Il calendario delle reperformance di “Marina Abramović. The Cleaner”

La retrospettiva di Marina Abramović a Firenze Marina Abramović. The Cleaner comprende anche una serie di reperformance delle opere più famose dell’artista serba. Vediamo quindi il calendario delle attività che vengono eseguite a Palazzo Strozzi.

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Imponderabilia

Tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 21.30.

Cleaning the Mirror

Tutti i giorni dalle 14.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 15.30 e dalle 16.30 alle 21.30.

Luminosity

Tutti i giorni dalle 15.00 alle 16.00.

The House with the Ocean View

Reperformance che durerà 12 giorni: da martedì 4 dicembre a domenica 16 dicembre.

Per saperne di più visita la pagina del sito.  Puoi anche fare il biglietto online e saltare la fila.

Nella mostra “Marina Abramović. The Cleaner” si possono fare fotografie?

La risposta è sì, ma è necessario rispettare alcune importanti regole. Vediamole insieme:

  1. Non essere invadenti
  2. Non usare cavalletto o selfie-stick
  3. Non usare il flash
  4. Non invadere lo spazio dei performer (tenersi ad almeno 3 metri di distanza).

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Non in tutte le mostre di Palazzo Strozzi è possibile fotografare le opere esposte, talvolta i prestatori delle opere impongono questo divieto per motivi di copyright, talvolta la delicatezza di un’opera d’arte rende necessario questo divieto proprio perché la forte luce dei flash potrebbe compromettere lo stato di conservazione.
C’è anche un’altra ragione, spesso sottovalutata: visitare una mostra circondati da decine di fotografi appassionati può tramutare un’esperienza unica di incontro con l’arte in un maldestro tentativo di evitare macchine fotografiche e telefoni cellulari che spuntano da ogni parte.

Il lavoro dei performer richiede grande concentrazione e sforzo fisico, trovarsi una macchina fotografica sotto il naso influisce negativamente sulla loro performance.
Inoltre, così come è necessario tenersi alla giusta distanza da un quadro o una scultura, anche nel caso dei performer in mostra è necessario mantenere la giusta distanza per non disturbare lo svolgimento dell’azione e permettere agli altri visitatori di vedere ciò che sta accadendo.

Ultima nota: la performance art si caratterizza per la sua immaterialità, per la capacità di generare forti sensazioni e trasformarsi in un ricordo, diverso per ognuno di noi, da condividere verbalmente. Come dice Marina Abramović, dobbiamo riuscire a vivere il qui e l’ora con la consapevolezza che ciò che vediamo e proviamo è irripetibile e l’unicità risiede proprio nella transitorietà; immancabilmente ci perdiamo tutto questo se siamo occupati a inquadrare, mettere a fuoco e scattare.

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5 motivi per visitare “Marina Abramović. The Cleaner”

Marina Abramović a Firenze

I cinque punti che caratterizzano la retrospettiva, in mostra a Palazzo Strozzi fino al 20 gennaio 2019

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1)

Perché è la prima mostra dedicata da Palazzo Strozzi a un’artista donna, la più importante rappresentante dell’arte performativa. Assolutamente inedita per l’Italia in questa formula immersiva, Marina Abramović. The Cleaner offre la possibilità agli spettatori di conoscere a tutto tondo l’arte di Marina Abramović, che con le sue opere e la sua storia – 50 anni di carriera – ha invaso tutti gli spazi del Palazzo: dal cortile alla Strozzina al Piano Nobile.

2)

Perché la mostra è un racconto speciale del rapporto di Marina Abramović con l’Italia, dove hanno avuto luogo alcune delle sue memorabili performance, che sono ripercorse nell’esposizione mettendo in evidenza il rapporto strettissimo dell’artista col nostro Paese.

3)

Perché Marina Abramović è l’artista che più di ogni altra segna la nostra contemporaneità: pur avendo fatto parte del secolo scorso, ha traghettato la sua arte nel Terzo Millennio.

4)

Perché è un’artista che, riflettendo sulla propria vita, da sempre ha portato alla ribalta temi cruciali, che ci riguardano tutti, riuscendo a comunicare come nessun altro artista col presente, interpretandone le contraddizioni e le urgenze. Ha saputo “far pulizia”, tenendo solo quello che serve ed è essenziale.

5)

Perché sarà possibile per il visitatore partecipare direttamente alle re-performance che ogni giorno vengono realizzate negli spazi di Palazzo Strozzi, tuffandosi in esperienze che rendono questa mostra un vero e proprio e indimenticabile esperimento vivente.

 

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Manifesto della vita di un artista Marina Abramović

 width=Come l’artista deve condurre la sua vita

L’artista non dovrebbe mentire
a se stesso
o ad altri
L’artista non dovrebbe rubare
idee altrui
L’artista non dovrebbe scendere
a compromessi
con se stesso o
per il mercato dell’arte
L’artista non dovrebbe uccidere
un altro uomo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo

La vita sentimentale di un artista

L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista
L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista
L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista

L’artista e l’erotismo

L’artista dovrebbe sviluppare
un punto di vista erotico sul mondo
L’artista dovrebbe essere erotico
L’artista dovrebbe essere erotico
L’artista dovrebbe essere erotico

L’artista e la sofferenza

L’artista dovrebbe soffrire
Dalla sofferenza scaturiscono
i lavori migliori
La sofferenza porta trasformazioni
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito

L’artista e la depressione

L’artista non dovrebbe essere
depresso
La depressione è una malattia e
dovrebbe essere curata
La depressione è improduttiva
per l’artista
La depressione è improduttiva
per l’artista
La depressione è improduttiva
per l’artista

L’artista e il suicidio

Il suicidio è un crimine contro la vita
L’artista non dovrebbe suicidarsi
L’artista non dovrebbe suicidarsi
L’artista non dovrebbe suicidarsi

L’artista e l’ispirazione

L’artista dovrebbe guardarsi dentro
in cerca di ispirazione
Più l’artista guarda dentro di se,
più diventa universale
L’artista è universo
L’artista è universo
L’artista è universo

L’artista e l’autocontrollo

L’artista non dovrebbe avere
autocontrollo sulla sua vita
L’artista dovrebbe avere totale
autocontrollo sul suo lavoro
L’artista non dovrebbe avere
autocontrollo sulla sua vita
L’artista dovrebbe avere totale
autocontrollo sul suo lavoro

L’artista e la trasparenza

L’artista dovrebbe dare e ricevere
contemporaneamente
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere

L’artista e i simboli

L’artista crea i propri simboli
I simboli sono il linguaggio
dell’artista
Il linguaggio, poi, deve essere
tradotto
A volte è difficile trovare
la chiave
A volte è difficile trovare
la chiave
A volte è difficile trovare
la chiave

L’artista e il silenzio

L’artista deve comprendere il silenzio
L’artista deve creare uno spazio
perché il silenzio entri nel suo lavoro
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso

I possedimenti dell’artista

I monaci buddisti consigliano
di possedere soltanto nove cose:
1 veste per l’estate
1 veste per l’inverno
1 paio di scarpe
1 scodella per elemosinare il cibo
1 zanzariera
1 libro di preghiere
1 ombrello
1 tappetino su cui dormire
1 paio di occhiali se necessari
L’artista dovrebbe decidere da solo
un minimo numero di oggetti
da possedere
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno

Lista di amici dell’artista

L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito
L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito
L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito

Lista di nemici dell’artista

I nemici sono molto importanti
Il Dalai Lama ha detto che è facile
provare compassione per gli amici,
molto meno per i nemici
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista e la solitudine:
L’artista deve passare lunghi periodi
di solitudine
La solitudine è estremamente
importante
lontano da casa
lontano dal proprio studio
lontano dalla famiglia
lontano dagli amici
L’artista dovrebbe passare molto
tempo vicino alle cascate
L’artista dovrebbe passare molto
tempo vicino a vulcani in eruzione
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a osservare fiumi che
scorrono veloci
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a guardare l’orizzonte,
dove mare e cielo si incontrano
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a guardare le stelle nel cielo
notturno

L’artista e il lavoro

L’artista dovrebbe evitare di andare
ogni giorno nel suo studio
L’artista non dovrebbe trattare
i propri orari di lavoro come fa
un impiegato di banca
L’artista dovrebbe esplorare la vita
e lavorare solo quando un’idea
gli compare in sogno, o durante
il giorno come una visione
che sorge di sorpresa
L’artista non dovrebbe ripetersi
L’artista non dovrebbe produrre
troppo
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte

Diversi scenari di morte

L’artista deve essere consapevole
della propria mortalità
per l’artista, non e importante
soltanto come vive, ma anche
come muore
L’artista dovrebbe osservare
i simboli dei propri lavori per trovare
i segni dei vari scenari di morte
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura

Diversi scenari di funerale

L’artista dovrebbe dare istruzioni
per il proprio funerale, in modo che
tutto sia svolto come vuole lui
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene.

Avvicinare i più giovani ai linguaggi dell’arte contemporanea

Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019 Palazzo Strozzi ospita una retrospettiva completa dedicata a Marina Abramović. Ci troviamo di fronte a un gigante dell’arte mondiale che porta a Firenze circa cento opere realizzate nel corso della sua carriera, dagli esordi degli anni Sessanta e Settanta, fino ai lavori realizzati negli anni più recenti. Marina Abramović è un’artista che viene studiata sui libri di scuola e il suo lavoro ha segnato un’intera stagione dell’arte occidentale, quella della performance art. La mostra ospita video, fotografie e oggetti legati alle sue celebri performance, che saranno proposte nuovamente dal vivo all’interno delle sale dell’esposizione da un gruppo di giovani performer formati appositamente per l’occasione.

Per la nostra istituzione la possibilità di poter collaborare con una figura del calibro di Marina Abramović è sicuramente motivo di orgoglio e la mostra conferma l’impegno della Fondazione Palazzo Strozzi nel promuovere i linguaggi artistici del Novecento e dell’arte contemporanea attraverso i suoi principali rappresentanti.

A tale soddisfazione si accompagna però la responsabilità di dover rendere l’arte di questa artista accessibile a ogni tipologia di visitatore, compresi i più giovani. L’avvicinamento all’arte di bambini e adolescenti è uno dei principali obiettivi della Fondazione, e sebbene alcuni contenuti della mostra possano essere considerati sensibili e poco adatti a un pubblico di giovanissimi, abbiamo comunque deciso di tenere fede alla tradizionale apertura di Palazzo Strozzi nei confronti dei più giovani. Questo breve testo costituisce una piccola parte del lavoro che abbiamo fatto per informare genitori, famigliari e insegnanti sulle opportunità di visita della mostra con bambini e ragazzi.

Marina Abramović a Firenze. Le Attività per Bambini: Gruppi Scuola e Famiglie

In occasione della mostra Marina Abramović. The Cleaner invitiamo, come sempre, gli insegnanti della scuola ad accompagnare le proprie classi a Palazzo Strozzi per prendere parte alle attività condotte da educatori esperti. Le visite guidate e i laboratori sono disponibili per le classi della scuola dell’infanzia (dai 4 anni), della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado. Ogni attività proposta prevede percorsi che tengono conto delle diverse età dei partecipanti, ideati per soffermarsi solo sulle opere più significative e adatte all’età dei partecipanti. In occasione della mostra, abbiamo deciso di fornire più informazioni preliminari agli insegnanti, indicando materiali da utilizzare per preparare la classe alla visita e quali opere saranno osservate dal gruppo durante il percorso in mostra. Per i bambini di 4a e 5a elementare sono previsti anche degli incontri in classe preliminari alla visita della mostra per fornire maggiori strumenti interpretativi e per tracciare una relazione tra la performance art e i mezzi artistici più tradizionali e riconoscibili come la scultura e la pittura (Come diventare un’opera d’arte). In generale, la mostra di Marina Abramović fornirà alla scuola un’occasione unica per riflettere sull’uso del proprio corpo e sul suo linguaggio, aspetto che talvolta viene tralasciato dalle programmazioni didattiche, mentre per i più grandi la riflessione si allargherà al tema della diffusione della propria immagine, così importante nell’epoca dei social network.

 width=Anche le famiglie potranno partecipare alla mostra attraverso le attività proposte e anche in questo caso la progettazione della visita e del laboratorio creativo che la completa è stata realizzata tenendo in considerazione le differenze di età dei bambini. Per le famiglie con bambini dai 3 ai 6 proponiamo di vistare la mostra partecipando a Oggetti magici (mercoledì pomeriggio, una volta al mese), mentre per coloro che vogliono accompagnare bambini e ragazzi tra i 7 e i 12 anni ogni domenica mattina possono partecipare al laboratorio Vestirsi d’energia. Nel corso di queste attività adulti e bambini potranno condividere un momento creativo prendendo spunto dall’osservazione di alcune opere selezionate nel percorso della mostra.

Per la prima volta inoltre è stato creato uno specifico materiale dedicato a giovani e adulti (da 14 anni in su), il Kit Mostra.

Il Kit è composto da un libro con approfondimenti sull’artista e piccoli esercizi da fare nelle sale per avvicinarsi all’arte performativa. Il Kit è gratuito e sempre disponibile al Punto Info della mostra.

L’importanza di un percorso

L’allestimento della mostra prevede che le opere più forti, quelle legate alla fase degli anni Settanta, siano esposte nel piano della Strozzina. Pur invitando chiunque a partecipare alla mostra, sconsigliamo la visita di questa sezione ai minori di 14 anni non accompagnati da un adulto. Lo stesso vale per una saletta del piano nobile, il cui accesso sarà vietato ai minori di 18 anni. Tutti i percorsi per scuole e famiglie si svolgono al Piano Nobile della mostra dove sono ospitate le opere realizzate dalla fine degli anni Settanta agli anni Duemila, cioè dalla fase del rapporto artistico e sentimentale tra Marina Abramović e il compagno Ulay fino ai capolavori più recenti come The Artist is Present e le opere interattive in cui il visitatore viene chiamato a prendere parte all’opera.

“Marina Abramović. The Cleaner”. Una mostra per tutti

Per la nostra istituzione e per il pubblico fiorentino e italiano la mostra Marina Abramović. The Cleaner è un’occasione irripetibile di incontro con un’artista fondamentale del nostro tempo, così come lo sono state recentemente le mostre di Ai Weiwei e Bill Viola tenutesi a Palazzo Strozzi rispettivamente nel 2016 e 2017.

La mostra di Marina Abramović a Firenze ci pone nuovamente di fronte a delle questioni a cui è necessario rispondere attraverso un lavoro di progettazione: come possiamo rendere l’incontro tra le sensazionali opere di Marina Abramović e il pubblico ancora più significativo? Come possiamo rendere il contesto dell’esperienza adatto a tutte le diverse tipologie di persone che quotidianamente entrano a Palazzo Strozzi?

