (Vasi di porcellana e canne di bambù) crea un contrasto tra due materiali tipicamente cinesi e la pietra tipica dell’architettura italiana. In particolare l’uso del bambù, apparentemente fragile ma in realtà fortissimo grazie alla sua elasticità e perciò tradizionalmente usato nell’edilizia, amplifica le relazioni e le diversità da un punto di vista storico-architettonico.

PIANO NOBILE

Piano Nobile

3. Forever
L’installazione Stacked (Impilate), presentata in un allestimento site-specific per Palazzo Strozzi, assembla novecentocinquanta biciclette, mezzo di trasporto che è parte integrante dell’identità cinese. Declinata dal 2003 – quando fu presentata col titolo Forever – in diversi allestimenti, l’opera rinvia al ready-made con la Ruota di bicicletta di Duchamp del 1913. Ai Weiwei vuole sottolineare il problema dei trasporti, molto sentito in Cina, e del suo impatto sull’ambiente. Ma le biciclette hanno anche un altro significato per Ai Weiwei, perché nella sua infanzia possederne una significava la libertà di movimento. La marca utilizzata (“Forever”) era la più popolare in Cina dagli anni quaranta, quasi l’unica commercializzata quando l’artista era giovane. Stacked, separando le biciclette dalla loro funzione, le riconfigura come una sorta di labirinto simile alla rete di Internet ma, col suo carattere architettonico, allude anche a un arco trionfale o a un monumentale portale d’ingresso.

4. Sichuan
Alle 14,28 del 12 maggio 2008 un terremoto di magnitudo 8.0 gradi sulla scala Richter provoca nel Sichuan circa settantamila vittime. Migliaia di studenti muoiono nel crollo delle scuole, collassate a causa dei materiali scadenti utilizzati. Ai Weiwei si reca sul posto e comincia un’inchiesta che lo porterà a denunciare le responsabilità del governo cinese in quella tragedia e i tentativi di insabbiamento. La memoria del dramma è cristallizzata in una serie di opere come Snake Bag (Borsa serpente), formato da 360 zaini scolastici cuciti a formare un serpente, che ricorda i moltissimi oggetti appartenuti alle giovani vittime ritrovati dall’artista nelle macerie. Rebar and Case (Tondino e cassa) è costituita da contenitori in pregiato legno huali con riproduzioni in marmo bianco dei tondini in ferro rinvenuti contorti tra le macerie. I contenitori evocano le bare e la forma stravolta rispecchia gli oggetti che conservano.

5. Wood
Fin dal suo ritorno in Cina nel 1993 dagli Stati Uniti, Ai Weiwei inizia a interessarsi alle antichità e all’antiquariato. Colleziona mobili e parti di templi delle dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) abbattuti per essere sostituiti da nuove costruzioni. Nei lavori in legno Ai Weiwei reinterpreta la tradizione cinese: armonia di proporzioni e tecnica che non prevede l’uso di chiodi, viti o colla, ma solo di raffinati incastri. Map of China (Mappa della Cina) è una scultura-puzzle formata da legni che simboleggiano la diversità etnica e culturale di un Paese che, pur restando unitario, rappresenta la fusione di un’enorme massa di individui. Ai Weiwei è fedele agli antichi valori formali, ma li stravolge: nei due tavoli, esaltandone il nonsense, è ricostruita e modificata la struttura, lasciando però intatta la patina originaria. Grapes (Grappolo) unisce trentaquattro sgabelli – oggetti tra i più tipici della vita popolare cinese – e sfida la gravità in una composizione che prolifera ripetendo il modulo iniziale, come avviene nelle megalopoli. The Animal That Looks like a Llama but is Actually an Alpaca (L’animale che sembra un lama ma è un alpaca) è una intricata carta da parati decorata dal logo di Twitter, da un alpaca, oltre che da videocamere di sorveglianza, catene e manette per ricordare la detenzione di Ai Weiwei nel 2011. Il curioso titolo allude al gergo usato in Cina per evitare la censura su Internet.

6. Renaissance
La sala è dedicata alla rilettura del Rinascimento italiano da parte di Ai Weiwei: i poliedri Divina Proportio (Divina proporzione) e Untitled – Wooden Ball (Senza titolo – Palla di legno) evocano i disegni eseguiti da Leonardo da Vinci per illustrare il trattato De divina proportione di Luca Pacioli del 1497, anche se prima fonte d’ispirazione è uno dei giochi dei gatti che popolano il suo studio di Pechino. Un doppio piano, alto-basso, che insieme a quello antico-moderno, naturale-tecnologico, è caratteristico del linguaggio dell’artista. I ritratti in LEGO proseguono la serie dedicata ai dissidenti politici. Per Palazzo Strozzi Ai Weiwei ha scelto quattro personaggi del passato legati a Firenze che hanno subito privazioni della libertà. Si tratta di Dante, l’esiliato per eccellenza della storia letteraria italiana; di Filippo Strozzi, bandito per venti anni – come il padre di Ai Weiwei – dai Medici e che al ritorno in patria costruì il Palazzo in cui ha sede la mostra; di Girolamo Savonarola, figura discussa, giustiziato per l’opposizione al regime mediceo e alla Chiesa di papa Borgia; di Galileo, scienziato incarcerato e processato per aver difeso le proprie idee. Volti che, nelle tinte non realistiche dei mattoncini, diventano immagini ludiche o pop.

