Muri, il laboratorio con l’artista Virginia Zanetti per A più voci

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Be involved. Speak your mind clearly. Let your voice be heard
Sii coinvolto. Esprimi le tue opinioni. Fai sentire la tua voce
Ai Weiwei

A più voci è il programma che dal 2011 la Fondazione Palazzo Strozzi dedica alle persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura. Per ogni mostra vengono realizzati cicli di tre incontri,  progettati e condotti insieme da educatori museali e geriatrici.
A più voci, giunto alla sua dodicesima edizione, offre un’esperienza piacevole, stimolante ed emozionante da condividere insieme, per cercare nuovi modi di comunicare grazie alle emozioni suscitate dalle opere d’arte.

Un incontro di laboratorio making art completa ogni ciclo di attività. Fin dall’inizio il progetto è stato concepito per stimolare la comunicazione anche attraverso linguaggi differenti da quelli verbali. Sentire, toccare, manipolare, comporre o costruire sono opportunità di creazione e narrazione in dialogo con il proprio caregiver, con il resto del gruppo, con gli artisti esposti in mostra. Già il gesto di selezionare oggetti e materiali si è dimostrata un’occasione di espressione di sé importante all’interno del laboratorio.

width=Dalla primavera del 2016 si è aggiunta una nuova voce al progetto, quella dell’artista Virginia Zanetti, alla quale abbiamo chiesto di farci entrare nel suo linguaggio artistico. Le sue opere spesso prendono la forma di performance, traducendosi in sculture collettive, installazioni pubbliche o fotografie e per realizzarle Virginia richiede la collaborazione delle persone, che entrano così a far parte del processo artistico.

In occasione della mostra Ai Weiwei. Libero il punto di partenza è stato Souvenir da Shangai, un grande muro costruito con le macerie dello studio dell’artista distrutto a Shanghai dalle autorità cinesi. Un’installazione che parla di censura e del suo opposto, la libertà di parola. Da qui il titolo del laboratorio: Muri.

width=La riflessione si è indirizzata sulle parole che quotidianamente ognuno decide di non dire perché obbligato e frenato da convenzioni sociali, dalla paura o da limiti autoimposti.
Per il laboratorio Muri Virginia ha lavorato su questo tema chiedendo a una persona per volta, da sola davanti a lei:
Qual è un pensiero, una parola che non vuoi/non puoi dire? Io li trascriverò per te.

Ponendosi in una posizione di ascolto e definendosi come “un’esecutrice tecnica”, Virginia ha poi riletto ogni risposta singolarmente a ciascun partecipante, lasciandogli la scelta di cancellarla oppure salvarla e renderla pubblica (in forma anonima). Significativamente, tutti hanno scelto di mostrarla, esponendo pensieri e parole che rimangono quotidianamente nascosti, sepolti dentro, stavolta finalmente liberati.

width=Mentre i partecipanti, uno alla volta, hanno attraversato la porta entrando nella stanza con Virginia, gli altri, in gruppo, hanno continuato a concentrarsi sulla dinamica della coppia. I selfie di Ai Weiwei sono stati l’ispirazione per creare due scatti. Il primo per imitare le espressioni e le pose dell’artista; il secondo pensato come un autoritratto di coppia, dopo una reciproca più approfondita conoscenza attraverso un’attenta osservazione di due minuti ed un’esplorazione del volto dell’altro attraverso il tatto.

width=Per le persone con Alzheimer stare da soli con un’altra persona che non sia il caregiver è un’esperienza forte che capita raramente. Necessariamente c’è sempre qualcuno che dice cosa fare e come farlo. Lo stesso vale spesso per il caregiver. Tra i due spesso c’è una condivisione anche dei momenti più intimi. Per questo il tempo da spendere soli, di fronte a una persona dedicata all’ascolto, senza alcuna forma di giudizio, voleva essere l’offerta di uno spazio di libertà. Un tempo sospeso dove ogni parola pronunciata è stata colta come un frammento, un elemento prezioso, e riconosciuta come un dono agli altri; il frutto di uno sforzo che ognuno ha fatto per conquistarsi uno spazio di libertà.

Ogni frase viene alla fine affissa insieme a tutte le altre su una parete, creando un nuovo muro dove le parole censurate diventano visibili. Trascritte e poi rilette da Virginia, e quindi filtrate dall’operazione artistica, assumono una dimensione collettiva e diventano un’opera d’arte: specchio di pensieri che sono contemporaneamente di uno e di tutti.

 

Ai Weiwei. Libero. Una sfida per Palazzo Strozzi

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Fin da subito la mostra si è profilata come una sfida, sfida culturale e sfida di carattere tecnico.
Si trattava di portare installazioni di arte contemporanea all’interno di una struttura infinitamente più fragile e complessa delle grandi architetture per le quali l’arte contemporanea è pensata. La scelta curatoriale è stata perciò molto calibrata, pensata specificamente per le esigenze degli spazi di Palazzo Strozzi, per fornire al visitatore un percorso espositivo comprendente una rassegna il più possibile esaustiva della produzione di Ai Weiwei.

