Verso la nostra fase due

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di Arturo Galansino, Ludovica Sebregondi, Riccardo Lami e Matthias Favarato

Ottantaquattro: tanti sono i giorni da domenica 8 marzo, inizio del lockdown di Palazzo Strozzi, a lunedì 1° giugno, data della riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria. Inizia anche per Palazzo Strozzi una “fase due” nell’epoca del COVID-19, che parte anche da un bilancio e un ripensamento del nostro progetto online IN CONTATTO verso una sua nuova evoluzione.

IN CONTATTO è nato con immediatezza, spontaneità e un forte senso di urgenza, in un momento di totale incertezza su quello che sarebbe successo nelle settimane successive. Fin da subito abbiamo voluto reagire a questa crisi con un chiaro obiettivo: non perdere il rapporto con i nostri visitatori, con la volontà di sentirli vicini in un momento di profonda insicurezza per tutti noi, disorientati da una situazione nuova e sconosciuta. La mostra di Tomás Saraceno è stata un punto di partenza perfetto, quasi profetica nel suo riflettere sulla fragilità del nostro mondo. E il paragone con la tela di ragno a illustrare l’ambiente in cui siamo inseriti, fortemente collegato alle opere di Saraceno, è il più adeguato per definire la rete di relazioni che in questo periodo ci ha tenuto uniti. Una rete legata al mondo online, attorno a cui sono gravitate necessariamente tutte le nostre attività quotidiane tra cui anche soddisfare il nostro bisogno di cultura e bellezza.

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Il videomessaggio di Tomás Saraceno

La nostra scelta per IN CONTATTO è stata quella di unire il sito e i canali social attraverso la creazione di contenuti nuovi e originali con cui rileggere, e non solo rievocare in chiave amarcord, alcuni momenti della storia di Palazzo Strozzi, riscoprendo un loro nuovo valore alla luce dell’attualità del presente. È così che abbiamo trattato temi mai così attuali come l’interconnessione, l’isolamento, il senso di Nazione e comunità, la famiglia, l’inclusività. Per rivolgerci a pubblici differenti, abbiamo dato spazio a punti di vista diversi, come dimostrano gli autori dei contributi – interni ed esterni alla Fondazione Palazzo Strozzi – con cui abbiamo voluto guardare non al passato ma sempre al presente e al futuro. Un impulso fondamentale è stato dato dai videomessaggi degli artisti che hanno voluto testimoniare la propria vicinanza a Palazzo Strozzi, in considerazione del loro forte legame con noi, ma anche all’Italia intera. Marina Abramović, Ai Weiwei, Jeff Koons e Tomás Saraceno hanno fatto sentire il loro sostegno, ottenendo un riscontro straordinario. Tra tutti emerge quello di Marina che ha ottenuto quasi un milione di visualizzazioni.

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Il videomessaggio di Marina Abramović

Anche altri numeri possono aiutare a raccontare questo progetto. Sulla piattaforma IN CONTATTO abbiamo pubblicato ventiquattro contributi, letti da quasi 60.000 utenti unici. Sui canali social, tra Facebook e Instagram, abbiamo pubblicato oltre 100 post, raggiungendo oltre un milione e mezzo di persone e facendo crescere la nostra community online del 10% in solo due mesi. L’elevato tempo medio trascorso sulle pagine di IN CONTATTO rappresenta inoltre un dato estremamente interessante, dimostrando che le persone hanno preferito focalizzare la loro attenzione in una fruizione non superficiale, nonostante il momento di frenesia nel consumo dei contenuti online. La “top 5” degli articoli più letti è rappresentata da Siamo tutti sulla stessa barca, Abbracci spezzati, A tavola con Pontormo, Uomini, albicocchi e mucche, Il cielo in una stanza. Non si tratta di una semplice classifica, ma di un vero e proprio specchio della poliedricità del nostro approccio e della varietà di interessi dei nostri lettori. Una menzione speciale la merita il progetto educativo a distanza L’ARTE A CASA dedicato alle famiglie con bambini e ragazzi, che è stato visitato da quasi 6.000 utenti, molti dei quali ci hanno inviato anche i risultati delle varie attività. Inoltre abbiamo apprezzato l’affetto e la stima di chi, da tempo, segue le nostre iniziative: la newsletter è stato infatti lo strumento principale attraverso il quale IN CONTATTO è stato fruito, a dimostrazione della vicinanza del nostro pubblico anche in un momento di distanziamento fisico.

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Una selezione degli articoli di IN CONTATTO dal nostro blog.

E adesso, con la riapertura della mostra dal 1° giugno, si apre una nuova fase di IN CONTATTO che diviene una rubrica in uscita ogni due settimane. Palazzo Strozzi, come ogni istituzione culturale che voglia parlare al proprio tempo, si impegna a trattare i temi più rilevanti del presente e ogni nostra mostra e attività diventano così occasioni per indagare il mondo in cui viviamo in chiave sempre contemporanea. Nelle prossime settimane continueremo a portare avanti il progetto IN CONTATTO ispirandoci a quelle che Saraceno definisce “visioni di futuro e di realtà”. Parleremo delle mostre, delle attività e della vita di Palazzo Strozzi con la volontà di mantenere uno spazio di riflessione parallelo, un luogo di contaminazione e condivisione di punti di vista diversi.