7. Objects
Questi oggetti, nonostante l’uso di materiali preziosi e tecniche raffinate, sono legati ad abusi di diritti umani e alla censura. In passato il ruyi era uno scettro. L’artista ne ha interpretato la forma usando la porcellana, il materiale più delicato della tradizione cinese, per affrontare il tema del mercato degli organi umani – a cui alludono le interiora di pollo – di cui la Cina pare avere il triste primato. Le grucce e le manette ricordano la prigionia di Ai Weiwei, arrestato il 3 aprile 2011 dalla polizia e detenuto per ottantun giorni in un luogo segreto. Nella cella non c’era spazio per la biancheria pulita e l’artista ha ottenuto dalle guardie sei grucce di plastica su cui appendeva la biancheria che lavava quotidianamente. Nel corso della prigionia Ai Weiwei è stato interrogato più di cinquanta volte, mentre era incatenato con manette a una seggiola. Questi oggetti che hanno segnato la sua detenzione sono stati poi realizzati in materiali pregiati: le grucce in cristallo e legno huali, le manette in giada, elevando questi oggetti d’uso e facendoli diventare simboli di oppressione.

8. Jingdezhen
Nel lavoro di Ai Weiwei si fondono riferimenti alla storia cinese passata e presente e, riallacciandosi all’antica produzione autoctona, l’artista crea oggetti in porcellana realizzati artigianalmente a Jingdezhen, antica capitale di questo genere di fabbricazione. The Wave (L’onda) ricorda le opere della dinastia Yuan in cui l’acqua è rappresentazione ricorrente, e rinvia anche alle stampe giapponesi, soprattutto all’Onda di Hokusai. Free Speech Puzzle (Puzzle della libertà di parola), è costituito da trentadue tasselli di porcellana dipinta a mano che riproducono la suddivisione della Cina in province, comprese quella di Hainan e quella, contesa, di Taiwan. Imitando la tradizione di scrivere su pendenti di vario materiale il nome della famiglia come buon auspicio, Ai Weiwei ripete su ogni pezzo del puzzle il motto “Free Speech”, che diventa quindi quello di tutta la Cina e di ogni suo cittadino. Remains (Resti) è la riproduzione in porcellana di resti umani scoperti in uno dei campi di lavoro in cui, all’epoca della Rivoluzione culturale, venivano rinchiusi i dissidenti come il padre di Ai Weiwei.

9. Vases
Fondamentale per il linguaggio di Ai Weiwei è il rapporto fra tradizione e modernità: attraverso la manipolazione di oggetti, immagini e metafore, l’artista mostra un rapporto ambivalente con il proprio paese, diviso tra senso d’appartenenza e ribellione. Dropping a Han Dynasty Urn (Distruzione di un’urna della dinastia Han) è una controversa e famosissima performance del 1995 che lo vede distruggere un’urna funeraria della dinastia Han antica di oltre duemila anni. Fissata in tre iconici scatti fotografici, viene qui riproposta in una versione in LEGO, medium che Ai Weiwei utilizza sempre più sovente negli ultimi anni. Colpisce l’espressione indifferente dell’artista, per sottolineare che è un atto consapevole di barbarie culturale, paragonabile alla distruzione dell’eredità storica cinese portata avanti dal governo con la Rivoluzione culturale. Su questa linea si inserisce anche la serie Han Dynasty Vases with Auto Paint (Vasi della dinastia Han con vernice per carrozzeria) in cui l’artista immerge antichissimi vasi neolitici in latte di vernice per carrozzeria annullandone il valore storico e culturale, e trasformandole al contempo in opere contemporanee.

10a. Study of Perspective
Al 1995 risale la prima serie di fotografie Study of Perspective (Studio prospettico) ambientata in piazza Tienanmen a Pechino. Le quaranta fotografie – suddivise in questa sala e nella prossima – sono accomunate dal suo braccio sinistro sollevato con il dito medio alzato, davanti a monumenti mondiali altamente simbolici come la Casa bianca, la Gioconda, la Tour Eiffel, gli skyline di Hong-Kong e New York, piazza San Marco, il Colosseo o la Sagrada Família. Con il gesto profanatorio Ai Weiwei vuole attirare l’attenzione dell’osservatore affinché metta in discussione il proprio atteggiamento nei confronti di governi, istituzioni e persino della cultura. In occasione di questa mostra l’artista ha realizzato una nuova immagine della serie Study of Perspective, in cui il dito medio è sollevato contro Palazzo Strozzi. Collegata alla serie è la carta da parati Finger (Dito) in cui viene reiterata ossessivamente la provocazione.

10b. Blossom and Grass
Con le mattonelle in porcellana Blossom (Sbocciato) l’artista richiama, attraverso l’uso della tecnica artistica cinese per eccellenza, la campagna detta dei “Cento fiori”, che nel 1956 ha rappresentato un breve momento di apertura da parte del governo nei confronti della libertà di espressione. Come molte produzioni di Ai Weiwei ha richiesto il lavoro di numerose maestranze, al pari di Iron Grass (Erba d’acciaio), formata da ciuffi di erba in ghisa. La parola cinese per erba, cao, è anche un’imprecazione, e viene usata in Cina su Internet per eludere la censura. Questa installazione è altresì associata a Caochangdi, il distretto artistico nella zona nord-est di Pechino dove Ai Weiwei ha il suo studio.