Sono presenti anche opere nuove, concepite apposta per Palazzo Strozzi. In particolare i quattro ritratti in LEGO di personaggi storici continuano, legandola saldamente alla storia di Firenze, la famosa galleria dedicata ai dissidenti politici di tutto il mondo attraverso le effigi di Dante, l’esiliato per eccellenza della nostra storia letteraria, di Galileo, personaggio che incarna gli ideali di verità e l’oppressione contro il progresso della scienza, di Savonarola, il predicatore simbolo della morale che si oppone al potere (personaggio controverso che, anche per questo motivo, ha interessato particolarmente l’artista) e, per legarsi ulteriormente alla nostra sede espositiva, di Filippo Strozzi, fondatore del palazzo e strenuo oppositore della famiglia Medici.
I quattro nuovi ritratti formano una sezione dedicata al Rinascimento, assieme a Divina Proportio, il poliedro che ricorda i disegni di Leonardo per il trattato di Luca Pacioli, ma che ha avuto come prima fonte di ispirazione un gioco usato dai gatti che popolano lo studio di Ai Weiwei a Pechino.

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Sopra: la sala Renaissance in mostra, dedicata alla rilettura del Rinascimento.
Sotto, da sinistra a destra: Dante Alighieri in LEGO, Filippo Strozzi in LEGO, Girolamo Savonarola in LEGO, Galileo Galilei in LEGO, 2016, Mattoncini LEGO. Courtesy of Ai Weiwei Studio.

Sono stati pochi, fino a ora, i contatti tra l’opera di Ai Weiwei e il Rinascimento italiano, ma mi ha colpito molto, durante una visita fatta insieme agli Uffizi, vedere l’artista, sempre impenetrabile e controllato, quasi commosso di fronte alla Nascita di Venere e alla Primavera. I due capolavori di Botticelli erano infatti illustrati in uno dei pochi libri con immagini che da bambino egli aveva a disposizione negli anni dell’esilio nel deserto del Gobi, quando il padre, il poeta Ai Qing, era costretto dal regime di Mao alla rieducazione attraverso i lavori forzati.
Proprio agli Uffizi l’artista ha deciso di donare un autoritratto di LEGO – che si aggiunge alla più grande collezione al mondo di autoritratti – e nella Galleria, durante la mostra, viene esposta una iconica Surveillance Camera in marmo, messa in relazione con il Corridoio Vasariano, simbolo del potere e del controllo del principe sulla città.
Questa non è l’unica collaborazione messa in atto: il Mercato Centrale di Firenze ospita un’installazione di maxi fotografie della serie Study of Perspective mentre, in novembre a Torino, presso CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ha aperto la mostra documentaria e fotografica Around Ai Weiwei. Photographs 1983-2016 (fino al 12 febbraio 2017).

width=Sopra: Arturo Galansino e Ai Weiwei agli Uffizi nel dicembre 2015, Self-Portrait (Autoritratto) in LEGO, 2014, Courtesy of Ai Weiwei Studio e Surveillance Camera, 2010, Milano, collezione privata, qui fotografata agli Uffizi.
Sotto: l’ambientazione legata alla serie Study of Perspective al Mercato Centrale di Firenze, la locandina della mostra Around Ai Weiwei a CAMERA.

Un altro segno importante è Reframe, l’opera site-specific che si è impadronita di due lati della facciata di Palazzo Strozzi: una fila di ventidue grandi gommoni di salvataggio arancioni che si innestano come una decorazione – una nuova cornice, appunto – composta di corpi estranei installati sulla pura architettura rinascimentale. L’opera si inserisce nella nuova linea produttiva di Ai Weiwei, legata ai temi delle migrazioni e dei migranti. Reframe vuole essere, quindi, un monito, una sorta di grido d’allarme, ma anche di speranza verso una risoluzione del problema.

width=L’installazione Reframe per la facciata di Palazzo Strozzi.

Ospitare una simile retrospettiva oggi a Firenze significa pensare alla nostra città come a una moderna capitale culturale, legata non solo alle vestigia del proprio passato, ma finalmente in grado di partecipare in modo attivo al dibattito artistico e culturale del presente.

Arturo Galansino
Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra

L’accessibilità a Palazzo Strozzi: un luogo aperto a tutti

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Mentre è in corso di preparazione il convegno L’arte accessibile, Musei e progetti per persone con disabilità (Palazzo Strozzi, 10-11 novembre 2016) riusciamo a fare qualche domanda ad Irene Balzani del Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi. Irene si occupa di varie attività tra le quali l’ideazione e organizzazione dei progetti di accessibilità, dedicati alle persone con disabilità, ai ragazzi con autismo, alle persone affette da Alzheimer, a chi se ne prende cura, agli educatori e agli operatori professionali.
Un programma intenso di incontri, visite e laboratori che rendono Palazzo Strozzi e le sue mostre un luogo accogliente e aperto a tutti.