Il cielo in una stanza

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di Ludovica Sebregondi

Se in questo periodo la casa può venir percepita come luogo in cui emergenze contingenti ci costringono a restare, la reclusione può invece essere anche scelta di vita. Lo è stata per secoli, basti pensare ai romiti che si chiudevano in spazi angusti, o che addirittura vi si facevano murare, o a monaci e frati che nella superficie limitata delle celle ricercavano e trovavano un ambiente per meditare e pregare. Di questi spazi gli artisti del passato e di oggi hanno dato riletture e interpretazioni, spesso riconducendole a nitide “scatole prospettiche”, in cui l’individualità umana è esaltata in una riflessione meditativa.

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Andrea di Bartolo, Caterina da Siena fra beate domenicane (dettaglio), 1394-1398 circa, Museo Vetrario di Murano.

Andrea di Bartolo (Siena, documentato 1389-1429), ad esempio, nella predella della tavola con Caterina da Siena fra beate domenicane, del 1394-1398 circa, conservato al Museo Vetrario di Murano, raffigura le religiose in quattro scene di vita all’interno delle celle in cui, come ha scritto Salvatore Settis, la narrazione dà alla solitudine «un significato e uno spessore che doveva indurre il devoto spettatore a identificarsi con quel visibile esempio di pietà», attraverso un «intenso rapporto col divino che impregna di sé la narrazione».

La tavola è stata esposta a Palazzo Strozzi alla mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico nel 2017, dove le opere del videoartista erano presentate in dialogo con quelle del passato che erano state per lui fonte di ispirazione, segnando l’evoluzione del suo linguaggio.

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Bill Viola, Catherine’s Room, 2001. Courtesy Bill Viola Studio.

La tavola di Andrea di Bartolo ha ispirato il polittico video Catherine’s Room (2001). Cinque video a colori, disposti orizzontalmente proprio come gli scomparti della predella, mostrano la stanza di una donna che – sempre in solitudine – si dedica a rituali quotidiani nell’arco della giornata. Ogni schermo mostra un momento diverso: mattina, pomeriggio, tramonto, sera e notte. Nella parete della stanza si apre una piccola finestra da cui si intravedono i rami di un albero che, in ogni schermo, è mostrato nelle diverse fasi del ciclo annuale, dalla fioritura primaverile alla completa caduta delle foglie. I video seguono dunque non solo un giorno, attraverso il mutare della luce, ma anche il corso dell’anno attraverso le diverse fasi vegetative e – ancora – quello della vita umana, dal risveglio a indicare la nascita, fino alla morte rappresentata dal sonno.

Riflette ancora Settis: «Nell’installazione di Bill Viola, Catherine non è la santa di quel nome, questa predella non accompagna né presuppone un’icona di culto: ma il racconto delle azioni di una donna, colta nell’intimità di una vita solitaria, comporta un certo grado di sacralizzazione del quotidiano, come suggerisce il riferimento implicito, ma forte, al formato della predella e alla tradizione religiosa e narrativa che esso implica. La fluida gestualità della protagonista viene così trasposta su un piano quasi rituale, e perciò attrae la nostra attenzione sulla sua individualità. L’io di Catherine viene espressivamente additato attraverso il linguaggio del suo corpo, presenza solitaria entro uno spazio costruito come una scena teatrale: sempre uguale, sempre diverso a seconda di come è arredato. Sola con se stessa, come lo è ognuno di noi osservatori, Catherine proprio per questo merita il nostro sguardo. La sua solitudine ci somiglia, la sua stanza è la nostra».

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Marina Abramović, The House with the Ocean View, 2002-2018
New York, Abramović LLC, Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/072. Credit: Ph. Attilio Maranzano

Quella solitudine è stata cercata e voluta anche da Marina Abramović in House with Ocean View del 2002, una performance che l’artista stessa dice essere nata «dal mio desiderio di capire se è possibile usare una semplice routine quotidiana, con regole e restrizioni, per purificare me stessa».  In tre interni sospesi l’artista ha vissuto per dodici giorni, senza mangiare né parlare, davanti al pubblico della Sean Kelly Gallery di New York. Scrive Marina in Attraversare i muri: «Era passato poco tempo dall’11 settembre: la gente era in uno stato d’animo ricettivo, e arrivarono folle di spettatori che rimasero a lungo seduti per terra, a osservare e riflettere sull’esperienza in cui erano immersi. I visitatori e io avvertivamo intensamente la presenza gli uni dell’altra. Nella stanza c’era un’energia condivisa, e il pesante silenzio era rotto solo dal ticchettio del metronomo che tenevo sul tavolo […] facevo ogni cosa – stare seduta, stare in piedi, bere, riempire il bicchiere, fare pipì, farmi la doccia – con una lentezza e una consapevolezza prossime alla trance».