11. Mythologies
La sala è dedicata a figure della cultura cinese. Le creature di seta e bambù sono ispirate a Shanhaijing (Il classico dei monti e dei mari), testo di geografia fantastica antico di oltre duemila anni, che Ai Weiwei non ha potuto leggere da bambino poiché vietato al pari di altri libri. Per fabbricare le figure l’artista si è ispirato ai disegni e agli aquiloni che creava da piccolo e ha coinvolto artigiani specializzati. Taifeng è il grande vento, che ha apparenza umana e coda di tigre, Feiyu il pesce volante, Huantouguo l’uomo-uccello. Anche la serie Zodiac Heads (Teste dello Zodiaco), formata da dodici teste in bronzo degli animali dell’astrologia cinese, riconduce alla cultura ancestrale di Ai Weiwei. L’artista ha voluto esporre Monkey (Scimmia) per ricordare che il 2016 è l’anno della Scimmia, segno instabile per eccellenza. Le figure, in origine parte di un orologio ad acqua concepito da gesuiti europei nel ’700 per il Palazzo d’Estate, furono trasferite poi nello Yuangminyuan, il Giardino della luminosità perfetta di Pechino. Saccheggiate da truppe francesi e britanniche nel 1860 durante la seconda guerra dell’oppio, sono state in parte ritrovate e riportate in Cina. Con quest’opera Ai Weiwei riflette sul passato coloniale, sulle distruzioni della modernità, su furti, restituzioni e valore delle opere d’arte.

12. Shanghai
Nel 2008 Ai Weiwei viene invitato dalle autorità di Shanghai a costruire uno studio a Malu Town. Quando lo studio è ultimato, nell’ottobre 2010, lo stesso governo municipale, a causa dell’attività politica, dichiara che è stato costruito senza i necessari permessi e stabilisce che venga demolito. Ai Weiwei invita così molte persone via Internet a partecipare a una festa il 7 novembre 2010, per celebrare contemporaneamente l’ultimazione dello studio e la sua demolizione. Per impedirgli di essere presente al party viene messo agli arresti domiciliari a Pechino: gli ottocento ospiti mangiano granchi di fiume, in cinese he xie, dal suono simile alla parola che indica “armonia”, slogan del governo, ma che ha anche assunto il significato di “censura”. Per questa mostra Ai Weiwei ha accatastato millecinquecento granchi in porcellana, ricordando che in Cina questi crostacei hanno una lunga tradizione iconografica L’11 gennaio 2011 lo studio viene raso al suolo senza preavviso. Le autorità cercano di impedirgli l’accesso durante la demolizione, ma l’artista riesce a salvare parti dell’edificio, che utilizza per creare Souvenir from Shanghai (Souvenir da Shanghai) cemento e macerie di mattoni posti a incorniciare il telaio di un letto della dinastia Qing.

STROZZINA

Strozzina

13. New York
Attratto dall’Occidente, nel febbraio 1981, a ventiquattro anni e con trenta dollari in tasca, Ai Weiwei si trasferisce negli Stati Uniti, prima per studiare inglese a Philadelphia e Berkeley, e poi a New York, dove entra alla Parsons New School for Design, al Greenwich Village. L’abbandona ben presto, spinto da quell’insofferenza verso le istituzioni che caratterizza la sua personalità. Frequenta musei e gallerie ed è influenzato da Marcel Duchamp, Andy Warhol e Jasper Johns. Gli oggetti esposti rinviano ai ready-made di Duchamp, il dipinto alle Cinque bottiglie di Coca Cola di Andy Warhol. Datano al periodo americano migliaia di fotografie in bianco e nero, quasi un blog ante litteram, con cui l’artista ha documentato i momenti di questa vita bohémien. Il suo appartamento diventa punto di incontro per gli artisti cinesi, per lo più dissidenti, che vivono negli USA, e Ai Weiwei rappresenta un collegamento tra intellettuali dei due mondi. Per mantenersi fa i lavori più svariati: contribuiscono al suo sostentamento i ritratti che esegue a Times Square e diviene leggendaria la sua abilità nel gioco del blackjack.

14. Disturbing the Peace
Il 12 agosto 2009, alla vigilia del processo a Chengdu contro l’attivista Tan Zuoren, processato per la sua attività legata all’inchiesta sulla morte di migliaia di scolari nel terremoto del Sichuan, Ai Weiwei, venuto da Pechino a deporre in suo favore, viene trattenuto dalla polizia nella sua camera d’albergo, interrogato e picchiato. Inoltre non gli viene consentito di lasciare l’albergo per recarsi in tribunale a testimoniare. Tutti questi momenti, filmati o registrati dall’artista, sono stati riuniti nel documentario Lao Ma Ti Hua (Disturbare la pace). In settembre, mentre si trova a Monaco di Baviera per allestire alla Haus der Kunst la mostra So Sorry, deve essere operato d’urgenza per emorragia celebrale, causata probabilmente dai colpi ricevuti dalla polizia a Chengdu.

15. 258 Fake
L’uso dei nuovi media è uno dei principali tratti distintivi dell’opera di Ai Weiwei e Internet è il suo maggior mezzo di espressione. È nel 2005 che Ai Weiwei si apre a questa nuova forma di comunicazione quando inizia a tenere un blog. 258 Fake riunisce su 12 monitor 7677 fotografie scattate fra il 2003 e il 2011 a documentare – quasi ossessivamente – vita quotidiana e produzione artistica. Il titolo si riferisce allo studio di Pechino di Ai Weiwei, FAKE Design, al numero 258 di Caochangdi. La video-installazione riunisce immagini pubblicate sul suo blog. L’opera attesta anche il proliferare delle immagini nell’età dei media digitali.

