Jeff Koons: Italy you can do this!

blank

“Italy, you can do this”, Italia ce la puoi fare: con queste parole di incoraggiamento si conclude l’esclusivo video messaggio di Jeff Koons nell’ambito del progetto IN CONTATTO. Protagonista della mostra in programma a Palazzo Strozzi nell’autunno 2020, l’artista americano sottolinea la gravità dell’emergenza legata al Coronavirus ma esorta alla fiducia, rimarcando la forza del popolo italiano e lo straordinario valore del contributo culturale dell’Italia al mondo come strumenti per poter affrontare questa crisi e porsi come guida di una nuova “strada per il futuro”.

L’Italia sta attraversando un momento davvero difficile, ma voi italiani avete una forza straordinaria. Siete in grado di affrontare il coronavirus e alla fine sarete in grado di sconfiggerlo. L’Italia è un paese straordinario. Come popolo avete affrontato tanti momenti difficili e sconfiggerete il virus. Culturalmente, tutto il mondo è davvero grato per tutto ciò che ci avete dato. Palazzo Strozzi e tutte le altre meravigliose istituzioni italiane saranno in grado di dare all’umanità una luce, una direzione in cui saremo in grado di trovare la nostra strada per il futuro.
Quindi, grazie Italia per tutto il vostro contributo culturale.
Palazzo Strozzi, grazie. Italia puoi farcela!

In programma a Palazzo Strozzi per l’autunno 2020 è Jeff Koons. Shine, una grande mostra dedicata all’artista americano, la sua più importante mai realizzata in Italia. Sviluppata in rapporto diretto con Koons e a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro, l’esposizione accoglierà a Firenze alcune tra le sue opere più celebri, che dalla fine degli anni Settanta lo hanno imposto come una delle figure più importanti dell’arte globale, interprete per eccellenza delle contraddizioni e delle ambiguità del mondo contemporaneo.

width=

Jeff Koons, Rabbit, 1986, Collection Museum of Contemporary Art Chicago
Photo by Nathan Keay, © MCA Chicago, © Jeff Koons

Autore di opere che sono entrate nell’immaginario collettivo grazie alla loro capacità unica di unire cultura alta e popolare, dai colti riferimenti alla storia dell’arte alle citazioni del mondo della pubblicità e del consumismo, Jeff Koons trova nell’idea di “lucentezza” (shine) una delle principali caratteristiche della sua arte. Questo concetto va oltre una mera idea di decorazione o abbellimento e diviene la materia stessa dell’arte di Koons, unendo insieme splendore e bagliore, preziosità e banalità, essere e apparire: un gioco di ambiguità che caratterizza il lavoro di Koons nel mettere in discussione il nostro rapporto con la realtà quotidiana e il concetto stesso di opera d’arte.

Il cielo in una stanza

blank

di Ludovica Sebregondi

Se in questo periodo la casa può venir percepita come luogo in cui emergenze contingenti ci costringono a restare, la reclusione può invece essere anche scelta di vita. Lo è stata per secoli, basti pensare ai romiti che si chiudevano in spazi angusti, o che addirittura vi si facevano murare, o a monaci e frati che nella superficie limitata delle celle ricercavano e trovavano un ambiente per meditare e pregare. Di questi spazi gli artisti del passato e di oggi hanno dato riletture e interpretazioni, spesso riconducendole a nitide “scatole prospettiche”, in cui l’individualità umana è esaltata in una riflessione meditativa.

width=

Andrea di Bartolo, Caterina da Siena fra beate domenicane (dettaglio), 1394-1398 circa, Museo Vetrario di Murano.

Andrea di Bartolo (Siena, documentato 1389-1429), ad esempio, nella predella della tavola con Caterina da Siena fra beate domenicane, del 1394-1398 circa, conservato al Museo Vetrario di Murano, raffigura le religiose in quattro scene di vita all’interno delle celle in cui, come ha scritto Salvatore Settis, la narrazione dà alla solitudine «un significato e uno spessore che doveva indurre il devoto spettatore a identificarsi con quel visibile esempio di pietà», attraverso un «intenso rapporto col divino che impregna di sé la narrazione».

La tavola è stata esposta a Palazzo Strozzi alla mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico nel 2017, dove le opere del videoartista erano presentate in dialogo con quelle del passato che erano state per lui fonte di ispirazione, segnando l’evoluzione del suo linguaggio.

width=

Bill Viola, Catherine’s Room, 2001. Courtesy Bill Viola Studio.