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A sinistra: Andrea di Bartolo, Caterina da Siena fra beate domenicane (dettaglio), 1394-1398 circa.
Al centro: Bill Viola, Catherine’s Room (dettaglio), 2001.
A destra: Marina Abramović, The House with the Ocean View, reperformance Tiina Pauliina Lehtimaki, 4-16 dicembre 2018 Palazzo Strozzi.

La reperformance di The House with the Ocean View è stata proposta per la prima volta in Italia dalla performer Tiina Pauliina Lehtimaki dal 4 al 16 dicembre 2018 a Palazzo Strozzi. Tiina, come Marina nel 2002, ha vissuto in silenzio per dodici giorni all’interno di tre piccole stanze sospese all’interno della mostra Marina Abramović. The Cleaner. Ciascuna di queste stanze sembra rimandare alle “scatole prospettiche” della predella di Andrea di Bartolo, ma anche alle scene di Catherine’s Room di Bill Viola. La “purificazione”, lo sforzo di isolamento e la pratica ascetica messe in atto sembrano creare un rimando diretto tra le tre opere. Da tutte emerge la volontà di sacralizzare la quotidianità e ripensare, dando un nuovo valore, alle nostre azioni, anche le più banali: una riflessione sulla forza di volontà e sulla possibilità di restituire significato alle nostre vite in una nuova prospettiva.

Marina Abramović: il mio cuore è con voi

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Italia, ti amo. Il mio cuore è con voi”: con queste parole Marina Abramović saluta tutti gli italiani in un video esclusivo per Palazzo Strozzi, inviato come personale contribuito al progetto IN CONTATTO. L’artista serba si unisce a Ai Weiwei e Tomás Saraceno inviando un messaggio di solidarietà e incoraggiamento sottolineando come gli italiani stiano dimostrando “grande coraggio e un profondo senso di comunità e umanità” e che la crisi globale del COVID-19 rappresenti un’emergenza ormai globale che ci deve servire come occasione di ripensamento del nostro rapporto con il pianeta: “la coscienza umana deve cambiare, il nostro approccio al mondo e al pianeta deve cambiare”.

Questo è il mio messaggio per l’Italia e per gli italiani, che io amo profondamente. Sappiamo che questo è un momento di crisi e che il virus ormai è ovunque. Ma allo stesso tempo dobbiamo imparare una lezione da questi disastri. Gli italiani stanno dimostrando grande coraggio, un profondo senso di comunità e umanità. Dobbiamo combattere insieme. È qualcosa che passerà e ciò che rimarrà sarà un’esperienza davvero importante: la coscienza umana deve cambiare, il nostro approccio al mondo e al pianeta deve cambiare. Questa è la lezione che dobbiamo imparare. Italia, ti amo. Il mio cuore è con voi.

Marina Abramović rappresenta una delle personalità più celebri e influenti dell’arte contemporanea globale. Con le sue opere, in oltre 50 anni di carriera, ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione. La mostra Marina Abramović . The Cleaner del 2018 ha rappresentato un momento unico nella storia recente di Palazzo Strozzi per la sua capacità di coinvolgimento delle persone e per riflettere su concetti come vulnerabilità, empatia e fiducia, che oggi risuonano con forza e assumono un nuovo valore di ispirazione e riflessione.

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Foto Alessandro Moggi

Vedi anche

Siamo tutti sulla stessa barca

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di Riccardo Lami e Ludovica Sebregondi

“Siamo tutti sulla stessa barca” affermava Marina Abramović sul manifesto da lei creato nel 2018 e affisso sulla facciata di Palazzo Strozzi in occasione della mostra Marina Abramovic. The Cleaner, riflettendo sul fatto che «siamo tutti sullo stesso pianeta: chi ama il mare ama la terra e chi ama la terra ama il nostro futuro». Nel 2020 questo slogan, nato in una prospettiva ambientalista, sta acquistando un significato più ampio: un messaggio di speranza e fiducia reciproca insieme alla riflessione sulla necessità di fare fronte comune in un periodo tanto difficile. In queste settimane sono state innumerevoli le citazioni che ne sono state fatte, sui social media in primo luogo. A Firenze, su un muro del popolare mercato di Sant’Ambrogio è addirittura apparso un manifesto, firmato con un’esplicita dichiarazione di derivazione, “D’après Marina Abramović”.

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A sinistra: Marina Abramović, We’re All in the Same Boat, manifesto per Barcolana 50, 2018.
A destra: Michela Carlotta Tumiati, Lima, 2020.

Riflettendo sulla propria vita, Marina ha da sempre portato alla ribalta temi cruciali della condizione umana, riuscendo a comunicare come nessun altro artista col presente, interpretandone le contraddizioni e le urgenze. Alla fiducia nella comunità, ad aprirsi agli altri, Marina è arrivata partendo dalle prime performance nelle quali metteva alla prova la propria capacità di resistenza individuale e passando attraverso le performance insieme a Ulay. E tra queste oggi ci appare con grande forza e attualità contemporanea Rest Energy (1980), una prova estrema di fiducia, in cui per quattro minuti e venti secondi la vita di Marina era nelle mani di Ulay, creando un’indimenticabile immagine di tensione, metafora del nostro rapporto con l’altro.