 

Come hai iniziato a lavorare alla Fondazione Palazzo Strozzi?
Ho iniziato con una collaborazione al progetto Open Studios del CCC Strozzina quando ancora ero una studentessa dell’Università di Firenze. Accompagnare i visitatori a scoprire gli studi degli artisti in Toscana è stato il mio primo contatto con la Fondazione Palazzo Strozzi. Poi nel 2010, dopo aver passato una selezione, sono entrata a far parte del Dipartimento Educazione della Fondazione, inizialmente occupandomi dei progetti dedicati alle famiglie.

Puoi raccontarci cosa fa un Dipartimento Educazione?
Il lavoro del Dipartimento Educazione è molto vario: ci occupiamo di tutto quello che riguarda il rapporto tra le mostre e i visitatori. Con i miei colleghi Alessio e Martino progettiamo percorsi per le scuole, le famiglie, gli adulti e tutto il campo dell’accessibilità. “Accessibilità” è una parola fondamentale perché credo che il nostro lavoro consista principalmente nel rendere “accessibile” l’arte a chiunque voglia provare ad avvicinarvisi, creando progetti che aiutino a riflettere ma anche a divertirsi, e che inoltre abbiano una continuità nel tempo. All’interno del Dipartimento ogni giornata lavorativa è fatta da riunioni e momenti di scambio con gli altri colleghi della Fondazione, che si alternano alla gestione e alla conduzione di attività in mostra: oltre al coordinamento, una parte dei progetti viene infatti seguita direttamente da noi perché il contatto con le persone è fondamentale per non perdere di vista il senso del nostro lavoro.

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Quale progetto ti ha appassionato di più?
Tra i progetti che ho seguito un posto speciale lo occupa A più voci, dedicato alle persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura.
Nato nel 2011, il progetto si è sviluppato grazie alla collaborazione con educatori geriatrici specializzati e il confronto con loro mi ha arricchito moltissimo da un punto di vista personale e professionale, insegnandomi a valorizzare le potenzialità di ognuno. Partendo da questa esperienza sono nati progetti simili in tutta la Toscana e anche internamente ha dato l’avvio ad altri due programmi: Connessioni, dedicato alle persone con disabilità (fisica, psichica e cognitiva) e Sfumature, indirizzato a ragazzi con il disturbo dello spettro autistico.

Quale mostra di Palazzo Strozzi ti ha più ispirata nell’ideazione di una nuova attività?
Ogni mostra offre nuove ispirazioni, ogni opera dà infinite possibilità. Sicuramente gli artisti presenti nella mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim hanno offerto spunti ricchissimi da questo punto di vista: l’idea che l’arte possa nascere dalla traccia di un gesto non del tutto controllato è stata d’ispirazione per trovare nuove forme di comunicazione che andassero oltre quella verbale.
Anche la mostra Ai Weiwei. Libero ha fornito nuove prospettive e insieme ai ragazzi del centro Casadasé – Autismo Firenze abbiamo lavorato alla progettazione di un percorso indirizzato ai loro coetanei. L’uso di un linguaggio contemporaneo e di mezzi a noi familiari ha reso questa idea più facilmente realizzabile.

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Raccontaci qualcosa che la maggior parte delle persone ignora del tuo lavoro.
Credo che talvolta per le persone sia difficile rendersi conto quanto impegno ci sia dietro a ogni singola attività. Progettazione, studio, ricerca dei materiali, test di prova, rimodulazione, valutazione: è un lavoro complesso! Una professione che spesso non ha ancora un nome: ci chiamano mediatori, educatori, operatori per arrivare fino a nomi più fantasiosi… anche tra gli addetti ai lavori ancora non abbiamo trovato una definizione univoca.

In cosa è diversa la Fondazione Palazzo Strozzi sul tema dell’accessibilità rispetto ad altre realtà museali o espositive?
Palazzo Strozzi è uno dei centri culturali che investe maggiormente sui progetti dedicati a questo tema. Ogni settimana c’è un incontro di A più voci, due attività di Connessioni e una volta al mese una di SfumatureÈ richiesta una grande attenzione e un investimento importante, non conosco altre organizzazioni a livello regionale ma anche nazionale che facciano altrettanto.

Che consiglio daresti a chi come te vuole lavorare nell’ambito dell’accessibilità nei musei?
Prima di tutto crederci, come in ogni cosa che si fa. Consiglierei inoltre di formarsi il più possibile andando nei musei e partecipando alle attività possibilmente anche all’estero (nel mio caso sono state molto importanti le esperienze formative fatte presso l’Ecole du Louvre a Parigi e alla School of the Art Institute of Chicago). Oltre a questo è fondamentale stare il più possibile a contatto con le persone e con l’arte. Si impara moltissimo se ascoltiamo; è sorprendente quante cose possa suscitare un’opera d’arte se ci concediamo il tempo di osservarla, sentirla, viverla.