La tavola di Andrea di Bartolo ha ispirato il polittico video Catherine’s Room (2001). Cinque video a colori, disposti orizzontalmente proprio come gli scomparti della predella, mostrano la stanza di una donna che – sempre in solitudine – si dedica a rituali quotidiani nell’arco della giornata. Ogni schermo mostra un momento diverso: mattina, pomeriggio, tramonto, sera e notte. Nella parete della stanza si apre una piccola finestra da cui si intravedono i rami di un albero che, in ogni schermo, è mostrato nelle diverse fasi del ciclo annuale, dalla fioritura primaverile alla completa caduta delle foglie. I video seguono dunque non solo un giorno, attraverso il mutare della luce, ma anche il corso dell’anno attraverso le diverse fasi vegetative e – ancora – quello della vita umana, dal risveglio a indicare la nascita, fino alla morte rappresentata dal sonno.

Riflette ancora Settis: «Nell’installazione di Bill Viola, Catherine non è la santa di quel nome, questa predella non accompagna né presuppone un’icona di culto: ma il racconto delle azioni di una donna, colta nell’intimità di una vita solitaria, comporta un certo grado di sacralizzazione del quotidiano, come suggerisce il riferimento implicito, ma forte, al formato della predella e alla tradizione religiosa e narrativa che esso implica. La fluida gestualità della protagonista viene così trasposta su un piano quasi rituale, e perciò attrae la nostra attenzione sulla sua individualità. L’io di Catherine viene espressivamente additato attraverso il linguaggio del suo corpo, presenza solitaria entro uno spazio costruito come una scena teatrale: sempre uguale, sempre diverso a seconda di come è arredato. Sola con se stessa, come lo è ognuno di noi osservatori, Catherine proprio per questo merita il nostro sguardo. La sua solitudine ci somiglia, la sua stanza è la nostra».

width=

Marina Abramović, The House with the Ocean View, 2002-2018
New York, Abramović LLC, Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/072. Credit: Ph. Attilio Maranzano

Quella solitudine è stata cercata e voluta anche da Marina Abramović in House with Ocean View del 2002, una performance che l’artista stessa dice essere nata «dal mio desiderio di capire se è possibile usare una semplice routine quotidiana, con regole e restrizioni, per purificare me stessa».  In tre interni sospesi l’artista ha vissuto per dodici giorni, senza mangiare né parlare, davanti al pubblico della Sean Kelly Gallery di New York. Scrive Marina in Attraversare i muri: «Era passato poco tempo dall’11 settembre: la gente era in uno stato d’animo ricettivo, e arrivarono folle di spettatori che rimasero a lungo seduti per terra, a osservare e riflettere sull’esperienza in cui erano immersi. I visitatori e io avvertivamo intensamente la presenza gli uni dell’altra. Nella stanza c’era un’energia condivisa, e il pesante silenzio era rotto solo dal ticchettio del metronomo che tenevo sul tavolo […] facevo ogni cosa – stare seduta, stare in piedi, bere, riempire il bicchiere, fare pipì, farmi la doccia – con una lentezza e una consapevolezza prossime alla trance».

width=

A sinistra: Andrea di Bartolo, Caterina da Siena fra beate domenicane (dettaglio), 1394-1398 circa.
Al centro: Bill Viola, Catherine’s Room (dettaglio), 2001.
A destra: Marina Abramović, The House with the Ocean View, reperformance Tiina Pauliina Lehtimaki, 4-16 dicembre 2018 Palazzo Strozzi.

La reperformance di The House with the Ocean View è stata proposta per la prima volta in Italia dalla performer Tiina Pauliina Lehtimaki dal 4 al 16 dicembre 2018 a Palazzo Strozzi. Tiina, come Marina nel 2002, ha vissuto in silenzio per dodici giorni all’interno di tre piccole stanze sospese all’interno della mostra Marina Abramović. The Cleaner. Ciascuna di queste stanze sembra rimandare alle “scatole prospettiche” della predella di Andrea di Bartolo, ma anche alle scene di Catherine’s Room di Bill Viola. La “purificazione”, lo sforzo di isolamento e la pratica ascetica messe in atto sembrano creare un rimando diretto tra le tre opere. Da tutte emerge la volontà di sacralizzare la quotidianità e ripensare, dando un nuovo valore, alle nostre azioni, anche le più banali: una riflessione sulla forza di volontà e sulla possibilità di restituire significato alle nostre vite in una nuova prospettiva.