16. Beijing East Village
Al ritorno in Cina nel 1993 Ai Weiwei trova una situazione mutata in seguito ai fatti del 1989 e alle stragi di piazza Tienanmen: alla liberalizzazione, anche in campo culturale, guidata da Deng Xiaoping del decennio 1979-1989, è seguita infatti la repressione della libertà. Gli artisti si riuniscono in modo semiclandestino e Ai Weiwei è uno dei fondatori dell’East Village nella periferia di Pechino, una comunità ispirata a quella di Manhattan cui aderiscono fotografi, musicisti, performer. Le immagini ne attestano l’attività. Crystal Cube (Cubo di cristallo) appartiene alla serie con cui Ai Weiwei – traendo ispirazione dalla scultura minimalista degli anni sessanta – ripropone un cubo utilizzando i materiali della tradizione cinese: tè, ceramica, marmo, ebano. Crystal Cube, del peso di oltre due tonnellate, è stata la riproduzione più complessa realizzata finora.

17. Leg Gun
Nel giugno del 2014 Ai Weiwei ha postato su Instagram una fotografia, in pantaloncini corti e calzini neri, in cui imbraccia la gamba come se si trattasse di una pistola. Ha accompagnato l’immagine con le parole “Beijing Anti-Terrorism Series”. Il gesto è diventato virale ed è stato ripreso da migliaia di follower in chiave politica, ironica o artistica. L’opera comunica lo stile tipico della protesta online in Cina, in cui il dissenso è espresso in modo indiretto e sotteso.

18. Surveillance
Photographs of Surveillance (Fotografie di sorveglianza) riunisce una serie di fotografie pubblicate sul numero 43 della rivista FOAM “Freedom of Expression under Surveillance”, realizzato da Ai Weiwei in qualità di “guest editor”. Le fotografie sono state scattate negli anni dall’artista per documentare la propria vita. Le immagini mostrano la stretta vigilanza a cui Ai Weiwei è stato sottoposto dalle autorità cinesi, ma illustrano anche un punto di vista ribaltato, testimoniando la volontà dell’artista di tenere d’occhio quelli che lo sorvegliano. Tema ricorrente nella sua opera è la reinterpretazione, ispirata a Duchamp, di semplici oggetti di uso quotidiano che – tradotti in materiali pregiati quali marmo e cristallo – diventano simboli e icone. Al controllo dei cittadini da parte della politica allude Taxi Window Cranck, una maniglia di finestrino dei taxi di Pechino, analoga a quelle rimosse per impedire ai manifestanti di lanciare volantini dalle auto. Il video Discard the old path of closed doors and rigidity and reject evil attempts to change the Party’s banner (Abbandonare la vecchia politica delle porte chiuse e della rigidità e respingere i funesti tentativi di cambiare la bandiera del partito) ripercorre la vicenda. Mask (Maschera), altra opera ispirata ai problemi della Cina di oggi, è una maschera antigas appoggiata su una lastra tombale, scolpite in un unico blocco di marmo, per sottolineare il fortissimo inquinamento prodotto dalla rapida industrializzazione cinese. Tyre (Pneumatico) è invece parte della più recente ricerca di Ai Weiwei e richiama i salvagente – anche di fortuna – abbandonati sulle spiagge di Lesbo.

19. The Fake Case
Il film, del regista danese Andreas Johnsen, documenta la battaglia di Ai Weiwei contro il governo cinese. Segregato dalla polizia per oltre due mesi, viene rilasciato nel giugno 2011, accusato di frode fiscale commessa dal suo studio FAKE Design e multato per una cifra milionaria in dollari. Simpatizzanti organizzano una sottoscrizione popolare per raccogliere i soldi necessari per pagare la sanzione. Gli viene anche ritirato il passaporto, impedito di lasciare Pechino, proibito di pubblicare articoli su Internet e di parlare con la stampa. Il titolo del film allude al nome dello studio, ma anche a Fake nel senso di finzione, per sottolineare che si tratta di una montatura del governo relativa a un reato che non esiste. Il docu-film racconta altresì la creazione di S.A.C.R.E.D., opera – presentata in anteprima alla Biennale di Venezia del 2013 – che riproduce la prigionia di Ai Weiwei attraverso grandi diorami.

20. Selfie
Nel 2005 Ai Weiwei si apre a una nuova forma di espressione: su richiesta del portale cinese SINA inizia a tenere un blog su Internet e lo correda di fotografie per documentare attività artistica e vita personale, utilizzando la piattaforma per esprimere le sue idee sull’arte, l’architettura, la politica e la cultura. La sua denuncia contro il governo assume toni sempre più espliciti e duri a seguito del terribile terremoto del 2008. Nel maggio 2009 pubblica un elenco di nomi di bambini morti nel sisma, ma il blog – che raggiunge centomila contatti il giorno – è oscurato dal governo cinese. Passa dunque a Twitter e nei quattro anni successivi pubblica oltre centomila tweet, raggiungendo centinaia di migliaia di follower. I suoi interventi sui social media (dal 2009 è anche attivissimo su Instagram) col tempo assumono la valenza di una nuova forma d’arte. Ha affermato infatti: «Penso che l’arte non avrà nessun tipo di futuro se non riuscirà ad adattarsi alla tecnologia e alla vita di oggi».