Per rispondere a queste domande è opportuno considerare quella che è la missione di un’istituzione come la Fondazione Palazzo Strozzi: rendere l’arte accessibile al più ampio numero di persone possibile tenendo presente la diversità di ogni visitatore.

Cosa può offrire la mostra, per esempio, a una scuola, a un gruppo di adolescenti, a degli studenti universitari, a una famiglia, a una persona con disabilità? È necessario essere consapevoli e prepararsi alle diverse sensibilità, al diverso bagaglio di informazioni, alle diverse necessità del visitatore della mostra.

Tenendo chiaro in mente il nostro obiettivo, abbiamo deciso di non farci spaventare dal contenuto talvolta forte di alcune delle opere esposte, mantenendo tutta l’offerta per il pubblico che caratterizza le mostre di Palazzo Strozzi e rilanciando con nuovi progetti. Questo ha richiesto un lavoro diverso di progettazione delle attività e la preparazione di percorsi appositi che permettano anche alle categorie di pubblico più sensibili a certi contenuti di accedere alla mostra.

I nuovi progetti EDU dedicati alla mostra

 width=Le famiglie con bambini trovano anche per questa mostra un calendario di attività a loro dedicate con i laboratori Oggetti magici (per famiglie con bambini tra i 3 e i 6 anni) e Vestirsi d’energia (per famiglie con bambini tra i 7 e i 12 anni).

In occasione della mostra di Marina Abramović, l’offerta di visite guidate e laboratori per le scuole, dall’infanzia all’università, è stata potenziata e diversificata con nuove attività in classe per la scuola primaria (Come diventare un’opera d’arte) e una nuova proposta con laboratorio in mostra dedicata agli studenti della scuola superiore che saranno invitati a sperimentare l’uso del proprio corpo per avvicinarsi ulteriormente alle opere di Marina Abramović (Corpi in azione).

Il Kit mostra, sempre disponibile gratuitamente al Punto Info, è stato pensato stavolta per adulti e giovani dai 14 anni in sù che, da soli o in gruppo, avranno voglia di mettersi in gioco e visitare la mostra con uno strumento inteso per stimolare l’approfondimento dei contenuti e l’interazione con le opere.

Proseguono anche i progetti speciali di accessibilità dedicati a persone con disabilità come Connessioni, A più voci (per persone con Alzheimer e chi se ne prende cura) e Sfumature, per ragazzi con disturbi dello spettro autistico). A questi si aggiunge un nuovo progetto, Corpo libero. Vivere l’arte con il Parkinson, dedicato alle persone con Parkinson che prende avvio proprio in occasione della mostra di Marina Abramović. Una nuova scommessa di Palazzo Strozzi che non poteva trovare contesto più adatto per trovare il suo inizio.

Per scoprire queste e tutte le altre proposte per il pubblico legate alla mostra Marina Abramović. The Cleaner vi invitiamo a visitare la sezione Educazione.

Marina Abramović a Firenze

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Palazzo Strozzi ospita per la prima volta in Italia una retrospettiva completa delle opere di Marina Abramović, che è considerata universalmente uno degli artisti viventi più rappresentativi della performance art. Ci troviamo di fronte a un’artista che a partire dagli anni Settanta ha lasciato un segno evidente nella scenario artistico mondiale e il suo lavoro viene spesso preso come esempio di riferimento da artisti di tutto il mondo che oggi hanno l’opportunità di formarsi attraverso il suo metodo.

La fama di Marina Abramović deriva anche dal suo status di artista che è riuscita a fuoriuscire dai circuiti talvolta ristretti dell’arte, avvicinando attraverso le suo opere così toccanti quella larga fascia di pubblico che non frequenta abitualmente il mondo dell’arte contemporanea. Il motivo di questo successo dipende da fattori diversi, tra cui la capacità di promuovere la sua figura attraverso eventi espositivi di prim’ordine come la mostra organizzata dal MoMA di New York nel 2010, The Artist Is Present, a cui è seguita la distribuzione al cinema del noto documentario che ne riprende il titolo. Ma il motivo principale della sua fama risiede sicuramente nel modo in cui quest’artista ha saputo utilizzare la propria immagine, il proprio corpo e la propria storia personale all’interno dei sui lavori, tramite i quali stabilisce con i visitatori delle sue mostre un rapporto speciale basato sull’empatia. 

Marina Abramović. Biografia

 width=1946

Nasce il 30 novembre a Belgrado, ex Jugoslavia, in una famiglia benestante. I genitori Vojo e Danica, entrambi partigiani durante la Seconda guerra mondiale, fanno parte della dirigenza del Partito comunista del generale Tito. Marina passa i primi anni con la nonna materna, Milica, e viene profondamente influenzata dalla sua fede ortodossa.

1952

Nasce il fratello Velimir e Marina va a vivere con i genitori. La sua vita sotto il severo controllo materno è emotivamente molto difficile.

1953-1958

Sin da piccola Marina è incoraggiata a esprimere se stessa in modo creativo: a dodici anni le viene regalata la prima scatola di colori.

1960-1965

Pratica il disegno e la pittura: spesso rappresenta nature morte con fiori e ritratti figurativi.

1965-1970

Studia all’Accademia di Belle Arti di Belgrado. Le espressioni figurative diventano sempre più astratte.

1970-1973

Perfeziona gli studi all’Accademia di Belle Arti di Zagabria. Comincia a usare il corpo come strumento artistico e a dedicarsi al suono e all’arte performativa.

1971

Sposa l’artista concettuale Neša Paripović, ma continua a vivere con la madre.

1973

Incontra Joseph Beuys prima a Edimburgo e poi al Centro culturale studentesco di Belgrado (SKĆ). Gli happening di Beuys la colpiscono profondamente. Collabora con Hermann Nitsch. Nello stesso anno presenta la performance Rhythm 10 al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Borghese a Roma.

1974

Allo SKĆ presenta Rhythm 5. Rhythm 4 è presentata alla Galleria Diagramma di Milano, mentre l’ultima opera della serie, Rhythm 0, viene presentata nella galleria Studio Morra di Napoli.

1975

Va ad Amsterdam per partecipare a un incontro internazionale di artisti performativi e vi conosce l’artista tedesco Ulay (Frank Uwe Laysiepen, nato nel 1943).

1976

Ventinovenne, divorzia da Paripović, abbandona la famiglia e il suo clima repressivo e si trasferisce ad Amsterdam con Ulay.

1977-1979

Marina e Ulay creano la serie Relation Works. Scrivono il manifesto Art Vital, che stabilisce la direzione della loro pratica artistica. Decidono di essere in perpetuo movimento e nei tre anni successivi vivono e lavorano in un furgone, mentre viaggiano in tutta Europa.

1980-1981

La coppia si trasferisce in un appartamento di Amsterdam, inserendosi nella vita artistica della città. Vanno in Australia dove vivono per nove mesi presso la tribù Pintupi nel Gran Deserto Victoria. Influenzati dalla cultura aborigena, creano la performance Nightsea Crossing.

1982

Nightsea Crossing è allestita a Documenta 7 di Kassel e in altri musei e spazi espositivi a Colonia, Düsseldorf, Berlino, Amsterdam, Chicago e Toronto. Per praticare la tecnica meditativa vipassana, Abramović e Ulay vanno a Bodhgaya, in India, dove incontrano il Dalai Lama e il suo principale mentore, il tulku Kyabje Ling Rinpoche.