Marina Abramović: il mio cuore è con voi

blank

Italia, ti amo. Il mio cuore è con voi”: con queste parole Marina Abramović saluta tutti gli italiani in un video esclusivo per Palazzo Strozzi, inviato come personale contribuito al progetto IN CONTATTO. L’artista serba si unisce a Ai Weiwei e Tomás Saraceno inviando un messaggio di solidarietà e incoraggiamento sottolineando come gli italiani stiano dimostrando “grande coraggio e un profondo senso di comunità e umanità” e che la crisi globale del COVID-19 rappresenti un’emergenza ormai globale che ci deve servire come occasione di ripensamento del nostro rapporto con il pianeta: “la coscienza umana deve cambiare, il nostro approccio al mondo e al pianeta deve cambiare”.

Questo è il mio messaggio per l’Italia e per gli italiani, che io amo profondamente. Sappiamo che questo è un momento di crisi e che il virus ormai è ovunque. Ma allo stesso tempo dobbiamo imparare una lezione da questi disastri. Gli italiani stanno dimostrando grande coraggio, un profondo senso di comunità e umanità. Dobbiamo combattere insieme. È qualcosa che passerà e ciò che rimarrà sarà un’esperienza davvero importante: la coscienza umana deve cambiare, il nostro approccio al mondo e al pianeta deve cambiare. Questa è la lezione che dobbiamo imparare. Italia, ti amo. Il mio cuore è con voi.

Marina Abramović rappresenta una delle personalità più celebri e influenti dell’arte contemporanea globale. Con le sue opere, in oltre 50 anni di carriera, ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione. La mostra Marina Abramović . The Cleaner del 2018 ha rappresentato un momento unico nella storia recente di Palazzo Strozzi per la sua capacità di coinvolgimento delle persone e per riflettere su concetti come vulnerabilità, empatia e fiducia, che oggi risuonano con forza e assumono un nuovo valore di ispirazione e riflessione.

width=

Foto Alessandro Moggi

Vedi anche

Siamo tutti sulla stessa barca

blank

di Riccardo Lami e Ludovica Sebregondi

“Siamo tutti sulla stessa barca” affermava Marina Abramović sul manifesto da lei creato nel 2018 e affisso sulla facciata di Palazzo Strozzi in occasione della mostra Marina Abramovic. The Cleaner, riflettendo sul fatto che «siamo tutti sullo stesso pianeta: chi ama il mare ama la terra e chi ama la terra ama il nostro futuro». Nel 2020 questo slogan, nato in una prospettiva ambientalista, sta acquistando un significato più ampio: un messaggio di speranza e fiducia reciproca insieme alla riflessione sulla necessità di fare fronte comune in un periodo tanto difficile. In queste settimane sono state innumerevoli le citazioni che ne sono state fatte, sui social media in primo luogo. A Firenze, su un muro del popolare mercato di Sant’Ambrogio è addirittura apparso un manifesto, firmato con un’esplicita dichiarazione di derivazione, “D’après Marina Abramović”.

width= width=

A sinistra: Marina Abramović, We’re All in the Same Boat, manifesto per Barcolana 50, 2018.
A destra: Michela Carlotta Tumiati, Lima, 2020.

Riflettendo sulla propria vita, Marina ha da sempre portato alla ribalta temi cruciali della condizione umana, riuscendo a comunicare come nessun altro artista col presente, interpretandone le contraddizioni e le urgenze. Alla fiducia nella comunità, ad aprirsi agli altri, Marina è arrivata partendo dalle prime performance nelle quali metteva alla prova la propria capacità di resistenza individuale e passando attraverso le performance insieme a Ulay. E tra queste oggi ci appare con grande forza e attualità contemporanea Rest Energy (1980), una prova estrema di fiducia, in cui per quattro minuti e venti secondi la vita di Marina era nelle mani di Ulay, creando un’indimenticabile immagine di tensione, metafora del nostro rapporto con l’altro.

«Io reggevo un grosso arco e Ulay ne tendeva la corda, reggendo tra le dita la base di una freccia puntata contro il mio petto. Eravamo entrambi in uno stato di tensione costante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto. Nel frattempo, al nostro petto era attaccato un piccolo microfono, di modo che il pubblico sentisse il battito amplificato dei nostri cuori. E questi battevano sempre più veloci» (da Attraversare i muri, trad. it. 2016).

width=

Ulay/Marina Abramović, Rest Energy, 1980, Amsterdam, LIMA Foundation.
Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA, MAC/2017/034

Col tempo il flusso di energia, lo scambio profondo che in precedenza si creava tra lei e Ulay ha incluso sempre più persone alla ricerca di una «completa vulnerabilità e apertura nei confronti del pubblico». Manifesto ne è The Artist is Present tenutasi al MoMA di New York nel 2010 in cui di fronte all’artista serba, immobile e in silenzio, si sono alternate 1675 persone che erano invitate a sedersi di fronte a lei e a fissarla per tutto il tempo che volevano. In quell’occasione Marina ha percepito l’«enorme bisogno delle persone di avere anche solo un contatto». E nel marzo 2020 le sue parole che riflettono sul rapporto con l’altro risuonano come non mai.