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Il 10 e 11 novembre si terrà a Palazzo Strozzi il convegno L’arte accessibile, Musei e progetti per persone con disabilità, cosa ti aspetti da questo incontro?
Ogni convegno che abbiamo organizzato (nel 2012 e 2014 sui progetti per persone con Alzheimer, nel 2015 dedicato al rapporto con la scuola) sono stati l’occasione per conoscere altre esperienze e scambiare idee, prospettive, sfide. Credo che anche il convegno di quest’anno possa essere una preziosa opportunità per condividere e costruire reti, oltre a servire come ispirazione per gli altri musei del territorio.

Quali sono le tue ambizioni per il futuro?
Domanda difficile… Direi continuare a lavorare divertendomi, e contribuire a creare una cultura sempre più aperta.

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Libero. La nascita di una mostra

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L’idea di una mostra di Ai Weiwei a Palazzo Strozzi nasce da un mio contatto con l’artista, avvenuto verso la fine del 2014, prima di assumere il ruolo di Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi. Volendo portare a Firenze la grande arte contemporanea, ritenevo di estremo interesse invitare colui che è stato definito il più influente artista dei nostri tempi a “invadere” il Palazzo in tutti i suoi spazi, dalla facciata al cortile, dalla Strozzina fino al Piano Nobile. Oltre a realizzare la prima grande mostra italiana di Ai Weiwei, l’intenzione era di far uscire il contemporaneo dagli spazi sotterranei della Strozzina nella quale, fino ad ora, è stato “ingabbiato”, ovvero conferire all’arte del presente, anche a Firenze, una dignità pari all’arte del passato.

width=Immagini dell’allestimento della mostra Ai Weiwei. Libero a Palazzo Strozzi

Una scelta simile trascende le ragioni puramente storico-artistiche perché Ai Weiwei non è un artista come gli altri. Avendo denunciato la corruzione di Stato e il mancato rispetto dei diritti umani in Cina, è stato arrestato, picchiato, segregato e privato delle libertà fondamentali. La sua attività di dissidente è andata di pari passo alla produzione artistica, continuando a produrre opere che ne esplicitano le convinzioni politiche lasciando spazio alla creatività e alle sperimentazioni. Ai Weiwei è diventato un simbolo della lotta per i diritti umani, come attesta il titolo di “Ambassador of Conscience” conferitogli da Amnesty International, e la sua voce echeggia fuori dal mondo dell’arte, si rivolge all’umanità intera e ci parla di temi legati all’umanità stessa.

Al tempo del mio invito, accolto subito con entusiasmo, Ai Weiwei non poteva ancora lasciare la Cina e pensavo, quindi, che si sarebbe trattato di un’altra mostra con l’artista coinvolto soltanto da lontano. Organizzai così un paio di visite al suo studio di Pechino per rompere il ghiaccio, per descrivergli le ragioni della mostra e per presentargli Palazzo Strozzi. Tante volte avevo visto immagini di quel luogo, il mitico studio nel distretto Caochangdi a nord est di Pechino, al punto che mi sembrava di esserci già stato: all’esterno il cancello di ferro, la bicicletta con i fiori freschi nel cestino, in strada videocamere di sorveglianza piazzate ovunque e auto evidentemente in incognito; all’interno l’edificio dalle forme semplici in mattoncini grigi con un gran viavai di persone: curatori, giornalisti, collezionisti tutti ad incontrare il grande recluso, tra decine di gatti che partecipavano a ogni discussione e progetto. In quel contesto così speciale non era facile comunicare all’artista il senso profondo di Palazzo Strozzi e della novità dell’operazione alla quale stavamo per dar vita. La restituzione del passaporto nell’estate del 2015 ha cambiato le cose, egli avrebbe potuto seguire sin dall’inizio i lavori della mostra e da allora i nostri incontri – sempre documentati dagli scatti del suo seguitissimo account Instagram – si sarebbero svolti nella più vicina Berlino, dove egli possiede uno straordinario studio: un enorme labirinto sotterraneo ricavato da una fabbrica di birra dismessa.

width=Arturo Galansino e Ai Weiwei nel suo studio a Berlino

Proprio la riacquistata libertà di viaggiare rappresenta uno spartiacque, un nuovo inizio nella carriera di Ai Weiwei e coincide con un allargamento dell’orizzonte di ricerca dell’artista verso temi che vanno oltre i confini cinesi. Da questa premessa scaturisce la scelta del titolo Libero, ma l’aggettivo vuole anche sottolineare la totale libertà con la quale l’artista ha potuto confrontarsi con gli spazi di Palazzo Strozzi stravolgendolo e utilizzandolo, per la prima volta, come un unicum.

width=Ai Weiwei con il passaporto che gli è stato restituito dal governo cinese nel luglio 2015 e durante il sopralluogo a Palazzo Strozzi in dicembre