«Io reggevo un grosso arco e Ulay ne tendeva la corda, reggendo tra le dita la base di una freccia puntata contro il mio petto. Eravamo entrambi in uno stato di tensione costante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto. Nel frattempo, al nostro petto era attaccato un piccolo microfono, di modo che il pubblico sentisse il battito amplificato dei nostri cuori. E questi battevano sempre più veloci» (da Attraversare i muri, trad. it. 2016).

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Ulay/Marina Abramović, Rest Energy, 1980, Amsterdam, LIMA Foundation.
Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA, MAC/2017/034

Col tempo il flusso di energia, lo scambio profondo che in precedenza si creava tra lei e Ulay ha incluso sempre più persone alla ricerca di una «completa vulnerabilità e apertura nei confronti del pubblico». Manifesto ne è The Artist is Present tenutasi al MoMA di New York nel 2010 in cui di fronte all’artista serba, immobile e in silenzio, si sono alternate 1675 persone che erano invitate a sedersi di fronte a lei e a fissarla per tutto il tempo che volevano. In quell’occasione Marina ha percepito l’«enorme bisogno delle persone di avere anche solo un contatto». E nel marzo 2020 le sue parole che riflettono sul rapporto con l’altro risuonano come non mai.

«Verso la fine di The Artist is Present provavo una stanchezza mentale e fisica mai sentita. Inoltre, il mio punto di vista, tutto quello che prima mi era sembrato importante – la vita quotidiana, le cose che mi piacevano e quelle che non mi piacevano – erano cambiati completamente». Come in tutto il suo percorso artistico, Marina riflette sulla privazione per rivalutare l’essenziale. L’isolamento, il silenzio, il venire meno di un rapporto diretto con l’altro ci fanno capire l’importanza di restare in contatto e di dare valore allo sguardo e alla presenza di chi ci sta davanti.

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Marina Abramović, The Artist is Present, 2010, New York, Abramović LLC.
Photo Marco Anelli. Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/071

«Siamo così alienati gli uni dagli altri? In che modo la società ci ha resi così distanti? Ci mandiamo sms senza mai incontrarci, anche se viviamo a due passi. Ecco come nasce la solitudine delle persone. Non c’è stato un secondo in cui questa sedia è rimasta vuota. I visitatori in fila dormivano fuori dal museo, aspettando per ore e ore, anche per tornare ancora. Cosa stava succedendo? Io ti guardo, ti sento, vieni fotografato e tutti gli altri ti guardano, ti scrutano e tu non sai dove guardare, se non dentro di te. E nel momento in cui sei davvero dentro te stesso, in quel preciso momento tutte le tue emozioni e le tue sensazioni affiorano e ti travolgono. Ecco perché le persone iniziano a piangere: è un’esperienza totalizzante. Ciò non avviene nell’intimo delle nostre case, perché non siamo più in contatto con noi stessi. Ma sul palco che ho creato appositamente, è successo davvero qualcosa, qualcosa di diverso, che non avevo mai fatto prima». (Marina Abramović)

Rhythm 0 compie 44 anni!

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La sala in Strozzina dedicata a Rhythm 0.

Foto di Alessandro MoggiEra il 1974 infatti quando Marina Abramović diede vita a una delle sue performance più discusse.

«Sul tavolo ci sono settantadue oggetti che possono essere usati a piacere su di me. Io sono l’oggetto. Durante la performance mi assumo la totale responsabilità. La performance e l’ultima del ciclo dei ritmi (Rhythm 10, Rhythm 5, Rhythm 2, Rhythm 4, Rhythm 0). Concludo la mia ricerca sul corpo conscio e inconscio.
Oggetti sul tavolo: pistola, proiettile, vernice blu, pettine, campana frusta, rossetto, coltellino svizzero, forchetta, profumo, cucchiaio, cotone, fiori, fiammiferi, rosa, candela, acqua, sciarpa, specchio, bicchiere, macchina fotografica Polaroid, piuma, catene, chiodi, ago, spilla da balia, forcina, spazzola, benda, vernice rossa, vernice bianca, forbici, penna, libro, cappello, fazzoletto, foglio di carta bianco, coltello da cucina, martello, sega, pezzo di legno, accetta, bastone, osso di agnello, quotidiano, pane, vino, miele, sale, zucchero, sapone, torta, tubo di metallo, bisturi, lancia di metallo, confezione di lamette da rasoio, piatto, calice, cerotto, alcol, medaglia, stola di pelliccia, paio di scarpe, sedia, lacci in pelle, gomitolo, cavo di metallo, zolfo, uva, olio d’oliva, rametto di rosmarino, miele»

Così descrive le sensazioni di quelle ore la stessa Marina Abramović nella sua autobiografia “Attraversare i muri”:

Fu lo Studio Morra di Napoli a invitarmi: “Vieni qui e fa’ quello che vuoi”. Era l’inizio del 1975. […] progettai una performance in cui sarebbe stato il pubblico ad agire. Io sarei stata solo l’oggetto, il ricettacolo. Mi sarei presentata alla galleria e sarei rimasta lì, in pantaloni neri e T-shirt nera, davanti a un tavolo contenente settantadue oggetti [..] Alle otto di sera si presentò una considerevole folla, che trovò sul tavolo queste istruzioni […] Durante questo intervallo di tempo mi assumo ogni responsabilità. Durata: 6 ore (dalle 20 alle 02) Studio Morra, Napoli, 1975. Se qualcuno voleva caricare la pistola e usarla, ero pronta alle conseguenze. Quello che dissi a me stessa fu: “Va bene, vediamo che cosa succede.” Per le prime tre ore non successe molto. Il pubblico era intimidito da me. Me ne stavo lì, con lo sguardo perso nel vuoto, senza guardare niente e nessuno in particolare; ogni tanto qualcuno mi porgeva la rosa, metteva lo scialle sulle mie spalle o mi dava un bacio. In seguito cominciarono a succedere delle cose, all’inizio lentamente e poi in fretta. Fu molto interessante; in genere, le visitatrici dicevano agli uomini che cosa farmi, piuttosto che farlo di persona (anche se più tardi, quando qualcuno mi punse con uno spillo, fu una donna ad asciugarmi le lacrime). Per lo più si trattava del normale pubblico del mondo dell’arte italiano, i mariti con le loro mogli. A ripensarci, penso che il motivo per cui non venni violentata fu che erano presenti le mogli. Quando si fece notte fonda, nella galleria cominciò ad avvertirsi una certa tensione sessuale. Non era da me che proveniva, ma dai visitatori. Eravamo nell’Italia meridionale, dove la chiesa cattolica esercitava una forte influenza, e nell’atteggiamento verso le donne c’era una spiccata dicotomia tra puttana e Madonna. Dopo tre ore, un uomo mi tagliò in due la maglietta e me la tolse. La gente mi costringeva ad assumere varie posizioni. Se mi facevano chinare la testa, la tenevo giù; se la tiravano su, restavo così. Ero una marionetta, completamente passiva. A seno nudo. Qualcuno mi mise in testa la bombetta. Qualcun altro prese il rossetto, scrisse “Io sono libero” sullo specchio e me lo mise in mano. Sempre con il rossetto qualcun altro mi scrisse “End” sulla fronte. Un altro mi scattò delle Polaroid e me le infilò in mano come carte da gioco. Le cose si fecero più audaci. Due tizi mi sollevarono di peso e mi portarono in giro. Mi misero sul tavolo, mi allargarono le gambe e conficcarono il coltello a poca distanza dal mio sesso. Qualcuno mi punse con gli spilli. Un altro mi versò lentamente in testa un bicchiere d’acqua. Qualcuno mi fece un taglio sul collo con il coltello e succhiò il sangue. Ho ancora la cicatrice. E poi c’era un uomo di statura molto bassa che mi stava appiccicato, ansimando. Mi faceva paura. Nessun altro e nessun’altra cosa me ne aveva fatta, ma lui sì. Dopo un po’ mise il proiettile nella pistola e me la mise nella mano destra. La puntò verso il mio collo e toccò il grilletto. Dal pubblico si levò un mormorio; qualcuno fermò il tizio e ci fu una baruffa. Alcuni visitatori volevano evidentemente proteggermi; altri volevano che la performance continuasse. Dato che eravamo nel Sud, la gente alzò la voce e gli animi si infiammarono. Il piccoletto venne cacciato fuori dalla galleria e la performance continuò. Di fatto, il pubblico divenne sempre più attivo, come in trance. Poi, alle due di notte, si fece avanti il gallerista e mi disse che erano passate le sei ore. Smisi di guardare nel vuoto e fissai il pubblico. “La performance è finita,” disse il gallerista. “Grazie.” Ero in uno stato pietoso: mezza nuda, sanguinante, con i capelli bagnati. A quel punto accadde una cosa strana: d’un tratto quelli che erano ancora lì ebbero paura di me. Mentre andavo verso di loro, uscirono di corsa dalla galleria. Il gallerista mi riportò al mio albergo e andai nella mia stanza, con un senso di solitudine che non avvertivo da un pezzo. Ero sfinita, ma la testa continuava a ronzarmi, facendomi rivedere immagini di quella serata. Quando mi avevano punto e tagliato il collo, non avevo sentito niente, ma ora pulsavo di dolore. E non riuscivo a liberarmi della paura ispirata dal piccoletto. Alla fine piombai in una specie di dormiveglia. La mattina mi guardai allo specchio, e un’intera ciocca di capelli mi era diventata grigia. In quel momento mi resi conto che il pubblico può ucciderti. Il giorno dopo, decine di persone che avevano partecipato all’evento telefonarono in galleria. Dicevano di essere terribilmente dispiaciute; non si erano rese conto di ciò che era successo mentre erano lì, non sapevano che cosa fosse successo a loro.