«Verso la fine di The Artist is Present provavo una stanchezza mentale e fisica mai sentita. Inoltre, il mio punto di vista, tutto quello che prima mi era sembrato importante – la vita quotidiana, le cose che mi piacevano e quelle che non mi piacevano – erano cambiati completamente». Come in tutto il suo percorso artistico, Marina riflette sulla privazione per rivalutare l’essenziale. L’isolamento, il silenzio, il venire meno di un rapporto diretto con l’altro ci fanno capire l’importanza di restare in contatto e di dare valore allo sguardo e alla presenza di chi ci sta davanti.

width=

Marina Abramović, The Artist is Present, 2010, New York, Abramović LLC.
Photo Marco Anelli. Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/071

«Siamo così alienati gli uni dagli altri? In che modo la società ci ha resi così distanti? Ci mandiamo sms senza mai incontrarci, anche se viviamo a due passi. Ecco come nasce la solitudine delle persone. Non c’è stato un secondo in cui questa sedia è rimasta vuota. I visitatori in fila dormivano fuori dal museo, aspettando per ore e ore, anche per tornare ancora. Cosa stava succedendo? Io ti guardo, ti sento, vieni fotografato e tutti gli altri ti guardano, ti scrutano e tu non sai dove guardare, se non dentro di te. E nel momento in cui sei davvero dentro te stesso, in quel preciso momento tutte le tue emozioni e le tue sensazioni affiorano e ti travolgono. Ecco perché le persone iniziano a piangere: è un’esperienza totalizzante. Ciò non avviene nell’intimo delle nostre case, perché non siamo più in contatto con noi stessi. Ma sul palco che ho creato appositamente, è successo davvero qualcosa, qualcosa di diverso, che non avevo mai fatto prima». (Marina Abramović)

Tomás Saraceno: Per un suono lento dell’aria

blank

Protagonista della mostra inaugurata a Palazzo Strozzi il 22 febbraio 2020, Tomás Saraceno partecipa al progetto IN CONTATTO con uno speciale videomessaggio esclusivo: la descrizione di una delle sue opere, Particular Matter(s) Jam Session, che diviene un invito a riflettere in modo nuovo su concetti come condivisione, consapevolezza e solidarietà.

“Il nostro movimento influenza la velocità con cui le particelle si muovono nell’aria. Riduciamo i nostri spostamenti per rallentare lo spostamento delle particelle e aiutare tutti a stare più al sicuro. In solidarietà di Palazzo Strozzi, l’Italia e il Mondo, muoviamoci in modo diverso per un futuro migliore” (Tomás Saraceno)

 

Ciao, sono Tomás Saraceno e vi voglio parlare di una delle opere esposte a Palazzo Strozzi.
Quest’opera si basa su un fascio di luce che illumina ciò che fluttua nell’aria. Ci sono milioni e milioni di particelle che si muovono e il loro movimento è influenzato da come ci muoviamo.
Se, per esempio, parlo molto vicino… o se muovo alcune particelle del mio maglione… potete vedere molte più particelle rilasciate nell’aria. Se invece parlo un po’ più distante queste particelle iniziano a muoversi più lentamente. Quello che ascoltereste a Palazzo Strozzi, quello che ascoltate adesso in questo video, è il suono che queste particelle producono quando si muovono. Ogni volta che mi muovo più velocemente sentirete il suono con frequenza maggiore. È questo “bip bip bip”… Se ci muoviamo più lentamente le particelle producono un suono diverso. Questo è un modo per sonorizzare il modo in cui ci muoviamo sulla Terra o il movimento delle particelle nell’aria. Questo significa che se in questo momento dobbiamo muoverci più lentamente, il suono sarebbe diverso e le particelle si muoverebbero più lentamente. Questo significa solidarietà per tutte le persone in Italia, in Europa e nel mondo. Speriamo di diventare consapevoli delle nostre azioni, di come l’aria si muove oggi e di quanto il nostro movimento possa influenzare le cose, e anche di come possiamo limitare il movimento di alcune delle particelle che oggi sono diventate così dannose per molte persone sul pianeta Terra.

width=

Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Artista visionario e poliedrico, la cui ricerca creativa unisce arte, scienze naturali e sociali, Tomás Saraceno (Argentina, 1973) invita a cambiare punto di vista sulla realtà e a entrare in connessione con elementi non umani come polvere, ragni o piante che diventano protagonisti delle sue installazioni e metafore del cosmo. In un percorso di opere immersive ed esperienze partecipative tra il cortile e il Piano Nobile, la mostra Tomás Saraceno. Aria esalta il contesto storico e simbolico di Palazzo Strozzi e di Firenze attraverso un profondo e originale dialogo tra Rinascimento e contemporaneità: dall’uomo al centro del mondo, all’uomo come parte di un universo in cui ricercare una nuova armonia.