Con il suo nuovo passaporto, alla fine dell’anno scorso, Ai Weiwei era già a Firenze a effettuare i sopralluoghi. Per la prima volta si confrontava con un’architettura come quella di Palazzo Strozzi – uno dei più importanti palazzi civili del Quattrocento fiorentino – e la sua incredibile elasticità nel capire e interpretare gli spazi palesava la sua lunga esperienza di architetto e di artista. In quel momento cominciavano infiniti scambi e discussioni sulla mostra da farsi, il cui risultato è questa grande retrospettiva che attraversa trent’anni di carriera di uno dei più controversi personaggi del nostro tempo e che permette allo spettatore di seguire il rapporto ambivalente dell’artista cinese con il suo paese, diviso tra un profondo senso di appartenenza e un altrettanto forte impulso alla ribellione. L’opera di Ai Weiwei ci parla qui di temi importanti in modo potente e diretto, utilizzando strumenti e linguaggi artistici a cavallo tra Oriente e Occidente. Proprio esporre a Palazzo Strozzi rappresenta l’occasione di confrontarsi con il Rinascimento, momento fondante della cultura occidentale.

Arturo Galansino
Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra

 

width=Arturo Galansino e Ai Weiwei sul loggiato di Palazzo Strozzi nel dicembre 2015.
Foto Alessandro Moggi

Dove vivo io

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«Abitare è essere ovunque a casa propria». Inizia così il documentario del 1977 dell’architetto Ugo La Pietra. A questo pensiero e alla migrazione contemporanea rappresentata nella mostra Liu Xiaodong: Migrazioni si ispira il progetto Dove vivo io, realizzato dal Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi.

L’idea è di raccontare la comunità che vive nei luoghi raffigurati dal pittore Liu Xiaodong, attraverso una testimonianza diretta, fatta di voci, suoni e immagini. Un progetto pensato per far emergere i legami con il territorio e i percorsi emotivi di chi abita quotidianamente la città.

Come ci rappresentano e cosa raccontano di noi i luoghi in cui viviamo? Quanto siamo influenzati dai quartieri, dalle vie e dalle piazze che frequentiamo? Quanto la nostra presenza modifica questi luoghi?

A queste domande risponde un gruppo di ragazze e ragazzi, che vivono tra Prato e Firenze, riflettendo sui luoghi del proprio vissuto quotidiano: una strada, una piazza o qualsiasi altro posto legato ad un ricordo, a un’emozione, alla personale percezione della città.

Il punto di partenza è stato quello di individuare sulla mappa di Prato, i “luoghi del cuore”; è seguita una visita in città per scoprire insieme le aree indicate: un percorso durante il quale ognuno ha raccontato le storie, le trasformazioni, le relazioni, con una particolare attenzione al quartiere di Chinatown. La fase successiva è stata quella di intervistare persone che vivono nel territorio, scelte direttamente dai partecipanti.

width=Ad ogni luogo corrisponde una storia: c’è chi ha indicato Piazza dell’Immaginario, chi via Pistoiese, chi piazza Duomo, raccontando così frammenti della città. Vincenzo, spazzino italiano, si prende cura della strade del Macrolotto Zero; Giulia, ex studentessa di medicina, vive in Italia da venticinque anni lavorando come sarta, innamorata del centro storico pratese; Massimiliano, ha un cognome e un passaporto cinese, senza però conoscere la lingua. Tante le storie che si intrecciano, raccolte in un progetto sonoro, con sottotitoli in italiano e cinese, affiancato da una selezione di fotografie e mappe dei luoghi raccontati.

Il video, le fotografie e le mappe che potete vedere per intero qui, sono il risultato di alcuni mesi di lavoro che hanno permesso di scoprire, approfondire e raccontare l’articolata convivenza multiculturale che caratterizza Prato.

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Tutte le interviste e le fotografie sono disponibili sul nostro account Youtube e Flickr.

width=Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione con Sara Jacopini, Miao Miao Huang e all’attenzione e sensibilità di tutti i partecipanti.
Il progetto audio è stato realizzato in collaborazione con Radio Papesse.
La documentazione fotografica e il montaggio video è di Giancarlo Barzagli.
Le mappe sono state realizzate da Emanuele Barili.

 

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“Rappresentare le migrazioni” di Liu Xiaodong

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Lo scorso settembre, la Fondazione Palazzo Strozzi mi ha invitato ad andare a Prato. Parte della città è quasi interamente popolata da cinesi, che vi abitano e vi procreano da ormai due o tre generazioni. La pelletteria e i capi d’abbigliamento prodotti nelle loro fabbriche di Prato sono venduti in tutto il mondo. Dopo Prato ho anche tentato di seguire il tragitto che i rifugiati siriani stavano compiendo in quel periodo per entrare in Europa. Dalla penisola di Akyarlar, nel sud della Turchia, all’isola di Kos, e poi alla ferrovia che collega il confine ungherese a quello austriaco, fino ad arrivare alla stazione centrale di Vienna. Lungo il percorso, oltre ai rifugiati siriani c’erano anche molti afghani, pachistani, iraniani e africani.