La mostra Marina Abramović. The Cleaner sarà a Palazzo Strozzi fino al 20 gennaio 2019. Fai il biglietto online e vieni in Strozzina per scoprire di più sulla storia, gli strumenti e le performance dell’artista serba.

Il calendario delle reperformance di “Marina Abramović. The Cleaner”

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La retrospettiva di Marina Abramović a Firenze Marina Abramović. The Cleaner comprende anche una serie di reperformance delle opere più famose dell’artista serba. Vediamo quindi il calendario delle attività che vengono eseguite a Palazzo Strozzi.

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Imponderabilia

Tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 21.30.

Cleaning the Mirror

Tutti i giorni dalle 14.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 15.30 e dalle 16.30 alle 21.30.

Luminosity

Tutti i giorni dalle 15.00 alle 16.00.

The House with the Ocean View

Reperformance che durerà 12 giorni: da martedì 4 dicembre a domenica 16 dicembre.

Per saperne di più visita la pagina del sito.  Puoi anche fare il biglietto online e saltare la fila.

Nella mostra “Marina Abramović. The Cleaner” si possono fare fotografie?

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La risposta è sì, ma è necessario rispettare alcune importanti regole. Vediamole insieme:

  1. Non essere invadenti
  2. Non usare cavalletto o selfie-stick
  3. Non usare il flash
  4. Non invadere lo spazio dei performer (tenersi ad almeno 3 metri di distanza).

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Non in tutte le mostre di Palazzo Strozzi è possibile fotografare le opere esposte, talvolta i prestatori delle opere impongono questo divieto per motivi di copyright, talvolta la delicatezza di un’opera d’arte rende necessario questo divieto proprio perché la forte luce dei flash potrebbe compromettere lo stato di conservazione.
C’è anche un’altra ragione, spesso sottovalutata: visitare una mostra circondati da decine di fotografi appassionati può tramutare un’esperienza unica di incontro con l’arte in un maldestro tentativo di evitare macchine fotografiche e telefoni cellulari che spuntano da ogni parte.

Il lavoro dei performer richiede grande concentrazione e sforzo fisico, trovarsi una macchina fotografica sotto il naso influisce negativamente sulla loro performance.
Inoltre, così come è necessario tenersi alla giusta distanza da un quadro o una scultura, anche nel caso dei performer in mostra è necessario mantenere la giusta distanza per non disturbare lo svolgimento dell’azione e permettere agli altri visitatori di vedere ciò che sta accadendo.

Ultima nota: la performance art si caratterizza per la sua immaterialità, per la capacità di generare forti sensazioni e trasformarsi in un ricordo, diverso per ognuno di noi, da condividere verbalmente. Come dice Marina Abramović, dobbiamo riuscire a vivere il qui e l’ora con la consapevolezza che ciò che vediamo e proviamo è irripetibile e l’unicità risiede proprio nella transitorietà; immancabilmente ci perdiamo tutto questo se siamo occupati a inquadrare, mettere a fuoco e scattare.

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5 motivi per visitare “Marina Abramović. The Cleaner”

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Marina Abramović a Firenze

I cinque punti che caratterizzano la retrospettiva, in mostra a Palazzo Strozzi fino al 20 gennaio 2019

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1)

Perché è la prima mostra dedicata da Palazzo Strozzi a un’artista donna, la più importante rappresentante dell’arte performativa. Assolutamente inedita per l’Italia in questa formula immersiva, Marina Abramović. The Cleaner offre la possibilità agli spettatori di conoscere a tutto tondo l’arte di Marina Abramović, che con le sue opere e la sua storia – 50 anni di carriera – ha invaso tutti gli spazi del Palazzo: dal cortile alla Strozzina al Piano Nobile.

2)

Perché la mostra è un racconto speciale del rapporto di Marina Abramović con l’Italia, dove hanno avuto luogo alcune delle sue memorabili performance, che sono ripercorse nell’esposizione mettendo in evidenza il rapporto strettissimo dell’artista col nostro Paese.

3)

Perché Marina Abramović è l’artista che più di ogni altra segna la nostra contemporaneità: pur avendo fatto parte del secolo scorso, ha traghettato la sua arte nel Terzo Millennio.

4)

Perché è un’artista che, riflettendo sulla propria vita, da sempre ha portato alla ribalta temi cruciali, che ci riguardano tutti, riuscendo a comunicare come nessun altro artista col presente, interpretandone le contraddizioni e le urgenze. Ha saputo “far pulizia”, tenendo solo quello che serve ed è essenziale.

5)

Perché sarà possibile per il visitatore partecipare direttamente alle re-performance che ogni giorno vengono realizzate negli spazi di Palazzo Strozzi, tuffandosi in esperienze che rendono questa mostra un vero e proprio e indimenticabile esperimento vivente.