Dove vivo io

blank

«Abitare è essere ovunque a casa propria». Inizia così il documentario del 1977 dell’architetto Ugo La Pietra. A questo pensiero e alla migrazione contemporanea rappresentata nella mostra Liu Xiaodong: Migrazioni si ispira il progetto Dove vivo io, realizzato dal Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi.

L’idea è di raccontare la comunità che vive nei luoghi raffigurati dal pittore Liu Xiaodong, attraverso una testimonianza diretta, fatta di voci, suoni e immagini. Un progetto pensato per far emergere i legami con il territorio e i percorsi emotivi di chi abita quotidianamente la città.

Come ci rappresentano e cosa raccontano di noi i luoghi in cui viviamo? Quanto siamo influenzati dai quartieri, dalle vie e dalle piazze che frequentiamo? Quanto la nostra presenza modifica questi luoghi?

A queste domande risponde un gruppo di ragazze e ragazzi, che vivono tra Prato e Firenze, riflettendo sui luoghi del proprio vissuto quotidiano: una strada, una piazza o qualsiasi altro posto legato ad un ricordo, a un’emozione, alla personale percezione della città.

Il punto di partenza è stato quello di individuare sulla mappa di Prato, i “luoghi del cuore”; è seguita una visita in città per scoprire insieme le aree indicate: un percorso durante il quale ognuno ha raccontato le storie, le trasformazioni, le relazioni, con una particolare attenzione al quartiere di Chinatown. La fase successiva è stata quella di intervistare persone che vivono nel territorio, scelte direttamente dai partecipanti.

width=Ad ogni luogo corrisponde una storia: c’è chi ha indicato Piazza dell’Immaginario, chi via Pistoiese, chi piazza Duomo, raccontando così frammenti della città. Vincenzo, spazzino italiano, si prende cura della strade del Macrolotto Zero; Giulia, ex studentessa di medicina, vive in Italia da venticinque anni lavorando come sarta, innamorata del centro storico pratese; Massimiliano, ha un cognome e un passaporto cinese, senza però conoscere la lingua. Tante le storie che si intrecciano, raccolte in un progetto sonoro, con sottotitoli in italiano e cinese, affiancato da una selezione di fotografie e mappe dei luoghi raccontati.

Il video, le fotografie e le mappe che potete vedere per intero qui, sono il risultato di alcuni mesi di lavoro che hanno permesso di scoprire, approfondire e raccontare l’articolata convivenza multiculturale che caratterizza Prato.

width=

Tutte le interviste e le fotografie sono disponibili sul nostro account Youtube e Flickr.

width=Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione con Sara Jacopini, Miao Miao Huang e all’attenzione e sensibilità di tutti i partecipanti.
Il progetto audio è stato realizzato in collaborazione con Radio Papesse.
La documentazione fotografica e il montaggio video è di Giancarlo Barzagli.
Le mappe sono state realizzate da Emanuele Barili.

 

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Il ponte del 2 giugno a Palazzo Strozzi

blank

Sapete già come trascorrere questo lungo weekend di festa?

Da oggi inizia il lungo ponte del 2 giugno da dedicare alle nostre passioni, al tempo libero ritrovato, alle gite in giro per l’Italia e ai nostri immancabili appuntamenti con l’arte. Non c’è occasione migliore per visitare Firenze e Palazzo Strozzi!

Proprio a Palazzo Strozzi, all’interno della cornice di uno dei capolavori dell’architettura rinascimentale fiorentina, vi aspettano due grandi mostre di arte moderna e contemporanea: Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim e Liu Xiaodong: Migrazioni.

width=

Entrambe rimarranno aperte al pubblico giovedì 2 giugno sino alle ore 23.00 (con ultimo ingresso alle ore 22.00), mentre venerdì, sabato e domenica vi faranno compagnia fino alle ore 20.00 (ultimo ingresso alle ore 19.00).

Se desiderate unire la vostra passione per il moderno al contemporaneo, vi suggeriamo di acquistare il biglietto congiunto che vi permetterà di vedere sia i capolavori delle collezioni Guggenheim, sia le opere frutto della riflessione sulle migrazioni contemporanee dell’artista cinese Liu Xiaodong.

width=

Lasciatevi guidare in una visita in mostra su misura per voi, scoprite le visite guidate per singoli visitatori:

Per la mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim
ogni giovedì alle 17.30 e ogni sabato alle 16.30.
Altri appuntamenti disponibili su prenotazione:
ogni giovedì alle 19.30;
ogni sabato alle 18.30;
ogni domenica alle 18.00.
Il costo della visita è di € 8,00 a persona e non comprende il biglietto d’ingresso.
Sistema radio auricolare obbligatorio € 1,00 a persona disponibile in biglietteria.

Prenotazione obbligatoria
lunedì-venerdì
9.00-13.00; 14.00-18.00
prenotazioni@palazzostrozzi.org

Per la mostra Liu Xiaodong: Migrazioni
ogni domenica alle 16.30
La visita è gratuita con il biglietto d’ingresso alla mostra, non è necessaria la prenotazione.

Insomma per chi resterà o arriverà a Firenze, per chi si concederà la bellezza dell’arte o il meritato relax, questo primo fine settimana di giugno si preannuncia davvero imperdibile.