Utopia e libertà: tra Italo Calvino e Tomás Saraceno

blank

di Arturo Galansino e Ludovica Sebregondi

«Ho amato Il barone rampante, la storia di un ragazzino che vive sugli alberi e non vuole più scendere sulla terraferma: un inno all’assenza di gravità, in un certo senso. Il concetto di leggerezza, nel mio lavoro, è strettamente connesso a quello di sospensione a mezz’aria» – Tomás Saraceno

È continuo e profondo il legame di Tomás Saraceno con lo scrittore Italo Calvino (1923-1985), autore che ha conosciuto fin da giovanissimo, quando con la famiglia abitava in Italia. Immagini, suggestioni e ispirazioni dal grande scrittore italiano sono rintracciabili in molte opere dell’artista argentino, già a partire da un collegamento immediato nel titolo del primo romanzo di Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), un riferimento diretto agli aracnidi tanto cari a Saraceno.

width=

Tomás Saraceno, Particular Matter(s) (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Saraceno e Calvino ci propongono visioni utopiche della realtà alla ricerca di una nuova libertà di pensiero e azione, un invito a ripensare in maniera poetica e collettiva il modo in cui abitiamo il mondo. «Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore» scrive Calvino nelle sue Lezioni americane (1988), un compendio dei valori che la letteratura deve avere nel nuovo millennio che era alle porte. Le ricerche di Saraceno procedono nella stessa direzione di leggerezza, utopia e determinata speranza. Proprio rileggendo il celebre saggio di Calvino si rintraccia un passaggio che sembra un compendio delle opere di Saraceno: «La poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, così come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo. Questa polverizzazione della realtà s’estende anche agli aspetti visibili, ed è là che eccelle la qualità poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie tutte simili e tutte diverse che l’onda mollemente spinge sulla bibula harena, sulla sabbia che s’imbeve (II, 374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo mentre camminiamo (III, 381-390)».

width=

Tomás Saraceno, Particular Matter(s) (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Le utopiche strutture architettoniche che caratterizzano il mondo di Saraceno ricordano Ottavia, la «città-ragnatela» delle Città invisibili (1972), «una città che, come tutte le città invisibili, è un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili». Ottavia è creata su «un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo».

width=

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Ottavia è evocata dalla forma di alcune delle opere più celebri di Saraceno come l’installazione Webs of At-Tent(s)ion, emozionanti agglomerati di ragnatele prodotte da ragni di specie diverse, talvolta dense e coese, altre volte espanse e dilatate. I calviniani «vasi con piante dal fogliame pendulo» si ritrovano invece nelle biosfere in vetro da cui scendono le tillandsie di Flying Gardens. Queste piante, che sembrano sfidare la gravità, sono estremamente adattabili: sono infatti capaci di assorbire l’acqua e i nutrimenti dall’umidità atmosferica e si aggrappano ad altri tronchi o strutture, senza mai danneggiarle. Un esempio perfetto di resilienza e di convivenza.

width=

Tomás Saraceno, Flying Gardens, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Ciascuno dei nove diversi ambienti che costituiscono la mostra di Palazzo Strozzi Tomás Saraceno. Aria è associata a una delle Arachnomancy Cards, suggestive e misteriose carte pensate dall’artista argentino come tarocchi legati alle figure del ragno e della ragnatela, che diventano metafore dei legami tra tutto ciò che esiste in natura, capaci di indicarci i nostri destini incrociati. Per la loro creazione Saraceno si ispira alla pratica del nggám in uso presso il popolo Mambila del Camerun, che utilizza ragni e ragnatele come simboli e strumenti di divinazione. Allo stesso tempo Saraceno sembra far riferimento a Il castello dei destini incrociati (1973) per cui Calvino, nella sua creazione, si è «applicato soprattutto a guardare i tarocchi con attenzione, con l’occhio di chi non sa cosa siano, e a trarne suggestioni e associazioni, a interpretarli secondo un’iconologia immaginaria». Le carte, infatti, non devono servire solo per «interrogare l’avvenire», ma possono aiutarci a tracciare il nostro passato e a spiegare chi siamo, come fanno i protagonisti del romanzo utilizzando gli Arcani maggiori.

width=

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2019 (dettaglio). 58° Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, Venezia, Italia. Courtesy the artist. © Studio Tomás Saraceno, 2019.