 

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Manifesto della vita di un artista Marina Abramović

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width=Come l’artista deve condurre la sua vita

L’artista non dovrebbe mentire
a se stesso
o ad altri
L’artista non dovrebbe rubare
idee altrui
L’artista non dovrebbe scendere
a compromessi
con se stesso o
per il mercato dell’arte
L’artista non dovrebbe uccidere
un altro uomo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo
L’artista non dovrebbe fare
di se stesso un idolo

La vita sentimentale di un artista

L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista
L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista
L’artista dovrebbe evitare
di innamorarsi di un altro artista

L’artista e l’erotismo

L’artista dovrebbe sviluppare
un punto di vista erotico sul mondo
L’artista dovrebbe essere erotico
L’artista dovrebbe essere erotico
L’artista dovrebbe essere erotico

L’artista e la sofferenza

L’artista dovrebbe soffrire
Dalla sofferenza scaturiscono
i lavori migliori
La sofferenza porta trasformazioni
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito
Attraverso la sofferenza l’artista
trascende il proprio spirito

L’artista e la depressione

L’artista non dovrebbe essere
depresso
La depressione è una malattia e
dovrebbe essere curata
La depressione è improduttiva
per l’artista
La depressione è improduttiva
per l’artista
La depressione è improduttiva
per l’artista

L’artista e il suicidio

Il suicidio è un crimine contro la vita
L’artista non dovrebbe suicidarsi
L’artista non dovrebbe suicidarsi
L’artista non dovrebbe suicidarsi

L’artista e l’ispirazione

L’artista dovrebbe guardarsi dentro
in cerca di ispirazione
Più l’artista guarda dentro di se,
più diventa universale
L’artista è universo
L’artista è universo
L’artista è universo

L’artista e l’autocontrollo

L’artista non dovrebbe avere
autocontrollo sulla sua vita
L’artista dovrebbe avere totale
autocontrollo sul suo lavoro
L’artista non dovrebbe avere
autocontrollo sulla sua vita
L’artista dovrebbe avere totale
autocontrollo sul suo lavoro

L’artista e la trasparenza

L’artista dovrebbe dare e ricevere
contemporaneamente
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere
La trasparenza è ricezione
La trasparenza è dare
La trasparenza è ricevere

L’artista e i simboli

L’artista crea i propri simboli
I simboli sono il linguaggio
dell’artista
Il linguaggio, poi, deve essere
tradotto
A volte è difficile trovare
la chiave
A volte è difficile trovare
la chiave
A volte è difficile trovare
la chiave

L’artista e il silenzio

L’artista deve comprendere il silenzio
L’artista deve creare uno spazio
perché il silenzio entri nel suo lavoro
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso
Il silenzio è come un’isola in mezzo
a un oceano burrascoso

I possedimenti dell’artista

I monaci buddisti consigliano
di possedere soltanto nove cose:
1 veste per l’estate
1 veste per l’inverno
1 paio di scarpe
1 scodella per elemosinare il cibo
1 zanzariera
1 libro di preghiere
1 ombrello
1 tappetino su cui dormire
1 paio di occhiali se necessari
L’artista dovrebbe decidere da solo
un minimo numero di oggetti
da possedere
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno
L’artista dovrebbe avere sempre più
di sempre meno

Lista di amici dell’artista

L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito
L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito
L’artista dovrebbe avere amici che
elevino il suo spirito

Lista di nemici dell’artista

I nemici sono molto importanti
Il Dalai Lama ha detto che è facile
provare compassione per gli amici,
molto meno per i nemici
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista deve imparare a perdonare
L’artista e la solitudine:
L’artista deve passare lunghi periodi
di solitudine
La solitudine è estremamente
importante
lontano da casa
lontano dal proprio studio
lontano dalla famiglia
lontano dagli amici
L’artista dovrebbe passare molto
tempo vicino alle cascate
L’artista dovrebbe passare molto
tempo vicino a vulcani in eruzione
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a osservare fiumi che
scorrono veloci
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a guardare l’orizzonte,
dove mare e cielo si incontrano
L’artista dovrebbe passare molto
tempo a guardare le stelle nel cielo
notturno

L’artista e il lavoro

L’artista dovrebbe evitare di andare
ogni giorno nel suo studio
L’artista non dovrebbe trattare
i propri orari di lavoro come fa
un impiegato di banca
L’artista dovrebbe esplorare la vita
e lavorare solo quando un’idea
gli compare in sogno, o durante
il giorno come una visione
che sorge di sorpresa
L’artista non dovrebbe ripetersi
L’artista non dovrebbe produrre
troppo
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte
L’artista dovrebbe evitare
l’inquinamento prodotto
dalla sua arte

Diversi scenari di morte

L’artista deve essere consapevole
della propria mortalità
per l’artista, non e importante
soltanto come vive, ma anche
come muore
L’artista dovrebbe osservare
i simboli dei propri lavori per trovare
i segni dei vari scenari di morte
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura
L’artista dovrebbe morire in modo
consapevole senza paura

Diversi scenari di funerale

L’artista dovrebbe dare istruzioni
per il proprio funerale, in modo che
tutto sia svolto come vuole lui
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene
Il funerale è l’ultima opera d’arte
dell’artista prima di andarsene.

