Ultimi giorni “Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim”

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Restano ancora pochi giorni per visitare a Palazzo Strozzi  Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, un viaggio nell’arte nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

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Visitabile fino a domenica 24 luglio, la mostra ha portato a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, permettendo un eccezionale confronto tra opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna come Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray, Pablo Picasso e dei cosiddetti informali europei come Alberto Burri, Emilio Vedova, Jean Dubuffet, Lucio Fontana, insieme a grandi dipinti e sculture di alcune delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni cinquanta e sessanta come Jackson Pollock, Mark Rothko, Willem de Kooning, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Cy Twombly.

Attraverso dipinti, sculture, incisioni e fotografie provenienti dalle collezioni Guggenheim di New York e Venezia, nonché da alcuni musei e collezioni private, la mostra costituisce una testimonianza straordinaria dell’attività collezionistica di Peggy e Solomon R. Guggenheim nonché un’occasione unica per ammirare i capolavori che hanno definito il concetto di arte moderna, dal Surrealismo all’Action Painting fino all’Informale e alla Pop art.

Tra le opere esposte ci sono la monumentale tela di Kandinsky Curva dominante (1936), che Peggy vendette durante la guerra (una delle “sette tragedie della sua vita di collezionista”); Il bacio (1927) di Max Ernst, manifesto dell’arte surrealista e immagine copertina della mostra alla Strozzina nel 1949; lo Studio per scimpanzé (1957) di Francis Bacon, opera raramente esposta fuori da Venezia e che Peggy Guggenheim teneva appesa nella propria camera da letto; grandi capolavori dell’Espressionismo astratto americano come Risplendente (1958) di Sam Francis e della pittura Color-Field e Post Painterly Abstraction come Miscuglio di grigio (1968-1969) di Frank Stella; la grandiosa opera Preparativi (1968) di Roy Lichtenstein, in cui l’artista pop, attraverso il tipico stile che rimanda al fumetto, propone una denuncia della guerra in Vietnam.

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Una mostra che vi lascerà lo stupore negli occhi!
Per non perdervi queste meraviglie, l’orario della mostra è tutti i giorni inclusi i festivi dalle ore 10.00 alle ore 20.00, ed il giovedì dalle ore 10.00 alle ore 23.00. Se invece volete evitare qualsiasi coda ed entrare direttamente in mostra, al link troverete la procedura per l’acquisto online del biglietto.

Buona mostra a tutti!

“Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim”: il percorso espositivo

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La mostra a Palazzo Strozzi Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim (fino al 24 luglio 2016) mette in scena un inedito confronto tra le collezioni di Solomon e Peggy Guggenheim, zio e nipote, confermandoli quali figure fondamentali della storia dell’arte del XX secolo, in un percorso che si snoda tra i maggiori rappresentanti della cultura del Novecento. Un’occasione unica per ammirare e confrontare capolavori di movimenti che hanno definito il concetto di arte moderna, presentando insieme le vicende della vita di Peggy e di Solomon e dei musei Guggenheim da loro fondati. 

Oggi, vi conduciamo alla scoperta del percorso espositivo che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

 

I Guggenheim e le loro Collezioni

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I due grandi collezionisti Guggenheim sono presentati in questa sala attraverso i loro spazi newyorkesi. A sinistra troviamo una foto dell’interno di Art of This Century, il museo-galleria inaugurato da Peggy nel 1942. Questo spazio innovativo, progettato dall’architetto Frederick Kiesler, divenne fulcro degli scambi tra artisti europei emigrati e la nuova avanguardia americana. A destra abbiamo una foto del Museo Solomon R. Guggenheim, opera di Frank Lloyd Wright, aperto al pubblico nel 1959 e destinato a diventare un’icona cittadina e internazionale. Le opere qui esposte rappresentano le origini delle due collezioni: astratta, priva di riferimenti figurativi quella di Solomon, creata a partire dal 1929 insieme all’artista e consigliera Hilla Rebay; straordinaria collezione delle varie correnti d’avanguardia quella di Peggy, raccolta a partire dagli anni ’30 ed emblematica della sua «imparzialità fra surrealisti e astrattisti».