Un suggestivo collegamento tra Saraceno e Calvino appare anche nel caso di Museo Aero Solar, progetto collettivo dell’artista argentino che propone a diverse comunità del mondo di raccogliere e trasformare sacchetti di plastica in una mongolfiera che galleggia nell’aria, libera da combustibili fossili. Il progetto richiama la pagina conclusiva del Barone rampante (1957). Il romanzo narra la surreale storia di Cosimo Piovasco di Rondò, il quale decide di vivere la sua vita sugli alberi per staccarsi dalle regole imposte. Crea così un nuovo modo di vivere, in armonia con le sue inclinazioni e la natura, senza compromessi né ripensamenti. Non accetta di scendere a terra neppure in punto di morte e quando vede una mongolfiera «nel momento in cui la fune dell’ancora gli passò vicino, spiccò un balzo […] s’aggrappò alla corda, con i piedi sull’ancora e il corpo raggomitolato, e così lo vedemmo volar via, trascinato nel vento, frenando appena la corsa del pallone, e sparire verso il mare».

width=

Museo Aero Solar, (2007‐in corso), Prato, Italia, 2009, con Alberto Pesavento, Tomás Saraceno, Janis Elko, Till Hergenhahn, Giovanni Giaretta, Marco, Alessandro, Manuel Scano, Michela Sacchetto, and Matteo Mascheroni. Courtesy Museo Aero Solar and Aerocene Foundation. Photography by Janis Elko. Licensed under CC BY‐SA 4.0.

Un manifesto per il futuro: Thermodynamic Constellation

blank

di Arturo Galansino

Nonostante la mostra Tomás Saraceno. Aria sia chiusa da giorni, è ancora aperto il cortile di Palazzo Strozzi, un luogo che negli anni è diventato uno spazio pubblico, una vera e propria piazza del centro di Firenze. Qui si trova la grande installazione che Tomás Saraceno ha realizzato appositamente per Palazzo Strozzi: Thermodynamic Constellation.

 

width=

Tomás Saraceno, Thermodynamic Constellation, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

 

Un manifesto per il futuro, questo è Thermodynamic Constellation. E oggi forse lo è ancora di più per chi ancora la scorge attraversando il cortile, passando vicino ai portoni di Palazzo Strozzi, oppure ne è coinvolto attraverso le innumerevoli immagini che sono state condivise sui social media. Le sfere che compongono l’installazione, legate tra loro in tensione reciproca, sono prototipi di reali palloni aerosolari in grado di fluttuare nell’atmosfera senza utilizzo di combustibili fossili. La parte superiore a specchio riflette le radiazioni solari, impedendo il surriscaldamento durante le ore diurne di volo, mentre la parte inferiore trasparente contribuisce a mantenere la temperatura all’interno dell’involucro durante il volo notturno, assorbendo il calore del pianeta che fornisce la spinta aerostatica. Alla base dell’opera non vi è solamente una ricerca artistica, ma anche uno studio scientifico dei materiali e delle leggi della fisica che dovrebbero governare questa sorta di danza delle sfere nell’aria. Tomás Saraceno, infatti, tra il 2014 e il 2015 è stato artista in residenza al Centre National d’Études Spatiales (Centro Nazionale di Studi Spaziali – CNES) in Francia, dove ha avuto l’opportunità di conoscere le caratteristiche e le qualità di specifici materiali in uso nell’industria aerospaziale.

 

width=

Tomás Saraceno, Thermodynamic Constellation, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

 

L’installazione unisce un profondo messaggio etico a un’estetica emozionante. La capacità di Tomás Saraceno di dominare lo spazio ha portato alla creazione di un lavoro che reinterpreta in modo avvolgente l’architettura di Palazzo Strozzi, dialogando con uno dei più alti esempi della cultura rinascimentale. La parte specchiante delle sfere, infatti, oltre a creare un senso di comunità riflettendo la nostra immagine, ci permette di osservare con occhi nuovi la simmetrica architettura quattrocentesca del palazzo, alterata come in un’anamorfosi barocca e mutevole nelle diverse ore del giorno. Anche oggi, a distanza, le sfere diventano uno spazio di partecipazione collettivo concettuale in cui precipitano insieme visione e fisicità.