“Liu Xiaodong: Migrazioni”: il punto di vista del Direttore

blank

di Arturo Galansino, Direttore Generale Fondazione Palazzo Strozzi

I progetti artistici di Liu Xiaodong nascono da un personale rapporto con i luoghi e le persone che li abitano; luoghi con cui egli entra in contatto attraverso un’indagine documentaristica fatta, oltre che di immagini pittoriche, anche di annotazioni scritte, disegni, schizzi, fotografie, video e immagini catturate con il cellulare. La sua pittura nasce dalla somma di queste ricerche scaturite dall’osservazione del reale e la potenza del suo linguaggio pittorico risiede proprio in questo rapporto “dal vero” e nella capacità di rallentare la visione richiamando l’attenzione su soggetti a prima vista ordinari. L’idea della mostra di Liu Xiaodong alla Strozzina di Palazzo Strozzi, organizzata in collaborazione con la galleria Massimo De Carlo, si è sviluppata partendo dalla contestualizzazione del lavoro dell’artista e dal suo interesse per la vicina Prato, dove forti sono le contraddizioni a causa dell’importante presenza cinese che caratterizza la città da circa trent’anni. L’approccio dell’artista alla realtà, oggetto della sua pittura, consiste proprio nella ricerca dell’imperfezione e del contrasto: “What I’m interested in are imperfect things filled with contradictions”, dichiara in un’intervista pubblicata nel catalogo della mostra Hometown Boy presso l’UCCA di Pechino (2010).

width=

Da un lato Prato, come luogo di intenso contrasto, e dall’altro la dirompente bellezza della campagna toscana, hanno rappresentato per l’artista i due punti di osservazione della realtà. Innamoratosi del paesino di Chiusure, tra le Crete senesi e la Val d’Orcia, dove in passato aveva trascorso un periodo di studio e lavoro, Liu Xiadong ha voluto rappresentarlo in mostra come luogo ideale e “sognato”, immagine della Toscana da cartolina meta del turismo internazionale, opposto alla Toscana delle fabbriche pratesi che invece ha rappresentato il sogno dei cittadini di Wenzhou alla ricerca del benessere economico. Il racconto che il pittore ha creato per Palazzo Strozzi nasce quindi da Prato e dall’immagine sognata della Toscana per poi proseguire fino ai confini d’Europa, a quei luoghi oggi attraversati dai migranti in cerca di una vita migliore. Il progetto Migranti, infatti, è stato concepito allargandosi concettualmente dai luoghi a noi noti fino a un discorso più ampio sulla crisi che interessa l’Europa in maniera sempre più grave e urgente. La serie di dipinti intitolata Refugees è dedicata ai migranti di oggi, quelli degli anni Dieci del Duemila, che fuggono per motivi sociali, umanitari e politici, diversamente dai cinesi provenienti dalla città-prefettura di Wenzhou giunti a Prato tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento per ragioni economiche. I soggetti di questi dipinti sono persone provenienti dalla Siria, dal Medioriente o dal Nord Africa, incontrate nel suo viaggio tra Vienna, Bodrum (Turchia) e Kos (Grecia) che hanno condiviso dei momenti di vita con l’artista.

width=Liu Xiaodong, Refugees 4 (Rifugiati 4), 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/ Hong Kong

La serie Chinatown rappresenta invece persone e luoghi incontrati durante il suo soggiorno a Prato, come l’interno di un laboratorio tessile o i momenti di vita ordinaria e di relax colti durante le esplorazioni nel Macrolotto Zero, residenza della maggior parte dei cittadini cinesi pratesi. Non è soltanto il conflitto culturale e sociale che Liu Xiaodong qui vuol raccontare, ma anche la quotidianità e la consuetudine di vita di un gruppo sociale che ha una storia importante e un percorso unico nella storia italiana ed europea, come ci racconta il giornalista e sociologo Giorgio Bernardini nel saggio “>Sogni di gloria economica: i destini incrociati di Prato e Wenzhou nel catalogo e nella sala della mostra da lui curata e dedicata a questo tema. In tutte le sue opere lo stile pittorico di Liu Xiaodong è controllato e consapevole, immerso nella realtà che vuol registrare. Come un moderno macchiaiolo, scrive sempre in catalogo Francesco Bonami nel saggio “Pennellate istantanee”, l’artista sembra rifuggire un particolare coinvolgimento emotivo o espressivo e legarsi invece all’oggettività dell’immagine, filtrata dal primo approccio fotografico e video. Il pittore, che in passato aveva avuto aspirazioni di regista cinematografico, presenta qui i suoi dipinti assieme ad un film documentario realizzato da Yang Bo, direttore della Shengshizeyu Advertising Company di Pechino.

width=

In alto Liu Xiaodong, Chinatown 4, 2016. In basso Liu Xiaodong, Chinatown 3, 2015. Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/Hong Kong

Nel voler mostrare e descrivere il “vero”, Liu Xiaodong porta l’osservatore a soffermarsi sul proprio rapporto con le immagini, sulla realtà e, di conseguenza, sui processi mentali ed emotivi messi in atto nei diversi momenti, esperienze, episodi della storia e della nostra vita. L’arte di Xiaodong ci dà occasione di riflettere sul nostro modo di vedere, capire, sentire la realtà. Ci porta a guardarci dall’esterno ed esplorare chi siamo.