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Liu Xiaodong, Sketched map of refugee trail to Europe 2015-2016. Courtesy Liu Xiaodong studio

La migrazione è sempre stata e sempre sarà un fenomeno ineludibile del genere umano, dal passato più remoto sino al futuro. Il desiderio di trovare un posto migliore, una vita più perfetta, è intrinseco nell’uomo. Le migrazioni sono colme di speranze ed energie e gravate da ansie e perdite.

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In alto Liu Xiaodong, Refugees 4 (Rifugiati 4), 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/ Hong Kong; in basso Liu Xiaodong, Photo paintings. Courtesy Liu Xiaodong studio.

Credo che il problema e l’angoscia che affliggono l’Europa siano legati alla necessità di trovare un modo per preservare le tradizioni della sua società e insieme gestire le difficoltà scaturite dalla convivenza nel continente di una moltitudine di persone delle culture più disparate. È qualcosa di analogo alla mia curiosità e apprensione verso il cambiamento, quando so che potrebbe essere un bene ma al contempo ho paura che minaccerà il mio vecchio stile di vita. I miei genitori invecchiano e muoiono, mia figlia cresce e affronterà problemi e pericoli di ogni sorta. Sono molto angosciato. Non posso fare altro che dipingerli. Dipingere ciò che vedo. Ma in una società in mutamento non vi è un’unica soluzione, un’unica risposta per placare quest’angoscia. L’Europa ed io siamo entrambi legati alle nostre angosce.

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Liu Xiaodong, Chinatown 3, 2015, Courtesy the artist and Massimo De Carlo, Milano/London/Hong Kong.

Vi invitiamo a visitare la mostra Liu Xiaodong: migrazioni alla Strozzina di Palazzo Strozzi fino al 19 giugno 2016.

Vi aspettano inoltre una serie di appuntamenti che approfondiscono le tematiche della mostra attraverso conferenze e talk che si terranno presso la Strozzina di Palazzo Strozzi: qui il calendario completo dell’iniziativa.

Il tirocinio a Palazzo Strozzi: l’esperienza di Ana

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Ana Clemencia Venturi si è laureata in Arti Visive all’Alma Mater Studiorum di Bologna. La sua passione per l’arte la spinge, nel marzo 2014, ad iscriversi al Master de Il Sole 24 Ore in Economia e Management dei Beni Culturali a Roma, per ampliare la sua conoscenza anche dell’economia e del marketing dei beni culturali.

Come sei arrivata a Palazzo Strozzi per svolgere il tuo tirocinio?

A fine maggio 2015, sono iniziati i vari colloqui per trovare la sede del tirocinio previsto dal percorso di studi del master, stabiliti in base ai campi di interesse e ai requisiti posseduti da ciascun studente. È stato così che dopo essere stata selezionata sono arrivata a Palazzo Strozzi. Fin dal primo colloquio le mie responsabili si sono dimostrate gentili e disponibili. Questo fattore, unito alla sede di lavoro e al ruolo di supporto che avrei avuto all’interno dell’Ufficio Mostre di Palazzo Strozzi, mi hanno davvero entusiasmata. Arrivare da Bologna ogni mattina col treno e vedere la cupola di Santa Maria del Fiore continua a sorprendermi tuttora. Il mio contratto, iniziato a settembre, prevedeva inizialmente dai 4 ai 6 mesi di tirocinio. I compiti che avrei dovuto svolgere corrispondevano appieno a quello che speravo di imparare, come partecipare all’allestimento delle mostre e occuparmi dei condition reports delle opere (i documenti che definiscono lo stato di conservazione delle opere d’arte in occasione di un prestito temporaneo). Fortunatamente hanno deciso di prorogare il mio tirocinio per altri 2 mesi, potendo quindi partecipare, oltre che all’allestimento, anche al disallestimento della mostra Bellezza Divina, Tra Van Gogh, Chagall e Fontana, che si è tenuta a Palazzo Strozzi dal 24 settembre 2015 al 24 gennaio 2016. Con mia sorpresa e soddisfazione le mie responsabili hanno deciso di offrirmi un contratto di collaborazione con la Fondazione per il mese di marzo, in occasione dell’allestimento della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim.

 

width=Potresti raccontarci una tua giornata tipo?