 

width=

Tomás Saraceno, Thermodynamic Constellation, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

 

Le sculture volanti di Thermodynamic Constellation esplorano quali tipi di strutture sociopolitiche potrebbero nascere se potessimo navigare liberamente sui fiumi dell’atmosfera in una nuova era di armonia con l’aria e l’atmosfera: l’Aerocene. Tomás Saraceno lancia così la visione dell’Homo flotantis, una nuova generazione di essere umano nomade dell’aria, in sintonia con i ritmi planetari e atmosferici, che si lascia guidare – concettualmente e fisicamente – dall’aria.

Quest’opera, in cui tutto fluttua e si riflette, invitandoci a muoversi in maniera nuova, è un porto aperto verso il cielo. Creando un collegamento con i problemi del mondo contemporaneo, di cui le emergenze di questi giorni sono sintomi e conseguenza, Thermodynamic Constellation rappresenta una proposta, o una sfida, per un futuro diverso.

 

width=

Tomás Saraceno, Thermodynamic Constellation, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

In calendario

Come in una ragnatela

blank

di Arturo Galansino

Palazzo Strozzi, come ogni istituzione culturale che voglia parlare al proprio tempo, si impegna a trattare i temi più rilevanti del presente. Ogni mostra d’arte contemporanea diventa così un’occasione per indagare il mondo in cui viviamo attraverso lo sguardo sensibile degli artisti.

La mostra Tomás Saraceno. Aria racchiude nei nostri spazi espositivi svariati ‘futuri’, immaginari e utopici ma allo stesso tempo estremamente veri e attuali. Si tratta di visioni fatte di armonia, di equilibrio, nelle quali le connessioni sono evidenti e la cooperazione necessaria.

Oggi, alla luce della situazione che stiamo vivendo, le installazioni dell’artista ci parlano, seppur dalla distanza siderale delle sale vuote, con una forza anche maggiore e una consapevolezza nuova.

Questo periodo d’emergenza ci porta infatti a fare alcune riflessioni sul nostro stile di vita, sul peso delle nostre azioni e sulla fragilità del nostro mondo. Siamo immersi in una realtà iperconnessa, virtualmente e fisicamente, e se dovessimo rappresentare i nostri legami e le interazioni sociali o le rotte che descrivono i nostri spostamenti potremmo ricorrere efficacemente all’immagine di una ragnatela. Facciamo talmente parte di questa struttura da non rendercene conto, e apriamo gli occhi soltanto quando essa viene minacciata o rischia di spezzarsi.

Oggi appare in tutta la sua evidenza che proprio l’iperconnessione e l’ipermobilità, associate all’individualismo, hanno contribuito all’aggravarsi della situazione che stiamo vivendo.

width=width=

Tomás Saraceno, Aerographies (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Secondo il celebre “effetto farfalla”, coniato nel 1962 dal matematico e metereologo Edward Lorenz, lo sbattere d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas. In termini più concreti, una piccola azione può riverberarsi e causare effetti ben più grandi. Pensiamo quindi alla vibrazione di un filo, a un semplice tocco. Quando questo è connesso ad una struttura più grande, l’intero sistema può vibrare, oscillare, rompersi. Se le connessioni sono minacciate, in qualsiasi modo, i danni all’intero complesso possono essere enormi.

Come si può vivere in equilibrio in questa realtà iperconnessa? Come si possono limitare i rischi? La via indicataci da Tomás Saraceno è quella dell’armonia. In qualsiasi futuro vogliamo vivere, noi umani dobbiamo imparare a vivere in simbiosi con tutti gli altri esseri, viventi e non viventi, umani e non umani. La ricerca di un equilibrio dinamico deve diventare il nostro obiettivo, la nostra ragion d’essere. Per raggiungerlo è necessario cooperare, compiendo gesti e azioni individuali che non tradiscano il bene comune e che vadano in una direzione collettiva.

Alcuni eventi possono disturbare l’equilibrio, minacciando pericolosamente il mondo in cui viviamo. È in casi come questi che ognuno può contribuire a mantenere l’equilibrio. Ogni azione porta a una reazione, nel male e nel bene. Come in un’orchestra affiatata, quando ogni musicista esegue la propria parte, il risultato è armonia: una risposta unitaria costituita da tanti singoli, diversi ma uniti.

È necessario essere consapevoli dei nostri comportamenti, delle nostre relazioni, dei nostri movimenti, e delle conseguenze che possono avere sugli altri. Questa presa di coscienza deve avvenire non soltanto per il nostro bene individuale, ma per quello di tutti.