 

Europa-America. Il Surrealismo e la nascita delle nuove avanguardie

width=Allo scoppio della Seconda guerra mondiale molti surrealisti europei emigrarono negli Stati Uniti dove, grazie anche a Peggy Guggenheim, influenzarono i giovani artisti che dettero vita alle avanguardie americane del secondo dopoguerra. Le opere di questa sezione illustrano la passione di Peggy per il Surrealismo e per il lavoro del grande amico e consigliere Marcel Duchamp. Tra i surrealisti esistono affinità ma non uno stile univoco: Peggy li amò e collezionò nelle loro diverse espressioni. Le opere di Gorky, Baziotes, Gottlieb e Still (alcuni dei quali ebbero le loro personali presso la galleria newyorkese di Peggy) mostrano la contaminazione delle esperienze dell’avanguardia tra i due continenti che porterà all’Espressionismo astratto, fenomeno di punta nel clima di affermazione della pittura non figurativa americana tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50.

 

Jackson Pollock

width=Jackson Pollock, il rappresentante più emblematico dell’Action Painting, grazie soprattutto al sostegno di Peggy Guggenheim, diviene in pochi anni uno dei maggiori artisti americani, quasi un mito, come sancì un articolo su “Life” del 1949.
Pollock, che aveva lavorato come factotum nel museo di Solomon, ottenne nel 1943 da Peggy un contratto che gli permise di dedicarsi pienamente alla carriera artistica. La straordinaria raccolta di opere qui esposte ricostruisce il percorso cronologico dal 1942 al 1951, dagli esordi in cui si avverte l’influenza di Picasso e del Surrealismo (La donna luna, 1942, e Due, 1943-1945), alle opere realizzate con la tecnica del dripping, che consiste nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale. In questa fase matura Pollock si ispirò anche a gesti rituali e coreografici memori dei riti magico-propiziatori praticati dai Nativi americani (Foresta incantata, 1947, Senza titolo [Argento verde], 1949 circa, Numero 18, 1950).
Questi lavori si presentano come un intreccio vitale di linee e macchie colorate che supera i confini della tela e con un’apparente assenza di organizzazione razionale. La sua opera rivoluzionerà l’arte del secondo dopoguerra, diffondendosi celermente anche grazie a Peggy, che continuò a promuoverlo con mostre in Europa (1948 e 1950) e donazioni a musei internazionali, alcune eccezionalmente qui riunite.

 

L’Espressionismo astratto

width=Willem de Kooning è una delle figure più rappresentative dell’Espressionismo astratto. Di origini olandesi, personalità inquieta e ribelle, precorse i principali linguaggi della pittura moderna scoprendo la forza del segno e creò composizioni che si configurano quali somma di colore, materia e gesto. Il movimento si coagulò attorno alla protesta di diciotto artisti che – esclusi da una mostra sulla pittura contemporanea americana del Metropolitan Museum of Art – farà guadagnare al gruppo l’appellativo di “Irascibili”. Accanto alle loro opere sono esposte quelle della cosiddetta “Astrazione postpittorica” di Sam Francis, quelle di Joan Mitchell e di Hans Hofmann, che sviluppò un’autonoma tendenza astratta e che influenzerà le future generazioni grazie alla sua dedizione per l’insegnamento.

 

L’Europa del dopoguerra

width=Se nel corso degli anni ’40 negli Stati Uniti si procede verso la maturazione di un nuova tendenza astratta, in Europa due grandi maestri sperimentano e precorrono le nuove forme di astrazione: l’italiano Lucio Fontana già negli anni ’30, e il francese Jean Dubuffet negli anni ’40. Nell’immediato dopoguerra l’Europa è un laboratorio ricchissimo: emblematico di questa vitalità è il movimento denominato Informel o Art autre, dove la materia acquista un nuovo significato, come avviene con le plastiche di Burri, i buchi di Fontana, la gestualità di autori stimati da Peggy dopo il suo arrivo a Venezia, come Vedova, Consagra, Mirko, e la ricerca di Dubuffet. Le opere di quest’ultimo qui esposte provengono dalla collezione dei coniugi Scuhlhof, che nel 2012 donarono una parte importante della propria collezione alla Fondazione Solomon R. Guggenheim.