“Rappresentare le migrazioni” di Liu Xiaodong

blank

width=

Lo scorso settembre, la Fondazione Palazzo Strozzi mi ha invitato ad andare a Prato. Parte della città è quasi interamente popolata da cinesi, che vi abitano e vi procreano da ormai due o tre generazioni. La pelletteria e i capi d’abbigliamento prodotti nelle loro fabbriche di Prato sono venduti in tutto il mondo. Dopo Prato ho anche tentato di seguire il tragitto che i rifugiati siriani stavano compiendo in quel periodo per entrare in Europa. Dalla penisola di Akyarlar, nel sud della Turchia, all’isola di Kos, e poi alla ferrovia che collega il confine ungherese a quello austriaco, fino ad arrivare alla stazione centrale di Vienna. Lungo il percorso, oltre ai rifugiati siriani c’erano anche molti afghani, pachistani, iraniani e africani.

width=

Liu Xiaodong, Sketched map of refugee trail to Europe 2015-2016. Courtesy Liu Xiaodong studio

La migrazione è sempre stata e sempre sarà un fenomeno ineludibile del genere umano, dal passato più remoto sino al futuro. Il desiderio di trovare un posto migliore, una vita più perfetta, è intrinseco nell’uomo. Le migrazioni sono colme di speranze ed energie e gravate da ansie e perdite.

width=

In alto Liu Xiaodong, Refugees 4 (Rifugiati 4), 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/ Hong Kong; in basso Liu Xiaodong, Photo paintings. Courtesy Liu Xiaodong studio.

Credo che il problema e l’angoscia che affliggono l’Europa siano legati alla necessità di trovare un modo per preservare le tradizioni della sua società e insieme gestire le difficoltà scaturite dalla convivenza nel continente di una moltitudine di persone delle culture più disparate. È qualcosa di analogo alla mia curiosità e apprensione verso il cambiamento, quando so che potrebbe essere un bene ma al contempo ho paura che minaccerà il mio vecchio stile di vita. I miei genitori invecchiano e muoiono, mia figlia cresce e affronterà problemi e pericoli di ogni sorta. Sono molto angosciato. Non posso fare altro che dipingerli. Dipingere ciò che vedo. Ma in una società in mutamento non vi è un’unica soluzione, un’unica risposta per placare quest’angoscia. L’Europa ed io siamo entrambi legati alle nostre angosce.

width=

Liu Xiaodong, Chinatown 3, 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/Hong Kong.

Vi invitiamo a visitare la mostra Liu Xiaodong: migrazioni alla Strozzina di Palazzo Strozzi fino al 19 giugno 2016.

Vi aspettano inoltre una serie di appuntamenti che approfondiscono le tematiche della mostra attraverso conferenze e talk che si terranno presso la Strozzina di Palazzo Strozzi: qui il calendario completo dell’iniziativa.

Il debutto di Peggy Guggenheim in Italia

blank

di Ludovica Sebregondi

Alle 17 di giovedì 24 febbraio 1949 la mostra La collezione Guggenheim inaugurò a Firenze nei sotterranei di Palazzo Strozzi la Strozzina come nuovo spazio espositivo fiorentino dedicato principalmente all’arte contemporanea. Direzione, organizzazione e segreteria della Strozzina furono assunte dallo Studio Italiano di Storia dell’Arte, fondato e diretto dal critico Carlo Ludovico Ragghianti.
Peggy Guggenheim era tornata in Europa dagli Stati Uniti nel 1947 e aveva deciso di stabilirsi a Venezia, e proprio alla Biennale del 1948, la prima dopo la fine della guerra, aveva presentato la propria collezione.

width=

Peggy Guggenheim all’inaugurazione dell’esposizione della sua collezione presso il padiglione greco, alla XXIV Biennale di Venezia, mentre accoglie il Presidente Luigi Einaudi, 1948. © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

La mostra fiorentina dell’anno successivo fu possibile anche grazie alla disponibilità di Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale della Biennale, che aveva agevolato la realizzazione dell’esposizione. A Firenze, rispetto alla mostra dell’anno precedente, fu aggiunto circa un terzo di opere inedite per il pubblico italiano. La copertina del piccolo catalogo reca il 19 febbraio come data di inaugurazione e il 10 marzo quale giorno di chiusura. Non siamo in grado di confermare quest’ultima, mentre l’apertura fu rinviata al 24 febbraio.

width=

Copertina del catalogo della mostra “La collezione Guggenheim” che inaugura gli spazi espositivi della Strozzina, in Palazzo Strozzi a Firenze

Ricorda Peggy Guggenheim nell’autobiografia: «Quando arrivai a Firenze fui colpita […] da alcuni terribili paraventi che assomigliavano a tende da doccia e che erano stati sistemati per creare più spazio». Peggy ricorda Ragghianti come un «critico molto noto» che – dopo l’annullamento della mostra al Museo di Torino poiché le autorità avevano deciso «di non esporre quadri così moderni» – le aveva proposto di presentare la collezione «a Firenze nella Strozzina, la cantina del Palazzo Strozzi, che lui stava per trasformare in una galleria d’arte moderna». Se allestimento e spazi la lasciarono perplessa, Peggy fu invece molto soddisfatta del «catalogo eccellente, che da allora in poi rimase la base di tutti i cataloghi in italiano».