La mia giornata tipo inizia verso le sei del mattino. Dopo essermi vestita e aver fatto colazione esco senza fretta per prendere il treno alla stazione, che dista 5 minuti a piedi da casa. Dopo un’oretta e mezzo eccomi quindi alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, dove è facile che mi perda alcuni momenti per le vie vicino a Ponte Vecchio e a Santa Trinita. Giunta in ufficio, una delle prime cose di cui sono solita occuparmi è l’aggiornamento dei dati del database della Fondazione, in cui sono contenuti tutte le informazioni necessarie per la progettazione non solamente di una mostra, ma di tutte le mostre con sede a Palazzo Strozzi: fra queste le caratteristiche fisiche delle opere, o i loro valori assicurativi, o i contatti dei relativi prestatori. Mentre aggiorno questo tipo di informazioni può capitare di dover modificare un PowerPoint di presentazione di una mostra prevista nel 2017, oppure di iniziare una ricerca di immagini e dati inerenti ad una mostra che si svolgerà nel 2018, o di modificare le liste delle immagini delle opere cambiandone ad esempio la risoluzione. Dopo la pausa pranzo si riprende il lavoro nel pomeriggio, finché non arriva il momento di riprendere il treno, dove mi rilasso nell’attesa di tornare a casa.

Fra i progetti a cui hai lavorato, quali ti hanno appassionata e coinvolta di più?

Sicuramente l’esperienza che mi ha colpito di più è stata l’allestimento della mostra Bellezza Divina, in particolare la compilazione finale dei condition reports delle opere, l’aver potuto assistere all’apertura delle casse contenenti le stesse, camminare per le sale ancora semi vuote e vedere di persona la movimentazione di quadri imponenti come I Maccabei di Ciseri o La Flagellazione di Cristo di Bouguereau, oppure di sculture di grandi dimensioni come Il Figliol Prodigo di Martini. La commozione totale l’ho provata dinnanzi alla Crocifissione Bianca di Chagall e di fronte alla magnificenza del Crocifisso in ceramica di Fontana.

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Che consiglio daresti a chi vorrebbe svolgere un tirocinio simile al tuo?

Penso che l’entusiasmo e la perseveranza siano due fattori chiave quando si svolge un tirocinio. All’inizio si possono commettere errori dovuti all’inesperienza, ma col tempo la maggior parte delle mansioni diventa di routine. A chi volesse svolgere questo tipo di tirocinio consiglierei inoltre di approfondire le tematiche riguardanti le assicurazioni delle opere d’arte e la tipologia dei materiali utilizzati per gli allestimenti museali, soprattutto se si è curiosi di scoprire la reale dinamica dell’organizzazione delle mostre d’arte e il vocabolario specifico. La curiosità rappresenta da ultima una qualità fondamentale, utile per approfondire gli stimoli che si ricevono durante il tirocinio.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Da una parte mi piacerebbe conseguire più esperienza nell’ambito della mobilitazione e del trasporto delle opere d’arte, dall’altra sono affascinata soprattutto dalla figura professionale del registrar, anche se mi rendo conto che per poter svolgere questo lavoro il cammino è molto lungo. Non mi dispiacerebbe sperimentare anche altri ambiti lavorativi, magari per un periodo di breve durata, con la finalità di ampliare le mie conoscenze, ad esempio presso le case d’asta, o nelle compagnie di assicurazioni specializzate in opere d’arte, o ancora in musei e associazioni che promuovano l’organizzazione di mostre e di progetti culturali. Mi piacerebbe lavorare per qualche anno all’estero, per migliorare il mio livello linguistico di spagnolo e d’inglese e perché mi incuriosisce scoprire nuove modalità di gestione dei beni culturali in altri paesi, quali la Spagna o l’Inghilterra.

width=Nelle foto Ana durante l’allestimento di Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana (Palazzo Strozzi, 24 settembre 2015-24 gennaio 2016)

 

 

 

La professione del registrar a Palazzo Strozzi

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Linda Pacifici si occupa del coordinamento delle mostre in qualità di Senior Registrar presso la Fondazione Palazzo Strozzi. È stata recentemente eletta Presidente di Registrarte, l’Associazione Italiana dei Registrar di Opere d’Arte, nata dall’esigenza di creare un network di comunicazione e collaborazione tra i professionisti che operano nel campo dell’organizzazione di mostre o della gestione di prestiti di opere d’arte.

Il registrar è una nuova figura museale che, pur essendo ben definita all’estero, sembra essere ancora poco riconosciuta in Italia. Di che cosa si occupa e come si diventa registrar?

Il registrar è “colui che segue le opere” e se ne prende cura in modo che queste non subiscano danni, sia quando sono esposte nel loro luogo abituale, sia quando si spostano in occasione delle mostre temporanee. In realtà il lavoro è molto più complesso e richiede anche delle conoscenze giuridiche per gestire i contratti di prestito ed economiche per compilare i budget. Purtroppo non esistono percorsi di studio specifici, ovviamente ci vuole una base di conoscenza di storia dell’arte, ma le altre competenze si acquistano più sul campo e secondo le proprie capacità personali.

Le competenze del registrar sono davvero trasversali e comprendono diverse azioni per mobilitare le opere d’arte provenienti da altri musei. Per la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, mostra ricca di capolavori prestigiosi, c’è stato un prestito che ha richiesto maggiori risorse dal punto di vista organizzativo?