 

Palazzo Venier dei Leoni: Peggy e Venezia

width=Le immagini di una delle case newyorkesi di Peggy Guggenheim e della sua residenza veneziana testimoniano quanto Peggy amasse circondarsi di opere e oggetti degli artisti che collezionava o di cui era amica: le scatole di Cornell, le bottiglie del primo marito Vail (che insieme alla valigia di Duchamp inaugurarono la stagione espositiva della sua galleria Art of This Century), i rayogrammi di Man Ray, la tela di Bacon che scelse per la camera da letto a Venezia e le opere di Tancredi. Quest’ultimo in particolare venne molto sostenuto da Peggy, testimoniando come la sua attività di mecenate e di collezionista proseguì anche una volta arrivata a Venezia.

 

La grande pittura americana

width=Alla rivoluzionaria stagione dell’Espressionismo astratto (a cui appartengono gli esordi di Motherwell) segue una seconda generazione che matura una successiva fase artistica non più fondata sull’enfasi esistenzialista del gesto ma sull’interrogare la pittura come farsi, con il conseguente raffreddamento della gestualità e matericità dell’opera. Questa fase è caratterizzata da due direzioni, note come Color Field e Post-Painterly Abstraction. Emblematici di queste modalità sono il colore piatto e bidimensionale, fatto anche colare, come in Morris Luis, sulla tela, e il raffreddamento geometrico di Frank Stella e Kenneth Noland. Completa la ricchezza di questo panorama maturo dell’arte americana a cavallo tra anni ’50 e ’60 la costellazione dei mobile di Alexander Calder, uno dei più grandi maestri dell’astrazione che ha modificato l’idea di scultura, organizzando forze contrastanti che mutano le loro relazioni nello spazio e la forma dell’opera stessa. Calder, artista stimato e collezionato da Peggy Guggenheim, venne celebrato con un’importante retrospettiva nei primi anni ’60 al Museo Solomon R. Guggenheim.

 

Marc Rothko

width=Peggy Guggenheim riconobbe da subito le potenzialità di Rothko, tanto da dedicargli una mostra nella sua galleria Art of This Century già nel 1945. Numerose sono le sue opere conservate al Museo Solomon R. Guggenheim, segno evidente di una attenzione all’artista anche da parte dello zio. Rothko sviluppò già agli inizi degli anni ’50 un linguaggio astratto del tutto personale. Il fascino della sua pittura consiste proprio nel misterioso processo che gli permise di semplificare la complessa visione che i suoi quadri esprimono. Il tempo si annulla nei suoi quadri e il loro lento procedere verso l’animo dello spettatore è un’infinita testimonianza della tragedia di nascere, vivere e morire. Questa forza emotiva, intensissima, che lo spettatore prova di fronte all’opera, crea una particolare esperienza contemplativa, portando a un modo soggettivo di vivere il rapporto con l’opera. Come si può osservare, la ricerca di Rothko arrivò fino alla monocromia assoluta dei neri e dei grigi, legata fatalmente alla fine della sua ricerca.

 

Gli anni sessanta. L’inizio di una nuova era

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Uno dei grandi capolavori di Dubuffet, L’istante propizio qui esposto, apre gli anni ’60. Tra le varie retrospettive che il Museo Solomon R. Guggenheim riserva a Dubuffet, quella del 1966 fu dedicata all’Hourloupe, neologismo con cui l’artista battezza le opere a base di dense linee nere e macchie di colore che influenzeranno la Street Art. L’arte europea e americana in quegli anni procedeva in una sintesi minimale e astratta rappresentata da Twombly (che usa la tecnica calligrafica dei graffiti su sfondi solidi di colore grigio, marrone o bianco, a metà tra pittura e incisione), dai tagli puri di Fontana, dall’eleganza formale ed esatta di Kelly. Questo percorso che procede dalle radici delle avanguardie di inizio secolo, negli anni ’60 viene interrotto dall’esplosione di una nuova corrente artistica, la Pop Art: del fatidico 1968 è l’opera di Lichtenstein, Preparativi, che apre la nuova era dell’arte contemporanea. E da allora nulla sarà più lo stesso.

Il debutto di Peggy Guggenheim in Italia

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di Ludovica Sebregondi

Alle 17 di giovedì 24 febbraio 1949 la mostra La collezione Guggenheim inaugurò a Firenze nei sotterranei di Palazzo Strozzi la Strozzina come nuovo spazio espositivo fiorentino dedicato principalmente all’arte contemporanea. Direzione, organizzazione e segreteria della Strozzina furono assunte dallo Studio Italiano di Storia dell’Arte, fondato e diretto dal critico Carlo Ludovico Ragghianti.
Peggy Guggenheim era tornata in Europa dagli Stati Uniti nel 1947 e aveva deciso di stabilirsi a Venezia, e proprio alla Biennale del 1948, la prima dopo la fine della guerra, aveva presentato la propria collezione.