width=

Retro del catalogo della mostra, con un disegno di Max Ernst tratto dal catalogo della collezione di Peggy Guggenheim pubblicato, in inglese, nel 1942

La mostra della Collezione Guggenheim provocò a Firenze accese discussioni. La critica si divise: già la domenica precedente all’inaugurazione Pietro Annigoni sulle pagine del «Mattino dell’Italia Centrale» nella recensione dal famoso titolo Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, si scagliò violentemente contro la «vecchia e annoiata miliardaria americana», ma soprattutto contro gli organizzatori della mostra, «certi antiquari o storici d’arte o studiosi d’arte», colpevoli di aver portato «nel cuore di Firenze […] una pagliacciata». Secondo Annigoni «mai come ora Firenze è apparsa cafona e provinciale», per essersi piegata a ospitare simili opere.

width=

Pietro Annigoni, Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, “Il Mattino dell’Italia Centrale”, 20 febbraio 1949.

Non fu il solo, un pesante attacco fu sferrato da Piero Bargellini su un altro articolo uscito sul «Mattino dell’Italia Centrale». Il pezzo, intitolato con sarcastico gioco di parole Le commissioni della Signora Peggy, la presenta come un’ereditiera che invece «di fare incetta di canini di varie razze o d’idoletti cinesi», «ha messo insieme, con raffinato e perverso gusto, pezzi rari d’artisti cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivisti, e chi più n’ha, più ne metta». 
Non erano però solo i fiorentini a non comprendere l’importanza dell’esposizione, se la poetessa Elise Cabbot di Dublin, New Hampshire – entusiasta della quantità di quadri esposti – chiese: «Ma dove lo trova, Peggy, il tempo di dipingerli tutti?».

Il 2016 di Palazzo Strozzi: un anno di mostre

blank

Il nostro 2016 si apre con l’ultimo periodo di apertura della mostra Bellezza divina tra Van Gogh Chagall e Fontanafino al 24 gennaio, dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani e internazionali. Bellezza divina raccoglie in sette sezioni quasi un secolo di arte sacra moderna, guardando ad essa come genere artistico ma anche come momento d’incontro e, talvolta di conflitto, tra artista e sentimento del sacro. A cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi, l’esposizione nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, l’Arcidiocesi di Firenze e i Musei Vaticani.

Mostra Bellezza Divina

Due, invece, le novità per la primavera. Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim a Palazzo Strozzi dal 19 marzo al 24 luglio 2016, mostra che ricostruirà rapporti e relazioni tra arte europea ed americana, tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, nel segno delle figure di due grandi collezionisti americani: Peggy e Solomon R. Guggenheim. Il percorso espositivo affascinerà il pubblico con oltre cento capolavori spaziando dalle opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna come Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray e dei cosiddetti informali europei tra cui Alberto Burri, Emilio Vedova, Jean Dubuffet, Lucio Fontana, insieme ai grandi dipinti e alle sculture delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni cinquanta e sessanta come Jackson Pollock, Marc Rothko, Wilhelm de Kooning, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Cy Twombly. Curata da Luca Massimo Barbero, la mostra nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York.

opera della mostra Da Kandinsky a Pollock

La seconda anteprima è squisitamente contemporanea. Dal 22 aprile al 19 giugno gli spazi della Strozzina di Palazzo Strozzi ospiteranno una personale dedicata ad uno dei più originali ed attuali artisti cinesi: Liu Xiaodong. Tra pittura, disegno e fotografia, l’artista racconta i luoghi osservati e vissuti durante il periodo di residenza in Toscana, tra l’autunno 2015 e la primavera 2016, attraverso il contatto diretto con il paesaggio, gli abitanti e soprattutto con le comunità cinesi locali. Grazie al suo stile personale ed in bilico tra pittura di storia e cronaca del mondo contemporaneo, la mostra diverrà un’occasione per una riflessione sulla migrazione dei popoli ma anche sul rapporto tra ambiente geografico ed ambiente culturale.

Banner Xiaodong

In autunno, Palazzo Strozzi rilancia la propria missione sul contemporaneo con una grande mostra evento dedicata al celebre maestro internazionale dell’arte contemporanea: Ai Weiwei.

Maestro Ai Weiwei

La mostra si terrà a Palazzo Strozzi dal 22 settembre 2016 al 22 gennaio 2017, testimonierà la forza e la vivacità della riflessione artistica dell’artista, posta in dialogo con la storia e l’architettura rinascimentale del palazzo. Ai Weiwei produrrà inoltre una serie di installazioni per Palazzo Strozzi, utilizzato per la prima volta come uno spazio espositivo unitario, unendo Cortile, Piano Nobile e Strozzina.

Esposizione che vi introduciamo attraverso le parole di Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi:

Da quasi un anno sto lavorando per portare a Palazzo Strozzi la prima grande mostra italiana su Ai Weiwei, uno delle più iconiche ed influenti personalità del nostro tempo. Il lavoro di Ai Weiwei, tra attivismo politico, autobiografia e ricerca formale, ci parla di temi importanti in modo potente e diretto, utilizzando strumenti e linguaggi artistici a cavallo tra Oriente ed Occidente. Ospitare una simile retrospettiva qui a Firenze significa pensare alla città come ad una moderna capitale culturale, non soltanto legata alle vestigia del proprio passato ma finalmente in grado di partecipare in modo attivo all’avanguardia artistica del nostro tempo”.