Sicuramente la Crocifissione bianca di Marc Chagall proveniente dall’Art Institute di Chicago. E’ stata una trattativa complessa fin dall’inizio, soprattutto a causa dello spostamento del quadro in Battistero (in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale l’opera è stata esposta il 9 e 10 novembre nel Battistero di San Giovanni di Firenze, ndr). Essendo l’opera inserita in un climaframe, una sorta di cornice di cui noi vediamo solo il vetro davanti ma che in realtà chiude la tela anche sul retro mantenendone costante il livello di umidità e temperatura, non soffre molto le variazioni climatiche, ma è stata comunque fatta una misurazione del clima in Battistero una ventina di giorni prima dello spostamento per verificare che non ci fossero troppi sbalzi di umidità, molto dannosi per le opere. Inoltre la cassa è stata specificatamente costruita in modo da poter entrare nel nostro montacarichi, e quindi far uscire e rientrare l’opera agevolmente dalle sale espositive di Palazzo Strozzi. L’operazione si è svolta in due giorni sfruttando i momenti in cui la mostra era chiusa al pubblico: la mattina presto del 9 novembre e la sera del 10. Tutto lo spostamento è stato programmato nei minimi dettagli, e ha richiesto un discreto sforzo da parte del nostro ufficio.

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La movimentazione di un’opera d’arte prevede un iter ben preciso sotto l’aspetto burocratico e gestionale, sinteticamente quali sono i passaggi principali?

Per la gestione ci sono tanti aspetti che si riassumono in quattro grandi voci: condizioni di prestito, assicurazioni, trasporti e allestimento. Per prima cosa si deve richiedere il prestito di un’opera, e se questa viene concessa, si sigla un contratto di prestito che riassume tutte le condizioni, ad esempio se c’è bisogno di un restauro, se ci sono delle spese amministrative, quali sono le norme da seguire per il trasporto. Questa è un’operazione che si fa anche due o tre anni prima di una mostra. Qualche mese prima invece si inizia a lavorare su trasporti e assicurazioni, e si intavola una fitta corrispondenza con i prestatori per fissare ogni particolare e non lasciare niente al caso. Con l’architetto poi si verifica che l’allestimento non nasconda pericoli potenziali per la conservazione delle opere, e che siano rispettate le richieste dei prestatori, ad esempio l’impiego di vetrine, distanziatori, etc. Poche settimane prima dell’apertura della mostra infine si costruisce il piano degli arrivi delle opere e dei corrieri, le persone designate dai musei per seguire le opere in prestito. L’aspetto burocratico si connota soprattutto nell’ambito delle relazioni con il Ministero per i Beni Culturali, che deve rilasciare l’autorizzazione al prestito per le opere italiane e quella alla temporanea importazione per le opere provenienti dall’estero.

Alcune delle opere di Bellezza divina hanno richiesto un particolare intervento di restauro prima di poter essere esposte in mostra, come I Maccabei di Antonio Ciseri. In quale maniera una mostra temporanea può contribuire alla valorizzazione delle opere esposte?

Sicuramente i restauri, insieme ai cataloghi, sono la parte che rimane di una mostra, come le foto in un matrimonio. Spesso la partecipazione ad una mostra è per alcuni enti l’unica opportunità per fare degli interventi di restauro per i quali, altrimenti, non avrebbero i fondi. Per le chiese in particolare i restauri sono un bene prezioso. Bisogna verificare però che, al rientro nella sede abituale, non ci siano più le condizioni che avevano determinato il danneggiamento, come ad esempio le candele accese davanti all’altare o il calore prodotto da stufe.

 

Perché il Blog di Palazzo Strozzi?

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Negli ultimi anni ho seguito con interesse l’ascesa di Palazzo Strozzi, che da spazio semi-deserto è diventato una sede espositiva importante nel panorama culturale internazionale.

Il mio obiettivo è far di Palazzo Strozzi un luogo ancora più vivo e ancora più aperto, a Firenze e al mondo. Una visione da realizzare attraverso mostre ed eventi che vadano oltre le mura del Palazzo, avvalendosi della collaborazione di grandi istituzioni internazionali e di importanti sinergie territoriali, con l’intento di valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale.

L’idea del blog nasce dal desiderio di raccogliere e dare spazio alle diverse voci che animano Palazzo Strozzi. Attraverso contenuti di differente natura quali interviste, racconti, immagini e video, saranno rivelate le tante storie che contraddistinguono il nostro lavoro, fornendo approfondimenti inediti sulle iniziative svolte.

Il nostro obiettivo è rivolgere uno sguardo verso il mondo esterno, in relazione ai nostri eventi e alle nostre collaborazioni, così come aprire una finestra sul “dietro le quinte” della Fondazione, mostrando ciò che le persone non hanno modo di vedere o conoscere.

Ci piacerebbe inoltre dare risposte alle vostre domande riguardo alla nostra attività ed avere l’opportunità di ascoltare la vostra voce.

Arturo Galansino
Direttore Generale
Fondazione Palazzo Strozzi