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Peggy Guggenheim all’inaugurazione dell’esposizione della sua collezione presso il padiglione greco, alla XXIV Biennale di Venezia, mentre accoglie il Presidente Luigi Einaudi, 1948. © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

La mostra fiorentina dell’anno successivo fu possibile anche grazie alla disponibilità di Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale della Biennale, che aveva agevolato la realizzazione dell’esposizione. A Firenze, rispetto alla mostra dell’anno precedente, fu aggiunto circa un terzo di opere inedite per il pubblico italiano. La copertina del piccolo catalogo reca il 19 febbraio come data di inaugurazione e il 10 marzo quale giorno di chiusura. Non siamo in grado di confermare quest’ultima, mentre l’apertura fu rinviata al 24 febbraio.

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Copertina del catalogo della mostra “La collezione Guggenheim” che inaugura gli spazi espositivi della Strozzina, in Palazzo Strozzi a Firenze

Ricorda Peggy Guggenheim nell’autobiografia: «Quando arrivai a Firenze fui colpita […] da alcuni terribili paraventi che assomigliavano a tende da doccia e che erano stati sistemati per creare più spazio». Peggy ricorda Ragghianti come un «critico molto noto» che – dopo l’annullamento della mostra al Museo di Torino poiché le autorità avevano deciso «di non esporre quadri così moderni» – le aveva proposto di presentare la collezione «a Firenze nella Strozzina, la cantina del Palazzo Strozzi, che lui stava per trasformare in una galleria d’arte moderna». Se allestimento e spazi la lasciarono perplessa, Peggy fu invece molto soddisfatta del «catalogo eccellente, che da allora in poi rimase la base di tutti i cataloghi in italiano».

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Retro del catalogo della mostra, con un disegno di Max Ernst tratto dal catalogo della collezione di Peggy Guggenheim pubblicato, in inglese, nel 1942

La mostra della Collezione Guggenheim provocò a Firenze accese discussioni. La critica si divise: già la domenica precedente all’inaugurazione Pietro Annigoni sulle pagine del «Mattino dell’Italia Centrale» nella recensione dal famoso titolo Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, si scagliò violentemente contro la «vecchia e annoiata miliardaria americana», ma soprattutto contro gli organizzatori della mostra, «certi antiquari o storici d’arte o studiosi d’arte», colpevoli di aver portato «nel cuore di Firenze […] una pagliacciata». Secondo Annigoni «mai come ora Firenze è apparsa cafona e provinciale», per essersi piegata a ospitare simili opere.

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Pietro Annigoni, Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, “Il Mattino dell’Italia Centrale”, 20 febbraio 1949.

Non fu il solo, un pesante attacco fu sferrato da Piero Bargellini su un altro articolo uscito sul «Mattino dell’Italia Centrale». Il pezzo, intitolato con sarcastico gioco di parole Le commissioni della Signora Peggy, la presenta come un’ereditiera che invece «di fare incetta di canini di varie razze o d’idoletti cinesi», «ha messo insieme, con raffinato e perverso gusto, pezzi rari d’artisti cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivisti, e chi più n’ha, più ne metta». 
Non erano però solo i fiorentini a non comprendere l’importanza dell’esposizione, se la poetessa Elise Cabbot di Dublin, New Hampshire – entusiasta della quantità di quadri esposti – chiese: «Ma dove lo trova, Peggy, il tempo di dipingerli tutti?».

Luca Massimo Barbero: il punto di vista del curatore

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1) Perché questa mostra è un evento irripetibile e unico?