Come in una ragnatela, siamo piccoli nodi, parte di un intreccio infinitamente più grande in cui, in una catena di azioni e reazioni, ogni nostro gesto fa vibrare l’intero sistema. Dobbiamo essere coscienti, e capaci, di farlo risuonare nel modo più armonico possibile. Dobbiamo essere una rete armonica di cui ogni singolo è parte essenziale.

width=

Tomás Saraceno, Connectome (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Nelle prossime settimane continueremo a portare avanti queste visioni di futuro e di realtà delineate da Tomás Saraceno. Lo faremo in modi nuovi, a distanza, con la volontà di stimolare una riflessione attraverso il linguaggio che conosciamo meglio, quello dell’Arte.

width=

«Lampade e lampadine come alleate
nella caccia quotidiana collegano
modi di vivere in una dipendenza intrecciata.
La natura sembra preferire i rapporti
agli individui, nulla si crea da sé.
Chiedetevi quante moltitudini
racchiudete in voi.»

SYM(BIO)POETICS: Carta 3 di 33 di Aracnomanzia

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2019
Courtesy the artist. © Studio Tomás Saraceno, 2019

In calendario

Dopo la Russia

blank
Il trasferimento nel 1915 di Natalia Goncharova e Mikhail Larionov nell’Europa occidentale si rivelò permanente, contrariamente alle loro intenzioni iniziali. Un viaggio reso “senza ritorno” dalla Rivoluzione d’Ottobre di due anni dopo, dalla successiva guerra civile e, nel 1934, dalla fine di ogni sperimentazione dell’Avanguardia con l’allontanamento delle opere dalle principali collezioni russe, la dispersione nei musei di provincia e il Realismo socialista divenuto orientamento ufficiale dell’arte sovietica. La tournée in Spagna nel 1916 con Diaghilev fu fonte di suggestione per una serie di opere conosciute come Donne spagnole, tema che Natalia Goncharova ha più volte esplorato in ambito teatrale, in pittura e stampe. Le figure, che ricordano per la ieraticità e il formato i precedenti dipinti sacri ispirati alle icone, hanno viso e braccia stilizzate, ma i costumi sono scrupolosamente caratterizzati da mantiglie, merletti, pettini e ventagli. Differiscono dalle opere russe per i colori, limitati a toni sobri ma densi, dal bianco all’ocra.
width=
Foto di Alessandro Moggi
Il rapporto con collezionisti americani ha procurato importanti commissioni a Natalia: Rue Winterbotham Carpenter volle per l’Arts Club di Chicago un paravento “primaverile, fiorito, cubista” e Natalia ha saputo rispondere perfettamente ai suoi desideri.
width=

Natalia Goncharova: “La prima”

blank
Tutti i record raggiunti dall’artista russa durante la sua attività e non solo. Nel 1910 è stata la prima donna ad avere esposto dipinti di nudi in Russia. Natalia Goncharova è stata anche la prima donna a essere accusata di blasfemia e ad avere opere sequestrate dalla polizia nel corso di tre mostre:
  • 1910: nel corso della mostra alla Società di Libera Estetica a Mosca vengono sequestrati suoi dipinti di nudo con l’accusa di offesa alla morale pubblica e pornografia. Processata, Natalia viene assolta.
  • 1912: durante una mostra dipinti di tema religioso di Natalia, tra cui il polittico Gli Evangelisti, vengono sequestrati dalla polizia per ordine del Santo Sinodo come immorali, essendo poco consoni al titolo provocatorio dell’esposizione La coda d’asino.
  • 1914: nel corso della monografica di San Pietroburgo, sedici opere di soggetto religioso vengono sequestrate, e poi restituite, a seguito della difesa da parte della stampa.
Prima artista, non solo donna, dell’Avanguardia russa ad avere una grande personale a Mosca nel 1913: circa ottocento opere vengono esposte al Salone Artistico di Klavdia Mikhailova. 1913: prima a essere definita “leader dei futuristi”. 1913: prima donna a dipingersi il volto e il corpo nel corso di una performance che attraversa le strade di Mosca. Prima donna a ballare il tiptap, nel primo film dell’avanguardia russa Dramma nel Cabaret futurista n. 13, in cui ha un ruolo centrale. Prima donna a lavorare stabilmente per i Ballets Russes, alla cui fortuna contribuisce in maniera fondamentale. 2019: prima retrospettiva in Italia dedicata a Natalia Goncharova.
width=
Clicca sull’immagine per avere tutte le informazioni sulla mostra