1983

Marina e Ulay invitano il lama tibetano Ngawang Soepa Lucyar e lo sciamano aborigeno Charlie Watuma Taruru Tjungurrayi, loro compagno di viaggio nel Gran Deserto Victoria, a partecipare a una nuova versione di Nightsea Crossing.

1985

A Firenze, Gastkünstlern a Villa Romana, Marina e Ulay provano (insieme a Mr Mondo e a Michael Laub) la pièce Fragilissimo, che sarebbe dovuta andare in scena al Teatro Niccolini: l’esecuzione fiorentina non ha luogo, ma l’opera viene presentata ad Amsterdam e Stoccolma.

1986

La coppia di artisti va in Cina per la prima volta. Dal momento del viaggio nell’outback australiano del 1980 i due lavorano al progetto di una performance lungo la Grande Muraglia cinese.

1988

Dopo anni di preparativi, ha inizio la camminata lungo la Grande Muraglia cinese per l’opera The Lovers. Marina parte dall’estremità orientale della Muraglia, mentre Ulay inizia dal lato occidentale e procede in direzione opposta. La performance sancisce la definitiva conclusione della loro relazione e collaborazione artistica, durata dodici anni.

1989

Le nuove opere di Marina Abramović da sola sono una serie di oggetti interattivi, noti come Transitory Objects. Le opere vengono esposte, tra gli altri, al Museum of Modern Art di Oxford, allo Städtische Kunsthalle di Düsseldorf e al Museum of Modern Art di Montreal.

1990

Si trasferisce a Parigi, mantenendo l’appartamento di Amsterdam. Viene invitata a partecipare alla famosa esposizione Magiciens de la Terre al Centre Pompidou di Parigi. Poco dopo nello stesso museo viene allestito The Lovers.

1991

Si reca in Brasile per continuare il lavoro sui Transitory Objects.

1992-1993

L’opera The Biography, diretta da Charles Atlas, viene rappresentata per la prima volta a Madrid e successivamente a Documenta 9 di Kassel.

1994

The Biography è rappresentata in teatri di Parigi, Atene, Amsterdam e Anversa. Marina Abramović e Charles Atlas vanno a Belgrado per lavorare alla futura pièce Delusional, anch’essa basata sulla vita di Marina.

1995

Retrospettiva al Museum of Modern Art di Oxford.

1996

Festeggia il cinquantesimo compleanno con il vernissage di Marina Abramović: Objects, Performance, Video, Sound, retrospettiva organizzata allo Stedelijk Museum voor Aktuele Kunst di Gent.

1997

È invitata a rappresentare Serbia e Montenegro nel Padiglione jugoslavo della Biennale di Venezia, ma interrompe la collaborazione in contrasto sul soggetto dell’opera. La performance Balkan Baroque viene allestita quindi in un sottoscala del Padiglione Centrale ai Giardini, causando scalpore. Viene premiata con il Leone d’oro.

1998

Crea il laboratorio Cleaning the House, una serie di esercizi basati su concentrazione e pratica mentale.

2000

Il padre Vojo muore di tumore.

2001

In collaborazione con la Triennale di Arte Contemporanea Echigo-Tsumari in Giappone viene inaugurato il progetto interattivo Dream House come installazione permanente. Performance Mambo a Marienbad, realizzata nell’ex ospedale neuropsichiatrico di Volterra.

2002

The House with the Ocean View viene presentata alla Sean Kelly Gallery di New York: passa dodici giorni in silenzio, digiuno ed esposizione totale, sempre davanti al pubblico.

2004

L’Art Institute di Chicago le conferisce un dottorato onorario. L’artista torna a Belgrado per il progetto video Balkan Erotic Epic.

2005

Seven Easy Pieces viene presentata al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. L’opera si compone di sette reinterpretazioni di performance degli artisti VALIE EXPORT, Vito Acconci, Bruce Nauman, Gina Pane, Josef Beuys e della stessa Abramović. Il progetto è il risultato del suo lavoro sulle re-performance, pensate per conservare le performance.

2006

Marina acquista una proprietà a Hudson (New York), che diventa residenza privata e punto di incontro per artisti performativi.

2007

La madre Danica muore a Belgrado.

2010

Il MoMA di New York inaugura la grande retrospettiva The Artist is Present, con molte re-performance delle sue opere e per l’intera durata della mostra propone la nuova e intensa The Artist is Present. Nello stesso anno fonda il Marina Abramović Institute (MAI), con lo scopo di operare attraverso le scienze, per creare una piattaforma teorica e pratica di arte performativa.

2011

The Artist is Present è allestita al Garage Center for Contemporary Culture di Mosca. La pièce autobiografica The Life and Death of Marina Abramović viene rappresentata per la prima volta al Manchester International Festival.

2012

Il documentario Marina Abramović: The Artist is Present viene presentato al Sundance Film Festival. L’esposizione Marina Abramović, Balkan Stories è organizzata alla Kunsthalle di Vienna.

2014

L’esposizione 512 Hours viene presentata alla Serpentine Gallery di Londra. Il progetto comprende una serie di esercizi interattivi che partono dal processo creativo dell’artista stessa e continuano con la partecipazione del pubblico.

2015

Le due grandi esposizioni Terra Comunal/Communal Land e Private Archaeology vengono inaugurate alla SESC Pompeia di São Paulo e al Museum of Old and New Art in Tasmania.

2016

Presso Penguin viene pubblicata l’autobiografia Walk Trhough Walls. A Memoir. La versione italiana Marina Abramović. Attraversare i muri. Un’autobiografia, esce l’anno successivo.

2017-2018

Marina Abramović. The Cleaner viene presentata al Moderna Museet di Stoccolma. La retrospettiva si sposta al Louisiana Museum of Modern Art a Humlebæk, in Danimarca e alla Bundeskunsthalle di Bonn, in Germania. Nel marzo 2018 Marina Abramović è a Firenze per preparare la mostra a Palazzo Strozzi.

Il Bilancio delle Mostre di Palazzo Strozzi

Siamo a oltre 110.000 visitatori e dal 21 settembre l’imperdibile mostra “Marina Abramović. The Cleaner”.

NASCITA DI UNA NAZIONE. TRA GUTTUSO, FONTANA E SCHIFANO

Si è chiusa domenica 22 luglio Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Schifano e Fontana lo straordinario viaggio tra arte, politica e società nell’Italia tra gli anni Cinquanta e il periodo della contestazione attraverso le opere di artisti come Renato Guttuso, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Enrico Castellani, Piero Manzoni, Mario Schifano, Mario Merz e Michelangelo Pistoletto.

Come in una sorta di “macchina del tempo” costruita per immagini, con un originale taglio curatoriale, l’esposizione ha narrato il periodo più fertile dell’arte italiana della seconda metà del Novecento, che oggi è riconosciuto come contributo fondamentale per il contemporaneo, ripercorrendo alcuni temi identitari di un Paese in cui l’arte viene concepita sia come forza innovatrice, sia come strumento di approfondimento di un più ampio contesto culturale.

Nascita di una Nazione ha visto per la prima volta riunite assieme opere emblematiche del fermento culturale italiano tra gli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta: un itinerario artistico che è partito dal trionfo dell’Arte Informale per arrivare alle sperimentazioni su immagini, gesti e figure della Pop Art in giustapposizione con le esperienze della pittura monocroma fino ai nuovi linguaggi dell’Arte Povera e dell’Arte Concettuale. La mostra è stata apprezzata dal pubblico per la qualità delle opere esposte, ma anche per il tema trattato, che ha attirato, fin dalla sua apertura l’attenzione della stampa nazionale e internazionale con una presenza costante sulle principali testate locali e nazionali.

THE FLORENCE EXPERIMENT

Un progetto di Carsten Höller e Stefano Mancuso a cura di Arturo Galansino fino al 26 agosto 2018

Fino al 26 agosto 2018 Palazzo Strozzi ospita The Florence Experiment, il nuovo progetto site specific del celebre artista tedesco Carsten Höller e del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, a cura di Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi: un grande esperimento che unisce arte e scienza studiando l’interazione tra piante ed esseri umani.

The Florence Experiment prevede la partecipazione diretta del pubblico attraverso due monumentali scivoli che permettono ai visitatori di scendere 20 metri di altezza dal loggiato del secondo piano al cortile e uno speciale spazio laboratoriale nella Strozzina, collegato alla facciata del Palazzo.
The Florence Experiment mira a creare una nuova consapevolezza al modo in cui l’uomo vede, conosce e interagisce con un organismo vegetale, trasformando la facciata e il cortile di Palazzo Strozzi in veri e propri campi di sperimentazione scientifici e artistici su concetti come la coscienza, la sensibilità e le capacità comunicative ed emozionali di tutti gli esseri viventi attraverso una rinnovata alleanza tra arte e scienza.
Dopo tre mesi di analisi, ricerche e raccolta dati su migliaia di piante di fagiolo, il Professor Mancuso e il suo staff di scienziati ha condiviso i risultati preliminari dell’esperimento confermando che la presenza dell’uomo ha un effetto importante sulle piante.

A questo link potete fare i biglietti per far parte dell’esperimento.

Fausto Melotti: Armonia e Contrappunto

La mostra “Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano” (11 marzo-22 luglio 2018) ha rappresentato la cornice ideale per lo sviluppo di un progetto di collaborazione tra il corso di Storia dell’Arte Contemporanea, tenuto dalla professoressa Alessandra Scappini (SAGAS, Università di Firenze), e la Fondazione Palazzo Strozzi. Gli studenti del corso hanno lavorato alla stesura di un saggio critico dedicato a una delle quattro aree tematiche di discussione emerse durante la visita alla mostra e approfondite in aula attraverso una bibliografia di riferimento:

  • arte e sistema (politico, socio – economico, culturale);
  • opera come creazione e operazione per il coinvolgimento del pubblico;
  • la linea analitica dell’arte contemporanea come indagine di carattere metalinguistico;
  • l’ironia come atteggiamento proprio dell’artista.

Gli elaborati sono stati valutati per l’originalità dalla proposta, la qualità della scrittura e l’approfondimento della ricerca. Pubblichiamo con grande piacere sul nostro blog i saggi di Anna De Bernardis, Marta Matassoni, Sabrina Piergiovanni ed Emma Rossi.

 

di Sabrina Pergiovanni

Sintesi

Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986), scultore, musicista, pittore e poeta dalla duplice formazione, tecnico-scientifica e artistica, spazia inizialmente tra l’ambito del gruppo astrattista milanese e le influenze dell’architettura razionale. La sua attività artistica assume diverse sfumature nel corso della sua vita ma a essere sempre costante è la presenza della musica che, attraverso le leggi matematiche, lo conduce a composizioni armoniche.

Parole chiave: Fausto Melotti, musica, armonia, contrappunto, geometria.

Introduzione: lo stato d’animo angelico non prescinde da quello geometrico

“L’artista deve avere un credo, ma, penso, lo deve anche tradire. Altrimenti, prigioniero nel suo tabernacolo, si vede consegnato a un equilibrio indifferente, come su un piano perfettamente orizzontale. La palla vive quando rotola in basso o è lanciata in alto”. Così scrisse Fausto Melotti (1981: 46-47) in uno dei suoi foglietti in cui custodiva gelosamente alcune sue riflessioni e memorie e che, dopo la sua morte, vennero parzialmente editi in volumi come Linee e Lo spazio inquieto.

Nato a Rovereto nel 1901, Melotti trascorse la sua fanciullezza a Firenze e, dopo essersi iscritto alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, si laureò come ingegnere elettrotecnico al Politecnico di Milano nel 1924. L’anno successivo, a Torino, lo zio lo introdusse nella bottega di Pietro Canonica che gli insegnò il mestiere di scultore; per due anni svolse il servizio militare a Civitavecchia e in seguito frequentò sporadicamente l’Accademia Albertina di Torino finché, nel 1928, non iniziò a studiare insieme a Lucio Fontana all’Accademia di Brera sotto l’insegnamento di Adolfo Wildt.

Dalla sua molteplice formazione musicale, tecnico-scientifica e artistica, ebbe origine la sua poetica espressa con grande chiarezza nel frontespizio del catalogo redatto per la sua prima personale alla Galleria Il Milione nel 1935: “L’arte è stato d’animo angelico, geometrico. Essa si rivolge all’intelletto e non ai sensi. […] Non la modellazione ha importanza ma la modulazione. Non è un gioco di parola: modellazione viene da modello = natura = disordine; modulazione da modulo = cànone = ordine. Il cristallo incanta la natura” (Fossati, 1971: 105). Le opere di Melotti sono costruite come secondo un’equazione che si rifà alla matematica mistica della scuola pitagorica (Celant, 1995: X) e alla sezione aurea (Fagiolo Dell’Arco, 1970: 101), dunque secondo un ordine rigorosamente geometrico fondato sulla modulazione intesa come  modulo architettonico; questa impostazione, oltre che essere frutto della sua cultura scientifica, secondo suo cugino Carlo Belli1 gli era stata trasmessa da Wildt ed era ciò che lo spingeva a volere il controllo assoluto sull’esecuzione fino a giungere alla creazione di volumi puri (Ferrari, 2016: 125). Ciò corrispondeva a una ricerca di equilibrio che Melotti riscontrava in Piero della Francesca, nell’architettura razionale e in quella della Grecia antica2 (Fossati, 1971: 106). Melotti riesce a liberare la sua arte dalla ripetitività monotona, modulando le sue opere secondo i principi dell’armonia e del contrappunto di Johann Sebastian Bach: il musicista tedesco infatti, sosteneva che i sensi, per mezzo dell’orecchio, potessero cogliere la musica solo come una sintesi delle sue varie parti, quindi ‘verticalmente’ come armonia; al contrario, l’intelletto per lui la poteva percepire anche ‘orizzontalmente’, tollerando molti dettagli nelle parti individuali.

In questo modo egli, al posto di una singola nota, inseriva alcuni gruppi di note che creavano conflitti incidentali, brutti e insensati sulla carta, ma convincenti e naturali quando ascoltati (Platt, 1948: 48-49, 56). Questo è ciò che si ritrova anche nella scultura di Melotti che “come Minerva nasce dal cervello” (Melotti, 1981: 46); quindi l’artista rinuncia all’amore per la materia: egli usava da asticelle d’ottone a garze, da catenelle a cartoncino, da stagnola a gesso, anticipando in un certo senso l’Arte Povera degli anni Sessanta (Ebony, 2016: 145) ma, prende le distanze da essa, in quanto per lui quei materiali non erano il fine bensì il mezzo (Pola, 2018: 124), cioè una serie di note musicali visive per le sue sculture (Celant, 1995: XVI). Melotti giunge, così, alla dematerializzazione della forma, a quella che si può definire una vera e propria anti-scultura3 (Hammacher, 1973: 5). Questa forte sintesi e purificazione degli elementi non porta solo a un nuovo ordine matematico ma anche a un senso di elevazione e di precarietà: da qui emerge il suo spazio interiore (Celant, 1995: VII), la sua stessa situazione emotiva (Drudi, 1974: 23) che costituisce quello che Melotti aveva definito “stato d’animo angelico” (Fossati, 1971: 105) e che lo porta a distaccarsi dall’ambiente della Galleria Il Milione a Milano4, presso la quale aveva esposto nel 1935. E’ vero che egli in alcune opere sembra fare riferimento alla narrazione favolistica e mitologica (Celant, 1995: VII) e alla memoria della sua infanzia5, ma questi riferimenti spesso non sono volontari e figurativi bensì si presentano attraverso concatenazioni concettuali casuali: proprio questa apertura al gioco del caso (Celant, 1995: XVI) riporta alla musica. Melotti infatti considerava l’artista come un compositore che cominciava davvero a lavorare solo quando “da un segno nasce[va] un altro segno” (Fiz, 2000: 13) e giungeva l’ispirazione. Riguardo a ciò, un esempio è la Scultura C (fig. 1), realizzata nel 1969 e più volte riprodotta, che presenta delle aste di ottone tra le quali spicca una trasversale che termina in un motivo a ricciolo che, da una parte, è frutto della sua concezione della scultura come processo per giungere a un’architettura armonica6 (Celant, 1995: XIX) e, dall’altra, simbolo della spirale logaritmica disegnata secondo le leggi geometriche e naturali della sezione aurea (Ferrari, 2016: 126). Questo ricorda, seppur con mezzi assai diversi, l’uso che fa Mario Merz in Lumaca (fig. 2), del 1970, della sequenza di Fibonacci per tracciare nella telecamera, che lo divide dallo spettatore, una spirale che parte da una vera lumaca. Lo scopo di Merz è di recuperare il flusso di energie cosmiche e vitali proveniente dalla natura e dal mondo archetipico, rifacendosi alla fillotassi7: “Io cerco l’Energia che scorre liberata dalle catene del ritmo, come la musica dell’India” (Masini, 1989: 939); la sua ricerca, dunque, non era poi tanto distante da quella di Melotti: entrambi leggevano la natura secondo leggi matematiche e geometriche che rendevano le loro opere d’arte pensiero e pura energia spirituale8 (Celant, 1995: IX), prescindendo dalla dicotomia tra astrazione e figurazione.

Il tema del doppio e l’azzeramento  

La dicotomia melottiana tra “Esprit de geometrie” ed “Esprit de finesse (Fagiolo Dell’Arco, 1970: 100) si manifesta nelle sue opere in vari modi. A tal proposito, una scultura paradigmatica è Ellissi (fig. 3). Essa, come risulta già dal titolo, è formata da diverse ellissi, cinque piene e sette vuote, disposte verticalmente in quattro gruppi di tre e una piena disposta orizzontalmente a dividere in due piani simmetrici la struttura. La simmetria, tuttavia, non viene rispettata dall’alternanza di pieni e vuoti: in alto troviamo a sinistra due ellissi vuote e una piena e a destra una vuota, una piena e una vuota; quest’ultimo schema si ripete, poi, anche in basso a sinistra, mentre dall’altro lato vediamo un’ellissi piena, una vuota e una piena.

In questa opera non c’è un punto di vista privilegiato poiché i protagonisti sono il ritmo di luce e ombra e l’alternanza di pieni e vuoti che lo genera; osservandola da diverse prospettive, si ottengono giochi visivi sempre nuovi, dati anche dal fatto che non c’è un vero e proprio bilanciamento: in qualunque direzione venga letto lo schema, verticalmente, orizzontalmente o diagonalmente, si hanno tre pieni e tre vuoti da una parte e due pieni e quattro vuoti dall’altra. Il normale bilanciamento dell’opera avrebbe dovuto prevedere che, in alto a sinistra, ci fosse un ‘terzetto’ di un pieno, un vuoto e un pieno come nel gruppo posto in diagonale rispetto a esso e opposto agli altri due. In tal modo vi sarebbe stato un chiasmo perfetto, ma per Melotti “una composizione armonica è bilanciata, ma una composizione bilanciata non è detto che sia armonica” (Melotti, 1971: 101): questa scultura, dunque, trova la propria armonia contrapponendo al tema del chiasmo la variazione, il contrappunto.

La contrapposizione melottiana di pieni e vuoti rappresenta la figura geometrica nel suo esserci e nel suo azzeramento: questa emanazione di qualcosa di visibile e, allo stesso tempo, invisibile costituisce un processo che dall’interno si proietta all’esterno, cancellando la linea di confine tra reale e irreale (Ferrari, 2016: 125-126). Alla base di tutto ciò, come avviene nella ricerca artistica dell’amico e compagno di Accademia Lucio Fontana, sta il desiderio di superamento dei limiti posti dal supporto artistico dell’opera stessa. In Concetto spaziale. Attesa (fig. 4) il capofila dello Spazialismo porta alle estreme conseguenze l‘incisione del maestro Wildt (Whitfield, 2016: 128) forando violentemente l’idropittura bianca su tela e generando un processo dall’esterno all’interno che invita l’osservatore a concepire fluidità e continuità tra lo spazio al di qua e al di là della tela. Il vuoto così, in entrambi i casi, diventa sostanza e pienezza di senso (Ferrari, 2016: 127).

Fontana, però, nella sua produzione fa uso di un altro elemento: il monocromo. Esso, impiegato anche in alcune opere di Melotti come Scultura n. 16 (fig. 5) e Scultura n. 23, si diffonde nell’arte italiana soprattutto negli anni Sessanta e rappresenta una tabula rasa, una volontà di azzeramento, con il fine di far riflettere sull’arte stessa ma anche sulle condizioni dell’essere umano (Barbero, Pola, 2018: 68).

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Fig. 5 Fausto Melotti (Rovereto 1901-Milano1986), Scultura n. 16, 1935, gesso, cm 90 x 90, Collezione privata, Milano

 

In queste sculture, più che mai, l’astrattismo è un esercizio di sintassi compositiva di forme per calibrare luci e ombre: in Scultura n. 16 la superficie viene forata da forme cilindriche che poi si ripropongono in rilievo a costituire un’ellissi, doppia di quella incisa poco più a destra (Versari, 2007: 283). Addirittura queste opere sono meglio definibili come ‘pitture-oggetto’ perché avvicinabili a Superficie bianca (fig. 6) di Enrico Castellani e Bianco (fig. 7) di Agostino Bonalumi; esse rappresentano l’uscita dalla bidimensionalità della monocromia attraverso introflessioni ed estroflessioni che creano contrasti tra luce e ombre. La forma, inoltre, tende a staccarsi sempre più dalla parete e a diventare un bassorilievo (Barbero, Pola, 2018: 78-79). Un vero e proprio bassorilievo di Melotti, come indicato anche dal titolo stesso, è Bassorilievo lance (fig. 8). L’artista qui pone su una base quadrata, appesa alla parete, cinque fili di inox che fuoriescono dal perimetro e sostengono cerchi e triangoli insieme a un sesto filo, più breve, che invece regge un rettangolo pieno ma con sei fori: tre a forma di cerchio e tre di triangolo. Le cosiddette ‘lance’ sembrano le righe di un pentagramma e le figure geometriche, orientate in diverse direzioni, le note musicali. La prima, la terza e la quinta riga a partire da sinistra presentano combinazioni regolari: cerchio-cerchio, cerchio-triangolo, triangolo-triangolo. La seconda riga completerebbe questa serie con la combinazione triangolo-cerchio se non fosse che la distanza tra le due figure è ridotta dando luogo a una ‘variazione’; senza considerare, poi, la quarta riga che presenta solo un triangolo. Il rettangolo sul sesto filo sembra essere la matrice delle figure del ‘tema’ sebbene le dimensioni non coincidano: ciò crea con esse una contrapposizione di pieni e vuoti. Le ‘note’ della ‘variazione’, al contrario, non hanno nessuno stampo come a indicare la loro natura improvvisata: l’artista, come un musicista jazz (Celant, 1995: XVI), arricchisce il ritmo con nuovi elementi estemporanei che, però, come secondo le leggi del contrappunto, non devono rovinare le composizioni, bensì renderle più interessanti.

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Fig. 5 Enrico Castellani (Castelmassa 1930-Celleno 2017), Superficie bianca, 1968, acrilici e tecnica mista su tela, cm 265 x 532, Collezione privata, Courtesy Fondazione Marconi, Milano. Enrico Castellani by SIAE 2018.

Tra astrazione e figurazione

Durante la seconda guerra mondiale, Melotti abbandonò momentaneamente l’astrattismo puro per avvicinarsi alla figurazione. Nacquero i primi Teatrini, piccole costruzioni a forma di scatola dove i soggetti sono personificazioni che ricordano figure della Metafisica9. L’artista, comunque, affermò di non aver abbandonato l’idea rigorosa di contrappunto ma di aver voluto creare qualcosa di più figurativo (Celant, 1995: XIV) e ciò è confermato da come queste strutture rispettassero la proporzione aurea e dal fatto che chiamasse i Teatrini Lieder, ossia musica da camera tedesca tra le più intime (Poli, 2017: 24).

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Fig. 9 Fausto Melotti (Rovereto 1901-Milano1986), Metrò natalizio, 1965, ottone, cm 82 x 53 x 32, Collezione privata, Courtesy Repetto Gallery. Foto Daniele De Lonti.

Negli anni Sessanta Melotti, pur recuperando l’astrazione, continuò a costruire opere come ne fosse il regista occupandosi sempre anche dei rapporti tra ombre e luci. Queste tracce di figurazione sono evidenti in Metrò natalizio (fig. 9) che sembra la ‘smaterializzazione’ di un Teatrino. L’opera si presenta come un parallelepipedo sostenuto da asticelle che sembrano delimitare in maniera imprecisa il perimetro, raccordare delle parti interne più piccole e rialzare tutta la struttura.  Il lato destro è quasi totalmente chiuso da una lastra di ottone con tre fori ovali allineati in alto e attraversati da catenelle. Al contrario, il lato sinistro è in gran parte vuoto poiché attraversato solo da una stretta fascia orizzontale; la ‘parete di fondo’ della scultura presenta solo una lunga e piatta fascia metallica verticale a cui ne corrisponde un’altra, lievemente spostata, nel lato opposto. In basso la superficie è discontinua e distribuita in due livelli, quello destro più basso e orizzontale, quello sinistro più alto e inclinato nel quale si impiantano altri rigidi fili di ottone che culminano con sfere variamente decorate. In mezzo a queste due lastre di base si trova un’altra struttura di modeste dimensioni che presenta un foro dal quale si vede un’asticella dall’estremità sferica decorata come le precedenti. In alto, infine, non c’è alcuna superficie ma si può vedere un piccolo elemento d’ottone dal perimetro irregolare e da cui partono dei fili allungati ascendenti e delle catenelle che vanno a poggiarsi nella parte alta del perimetro della parete frontale. Con ogni probabilità qui Melotti ha voluto rappresentare ciò che aveva scritto nei ‘foglietti’:

Il metrò a Natale
Fischia come una cometa
Sulle scale il freddo la nebbia la neve
Si danno gli spintoni (Melotti, 1981: 45).

La struttura sembra essere il metrò (con i finestrini in alto a destra), l’elemento in alto la cometa, la piccola struttura centrale la locomotiva con il conducente e le figurine filiformi a lato, di ricordo giacomettiano, dovrebbero essere i passeggeri. Il tema del metrò rimanda alla tecnologia, al dinamismo e, di conseguenza, al rapporto che Melotti aveva con il Futurismo10: sono da osservare le catenelle che, in relazione al moto, possono generare rumore e, quindi, dare vita a una sinestesia, elemento che contribuisce alla resa maggiormente diafana di un’opera; tale processo si accentuerà dagli anni Settanta in poi.

Le effimere di Celle

Dal 1969 in poi Melotti non cercò più la perfezione geometrica precedente ma curò maggiormente l’aspetto fiabesco delle sue opere tentando di alleggerirle sempre di più, realizzando come degli ‘scheletri’ evanescenti e mobili. Uno dei migliori esempi per spiegare questo passaggio è la scultura Tema e variazioni II (fig. 10) del 198111. Questo complesso orchestrale formato da elementi diversi, ciascuno con il proprio ritmo singolare, dà un senso di trasparenza, instabilità e spiritualità, soprattutto nella sua nuova collocazione a Celle. Lo stesso Italo Calvino, amico di Fausto Melotti e da lui influenzato per le sue Città invisibili (Modena, 2004: 217-242), descrivendo queste strutture in Le effimere della fortezza, scrisse:

Noi guizziamo nel vuoto così come la scrittura sul foglio bianco e le note del flauto nel silenzio. Senza di noi, non resta che il vuoto onnipotente e onnipresente, così pesante che schiaccia il mondo, il vuoto il cui potere annientatore si riveste in fortezze compatte, il vuoto-pieno che può essere dissolto solo da ciò che è leggero e rapido e sottile (Fiz, 2000: 102-103).

In queste ‘effimere’, dunque, l’immaterialità è data non solo dalla loro stessa struttura sintetica, ma anche dal rapporto mimetico che instaurano con la natura (Celant, 1995: XXI); proprio come in Metrò natalizio il movimento di alcuni elementi mobili genera sinestesie, ma qui c’è una novità: a innescare i suoni è il vento che diventa così protagonista dell’opera12.

Conclusione

La grande diversità delle opere di Melotti può essere fraintesa come incertezza o aderenza da parte dell’artista a diversi movimenti (D’Aurizio, 2015: 119) ma, in verità, è proprio il contrario. Come disse il poeta Giovanni Raboni in proposito, questa era solo “una forma di grande coerenza con le richieste della propria interiorità” (Commellato, 2000: 16). Dalle sculture di carattere più geometrico e astratto a quelle più figurative, lo scopo è sempre quello dell’occupazione armonica dello spazio e il mezzo, insieme alla scultura, è la musica che si trova in varie forme: come ritmo con le contrapposizioni tra pieni e vuoti, presenze e assenze, luci e ombre; come silenzio nei monocromi; come intimo Lied nei Teatrini; come soave melodia (di origine più o meno naturale) nelle strutture con elementi mobili. Questo continuo rinvio delle opere di Melotti alla musica, considerando la sua concezione di unitarietà delle varie arti, è in fondo un riferirsi dell’arte a se stessa (Ciccuto, 1998: 117): estende il modulo architettonico anche a tutte le altre forme d’arte, porta la sinestesia delle sue poesie nelle sue sculture metalliche, mantiene la stessa attitudine registica dei Teatrini anche nelle opere astratte.

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Fig. 10 Fausto Melotti (Rovereto 1901-Milano1986), Tema e variazioni II, 1981, inox e rame, cm 600 x 150 (ciascuna), Collezione Giuliano Gori, Fattoria Celle, Santomato

 

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Note


1 Autore di KN, testo definito da Kandinskij il “Vangelo dell’arte astratta”.
2 Questa era considerata da Melotti un modello fondamentale anche per l’importanza che l’archeologia aveva assunto a Rovereto in quegli anni grazie a personalità come Paolo Orsi e Federico Halbherr.
3 Da non confondere con l’arte informale, poiché Melotti non giunge mai a rappresentazioni irrazionali, inconsce e incontrollate come quelle di Emilio Vedova e Leoncillo, ma solamente antiformali (Celant, 1995: XVIII).
4 Un caso simile è quello di Osvaldo Licini secondo cui “la geometria può diventare sentimento, poesia più interessante di quella espressa dalla faccia dell’uomo, quadri che non rappresentino nulla ma che a guardarli procurino un vero riposo per lo spirito” (Scappini, 2010: 249).
5 “ricordi di fiabe lontane, di sogni; la nostra fanciullezza ci segue sempre, inutile volerla ignorare; ci segue con il ricordo dei nostri paesi, delle nostre vecchie case, dei nostri fiumi e prati” (Bacile, 1975: 56).
6 Concezione data dall’influenza del design Bauhaus e del pensiero morrisiano che contemplava l’integrazione fra le arti nella società.
7 La fillotassi è una branca della botanica che studia l’ordine con cui le varie entità botaniche vengono distribuite nello spazio, conferendo una struttura geometrica alle piante.
8 Spiritualità che, però, in Melotti poteva arrivare ad assumere delle sfumature religiose per la sua cultura cattolica e, soprattutto, per l’influenza che la dottrina di Antonio Rosmini (Fontana, 2005: 9), filosofo e teologo di Rovereto, ebbe sulla formazione della sua poetica attraverso il perseguimento dell’equilibrio tra ragione e religione. La risposta che ha dato artisticamente l’artista alla ricerca rosminiana è che “nello sviluppo inconsapevole, ovverossia nello sviluppo controllato e per altro verso incontrollabile, di tutta un’opera, la prima linea tracciata già ne tiene e manifesta il canone” (Melotti, 1981: 48): solo con il contrappunto si ottiene l’equilibrio, o meglio l’armonia.
9 E’ da notare, però, che mentre le figure dechirichiane si chiudevano in se stesse dando spazio al silenzio, Melotti racconta il silenzio concentrandosi nell’intimità della propria vita quotidiana individuale (Celant, 1995: XIV).
10 È chiara l’influenza della Ricostruzione futurista dell’Universo mediata dal contatto con Fortunato Depero negli anni in cui quest’ultimo si trovava a Rovereto (Celant, 1995: VII).
11 La scultura venne realizzata come riproduzione dell’omonima e più piccola opera del 1969 in occasione della mostra retrospettiva di Melotti al Forte Belvedere di Firenze; alla conclusione dell’evento Fausto Melotti e Giuliano Gori, proprietario della villa e della collezione di Celle a Santomato (Pistoia), decisero di sistemarla in uno specchio d’acqua enfatizzando così la leggerezza e la diafanità della struttura che adesso sembra levitare e vibrare.
12 Si può parlare allora di cinetismo naturale in opposizione a quello meccanico di Moholy Nagy e del Futurismo.

The Florence Experiment: i primi risultati

Ad oggi oltre 40.000 persone hanno vissuto l’esperienza The Florence Experiment, il nuovo progetto site specific del celebre artista tedesco Carsten Höller e del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, a cura di Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi: un grande esperimento, ospitato a Palazzo Strozzi fino al 26 agosto, che unisce arte e scienza studiando l’interazione tra piante ed esseri umani. Dopo tre mesi di analisi, ricerche e raccolta dati su migliaia di piante di fagiolo, il Professor Mancuso e il suo staff di scienziati, hanno condiviso i risultati preliminari dell’esperimento. The Florence Experiment prevede la partecipazione diretta del pubblico attraverso due monumentali scivoli che permettono ai visitatori di scendere 20 metri di altezza dal loggiato del secondo piano al cortile e uno speciale spazio laboratoriale nella Strozzina, collegato alla facciata del Palazzo.

I risultati rivelano 3 importanti fattori che sono emersi dall’interazione tra Uomo e Piante.

Fotosintesi

La fotosintesi di tutte le piante di fagiolo è stato influenzato dalla discesa dallo scivolo:
– Tutte le piante di fagiolo che hanno effettuato la discesa dallo scivolo, con o senza la presenza dell’uomo, presentano un livello fotosintetico alterato rispetto alle piante cosiddette “di controllo” ovvero quegli esemplari che sono stati lasciati in laboratorio in un ambiente e in condizioni ottimali per la loro crescita.
– Le piante di fagiolo che hanno effettuato la discesa dallo scivolo con la presenza dell’uomo presentano la più bassa fotosintesi rispetto a quelle che hanno fatto l’esperienza in solitaria.

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Da sinistra: Stefano Mancuso, Arturo Galansino, Carsten Höller. Foto di Alessandro Moggi

Emissione di composti volatili

Durante l’esperimento è stata registrata la produzione di composti volatili da parte delle piante di fagiolo, la cui concentrazione dipende ancora una volta, dal tipo di esperienza effettuata. In piante che hanno effettuato la discesa dallo scivolo in assenza dell’uomo si è accertato un aumento significativo dell’emissione di alcuni composti volatili rispetto agli esemplari che hanno effettuato la discesa con la presenza dell’uomo. In quest’ultimi, al contrario, si è misurata una notevole riduzione della concentrazione degli stessi composti.

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Foto di Alessandro Moggi

Gioia o paura: i glicini sulla facciata di palazzo strozzi

È interessante rilevare che ognuna delle 8 piante di glicine posizionate sulla facciata di Palazzo Strozzi, la cui crescita è influenzata dalla paura o dalla gioia dei visitatori presenti nelle due speciali sale cinematografiche allestite negli spazi della Strozzina, ha effettuato una “scelta”. La direzione dominante del glicine è stata quella della gioia che è stata scelta da 5 piante mentre le rimanenti 3 hanno scelto la direzione della paura.

“In conclusione” ha affermato Mancuso: “Sembra confermato l’effetto che la presenza dell’uomo ha sulle piante…la riduzione della fotosintesi e dell’emissione di composti volatili in presenza dell’uomo sono statisticamente significative e denotano il fatto che le piante ci percepiscano.” “Siamo soddisfatti dello straordinario successo di questa prima “mostra-esperimento” afferma Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore del progetto “I risultati paiono confermare l’interazione tra uomini e piante, proprio nella direzione del messaggio ecologico di comunione tra mondo umano e mondo vegetale che The Florence Experiment voleva portare”.

Per partecipare all’esperimento è possibile fare il biglietto anche online.