Nello svolgersi e maturare della storia dell’arte relativa a quello che chiamiamo “secolo breve” – il XX secolo – alcune opere si presentano come germinali, centrali alla focalizzazione, forse alla presentazione, di quel momento così ricco, complesso, eterogeneo e originale. Molte di queste opere, che potremmo definire “cardine” della nascita delle avanguardie del Novecento, sono note al grande pubblico. Raramente si trovano però esposte una accanto all’altra in un “racconto possibile” di quella che, in questa occasione fiorentina, è il racconto delle collezioni Guggenheim e delle avanguardie europee e americane, affiancate a ritmo serrato. Questa è soprattutto un’occasione preziosa per poter vedere il grande sviluppo e la maturazione dell’arte del secondo dopoguerra che solo recentemente si sta celebrando internazionalmente e che da quelle avanguardie d’inizio secolo ha avuto origine. La possibilità di poter scoprire contemporaneamente la straordinaria Bôite-en-valise di Marcel Duchamp dedicata a Peggy Guggenheim insieme a Curva dominante di Vasily Kandinsky, capolavoro appartenente al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, Paul Klee, Giorgio de Chirico ma anche Lucio Fontana, Jean Dubuffet insieme a Robert Motherwell, Mark Rothko ed ancora Cy Twombly, fornisce, sala per sala, uno spaccato unico dell’arte dei due continenti in una fitta serie di assonanze, contrasti, stimoli e approfondimenti. Riunire insieme un così alto numero di opere cardine, emblematiche dello sviluppo artistico di quegli anni, è sicuramente raro ed è la prima volta che si costruisce un confronto continuo tra le avanguardie europee e quelle americane in un crescendo cronologico di movimenti di ricerca, che si rivelerà sorprendente e vitale per il pubblico durante tutto lo sviluppo della mostra.

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Il curatore Luca Massimo Barbero e l’opera di Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1965, New York, Fondazione Solomon R. Guggenheim. Donazione, Fondazione Lucio Fontana.

 

2) Qual è l’idea nuova da cui muove la rassegna rispetto alle collezioni Guggenheim?

La mostra è costruita sulla nuova idea di esporre, sala dopo sala, in uno sviluppo appunto serrato e scientificamente filologico, un racconto che è possibile “costruire” solamente con la storia e le vicende legate alle singole opere delle collezioni Guggenheim. Così viene presentata l’unicità delle vicende della vita di collezionista e mecenate di Peggy, insieme alla storia, ancora poco nota in Italia, di Solomon e dei musei Guggenheim stessi. Viene presentato poi in modo inedito il ruolo della consulente e prima direttrice del Guggenheim a New York, la baronessa Hilla Rebay, artista e critica centrale per la ricerca, promozione e salvaguardia delle avanguardie europee legate all’astrazione, razionalismo, neoplasticismo e modernismo. Unire queste vicende in un’unica esposizione ha significato poter dare al pubblico una nuova possibile idea e interpretazione di collezioni in sviluppo, in crescita e sempre in evoluzione.

 

3) Qual è il fil rouge che accompagna il percorso espositivo?

Oltre al criterio scientifico appunto, si è costruito un percorso che suggerisce più letture, approfondimenti, dalla storia dell’arte, all’attenzione alle biografie degli artisti, sino al loro rapporto con i mecenati e collezionisti Guggenheim, i direttori del museo di New York, costruendo così una sorta di stratigrafia dove il visitatore, di volta in volta, e a seconda delle sue curiosità, può “leggere” le opere sempre in modo diverso. Sono questi racconti quasi intimi dei lavori in mostra che costituiscono il filo, la narrazione dell’intero percorso. Le opere “raccontano la loro storia” al pubblico e sono sempre storie appassionanti. Penso al rapporto di Peggy Guggenheim con Giacometti, la cui scultura apre l’esposizione, e l’amicizia che la legava a Alexander Calder, e il suo amore per scultori italiani come Pietro Consagra e Mirko che il pubblico riscoprirà insieme ai grandi nomi come Rothko, Hans Hofmann, Frank Stella o Alberto Burri. Di contro l’importanza di Solomon Guggenheim e la Rebay nei confronti di Kandinsky, di cui collezionano capolavori, costruendo una sezione del museo intorno alla sua ricerca. E ancora l’amore per il razionalismo e le avanguardie europee da parte di Rebay, con opere rare di Gabo, Van Doesburg (la cui moglie Nellie sarà amica e suggerirà a Peggy molte opere per la collezione). Il museo newyorchese poi prosegue negli anni con la missione di proporre l’arte contemporanea europea: emblematica quindi la presenza di Dubuffet, con alcuni suoi lavori fondamentali, che sottolineeranno la fortuna critica dell’autore francese molto amato dal pubblico americano. Dunque sono le “biografie”, le storie delle opere con il loro vissuto, i loro trascorsi, spesso nascosti ai più, il filo conduttore di questo racconto per immagini.