Avvicinare i più giovani ai linguaggi dell’arte contemporanea

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Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019 Palazzo Strozzi ospita una retrospettiva completa dedicata a Marina Abramović. Ci troviamo di fronte a un gigante dell’arte mondiale che porta a Firenze circa cento opere realizzate nel corso della sua carriera, dagli esordi degli anni Sessanta e Settanta, fino ai lavori realizzati negli anni più recenti. Marina Abramović è un’artista che viene studiata sui libri di scuola e il suo lavoro ha segnato un’intera stagione dell’arte occidentale, quella della performance art. La mostra ospita video, fotografie e oggetti legati alle sue celebri performance, che saranno proposte nuovamente dal vivo all’interno delle sale dell’esposizione da un gruppo di giovani performer formati appositamente per l’occasione.

Per la nostra istituzione la possibilità di poter collaborare con una figura del calibro di Marina Abramović è sicuramente motivo di orgoglio e la mostra conferma l’impegno della Fondazione Palazzo Strozzi nel promuovere i linguaggi artistici del Novecento e dell’arte contemporanea attraverso i suoi principali rappresentanti.

A tale soddisfazione si accompagna però la responsabilità di dover rendere l’arte di questa artista accessibile a ogni tipologia di visitatore, compresi i più giovani. L’avvicinamento all’arte di bambini e adolescenti è uno dei principali obiettivi della Fondazione, e sebbene alcuni contenuti della mostra possano essere considerati sensibili e poco adatti a un pubblico di giovanissimi, abbiamo comunque deciso di tenere fede alla tradizionale apertura di Palazzo Strozzi nei confronti dei più giovani. Questo breve testo costituisce una piccola parte del lavoro che abbiamo fatto per informare genitori, famigliari e insegnanti sulle opportunità di visita della mostra con bambini e ragazzi.

Marina Abramović a Firenze. Le Attività per Bambini: Gruppi Scuola e Famiglie

In occasione della mostra Marina Abramović. The Cleaner invitiamo, come sempre, gli insegnanti della scuola ad accompagnare le proprie classi a Palazzo Strozzi per prendere parte alle attività condotte da educatori esperti. Le visite guidate e i laboratori sono disponibili per le classi della scuola dell’infanzia (dai 4 anni), della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado. Ogni attività proposta prevede percorsi che tengono conto delle diverse età dei partecipanti, ideati per soffermarsi solo sulle opere più significative e adatte all’età dei partecipanti. In occasione della mostra, abbiamo deciso di fornire più informazioni preliminari agli insegnanti, indicando materiali da utilizzare per preparare la classe alla visita e quali opere saranno osservate dal gruppo durante il percorso in mostra. Per i bambini di 4a e 5a elementare sono previsti anche degli incontri in classe preliminari alla visita della mostra per fornire maggiori strumenti interpretativi e per tracciare una relazione tra la performance art e i mezzi artistici più tradizionali e riconoscibili come la scultura e la pittura (Come diventare un’opera d’arte). In generale, la mostra di Marina Abramović fornirà alla scuola un’occasione unica per riflettere sull’uso del proprio corpo e sul suo linguaggio, aspetto che talvolta viene tralasciato dalle programmazioni didattiche, mentre per i più grandi la riflessione si allargherà al tema della diffusione della propria immagine, così importante nell’epoca dei social network.

width=Anche le famiglie potranno partecipare alla mostra attraverso le attività proposte e anche in questo caso la progettazione della visita e del laboratorio creativo che la completa è stata realizzata tenendo in considerazione le differenze di età dei bambini. Per le famiglie con bambini dai 3 ai 6 proponiamo di vistare la mostra partecipando a Oggetti magici (mercoledì pomeriggio, una volta al mese), mentre per coloro che vogliono accompagnare bambini e ragazzi tra i 7 e i 12 anni ogni domenica mattina possono partecipare al laboratorio Vestirsi d’energia. Nel corso di queste attività adulti e bambini potranno condividere un momento creativo prendendo spunto dall’osservazione di alcune opere selezionate nel percorso della mostra.

Per la prima volta inoltre è stato creato uno specifico materiale dedicato a giovani e adulti (da 14 anni in su), il Kit Mostra.

Il Kit è composto da un libro con approfondimenti sull’artista e piccoli esercizi da fare nelle sale per avvicinarsi all’arte performativa. Il Kit è gratuito e sempre disponibile al Punto Info della mostra.

L’importanza di un percorso

L’allestimento della mostra prevede che le opere più forti, quelle legate alla fase degli anni Settanta, siano esposte nel piano della Strozzina. Pur invitando chiunque a partecipare alla mostra, sconsigliamo la visita di questa sezione ai minori di 14 anni non accompagnati da un adulto. Lo stesso vale per una saletta del piano nobile, il cui accesso sarà vietato ai minori di 18 anni. Tutti i percorsi per scuole e famiglie si svolgono al Piano Nobile della mostra dove sono ospitate le opere realizzate dalla fine degli anni Settanta agli anni Duemila, cioè dalla fase del rapporto artistico e sentimentale tra Marina Abramović e il compagno Ulay fino ai capolavori più recenti come The Artist is Present e le opere interattive in cui il visitatore viene chiamato a prendere parte all’opera.