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Il curatore Luca Massimo Barbero durante l’allestimento della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim

 

4) Peggy e Solomon Guggenheim sono stati attori decisivi di una stagione entusiasmante dell’arte del Novecento. Perché i loro nomi sono ancora tanto iconici, così presenti nel nostro immaginario?

La mostra si muove appunto presentando questi protagonisti. Collezionisti, fondatori di musei ma in primis grandi appassionati dell’arte del XX secolo intesa come il mezzo per poter costruire una nuova idea di conoscenza, di cultura visiva. Entrambi concepiscono la loro avventura come un percorso destinato al pubblico, dedicato al far conoscere meglio le avanguardie, le radici fondamentali dell’arte allora contemporanea. Solomon R. Guggenheim, con la sua straordinaria raccolta, arricchitasi nei decenni, costruisce la base di un vero compendio delle avanguardie dell’astrazione partendo principalmente dai grandi protagonisti europei. Peggy Guggenheim di contro costruisce una sorta di vita a contatto diretto con la sorgente delle avanguardie che le sono contemporanee, tanto da esserne parte e, in alcuni casi, motivarle, renderle possibili, crescerle e promuoverle. Un altro punto che caratterizza la focalizzazione dell’immaginario collettivo è sicuramente la forza e l’impatto che l’edificio del Guggenheim di New York ha avuto e continua ad avere. Creato per Solomon da Frank Loyd Wright il museo si è subito connotato per la sua originalità e unicità divenendo attraverso gli anni un punto centrale del paesaggio newyorchese e immediatamente internazionale, sintomatico di avanguardia, modernità, curiosità. Come controcanto Peggy rappresenta per infinite generazioni, sino alle più recenti, l’ideale di mecenate contemporaneo giunta a una insolita perfezione di quello che identifichiamo il rapporto “arte e vita”, riuscendo in modo unico a percorrere, vivere e raccogliere le più entusiasmanti esperienze artistiche del suo tempo. La sua casa veneziana è anch’essa un punto di riferimento imprescindibile nel panorama che i visitatori della Serenissima percorrono. I Guggenheim hanno creato un punto eccellente di incontro tra l’approfondimento, la conservazione e valorizzazione delle opere e l’immagine tutt’oggi attiva delle loro passioni, della volontà di poter esporre al pubblico una possibile idea delle avanguardie e dell’arte contemporanea di cui oggi possiamo ritenerli rappresentativi.

 

5) Venezia, Firenze, New York. E non solo. Che viaggio artistico suggerisce questa mostra?

La mostra è costruita come un viaggio, una sorta di andata e ritorno intorno alle opere, alle biografie e alle storie delle collezioni. Il pubblico viene accolto dai maestri che operano tra le due guerre, da De Chirico che appunto dipinge nella “sua” Ferrara, a Kandinsky e Klee che raccontano delle avanguardie russe tedesche e poi francesi sino a Gabo che già nel 1946 si trasferì negli Stati Uniti. Così di questo viaggiare delle opere d’arte e dei mecenati Guggenheim è emblematica appunto la Bôite-en-valise di Duchamp dove l’artista decide di “riunire” tutte le opere eseguite sino ad allora (siamo agli inizi della seconda guerra mondiale) per rendere trasportabile la loro storia. Peggy lasciando l’Europa, più che simbolicamente, con la sua collezione, riunendo e rendendo possibile la fuga dall’orrore del conflitto di molti artisti e intellettuali europei, “traghetta” le avanguardie del Vecchio continente nel Nuovo formando nuove generazioni. Ritornata in Europa immediatamente dopo la fine della guerra con la sua collezione crea terreno nuovo e vitale per le generazioni di artisti. È così che nel 1949, in occasione della mostra organizzata alla Strozzina, Firenze diviene punto centrale dell’esposizione di questa collezione che letteralmente presenta al pubblico un “mondo nuovo”, rivoluzionando i costumi, gli stili e le scuole che sino ad allora costituivano il panorama italiano, Ancora una volta un viaggio nella storia dell’arte del XX secolo.

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Il curatore Luca Massimo Barbero e l’opera di Alexander Calder, Gong rossi gialli e blu (Triplice gong), 1951, Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale di Arte Moderna, Cà Pesaro.

Luca Massimo Barbero, curatore della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim